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Recensione del libro "Foibe e girotondi" di Alfredo Spadoni (tatto dal sito rievocare.it).
Recensione del libro di Guido Rumici "Infoibati" (a cura di G. Dell'Oglio).
Intervista a Guido Rumici (a cura di F. Guiglia).
Recensione del libro di Guido Rumici "Fratelli d'Istria".
"L'esodo" di Arrigho Petacco. Mondadori, 202 pagine, 15 €. (link)
Un ulteriore elenco è disponibile cliccando sul seguente link: http://www.leg.it/moderna/foibe.htm
Recensione del libro "Slovenia" (tratto dal sito ladysilvia.it) (10/11/2006).
PRESENTATO A TRIESTE IL LIBRO DI AUTORI SLOVENI SUI MASSACRI DEL 1945 ad opera
delle forze iugoslave/serbe del maresciallo Tito.
Una lunga marcia della morte.
Pagine di storia raccontate solo dopo 60 anni di silenzio: anche gli sloveni
martiri delle foibe.
TRIESTE – Quante pagine di storia ancora ignoriamo perché mai scritte e
raccontate? E quante di queste, seppur conosciute, vengono taciute per politiche
d’opportunità? Può un eccidio di migliaia di persone attraversare ben 60 anni di
colpevole silenzio storiografico per attendere di venire rivelato dal preciso
benché amatoriale impegno di ricerca di una semplice associazione civile di
volontari?
La storia solitamente la scrivono i vincitori che determinano il discrimine tra
vittime e perseguitati. Ma a tanti decenni di distanza, così come il giornalista
Giampaolo Pansa ha fatto per le esecuzioni dei fascisti o presunti tali del 1945
nell’Alta Italia, altre testimonianze si fanno strada. Spesso, nel corso della
guerra e, purtroppo, negli anni successivi, le vendette incrociate sono state la
regola, vittime e carnefici si sono scambiati i ruoli indipendentemente dalla
sovranità sui territori e dalla politica, anche internazionale, del momento.
Ecco che 35.000 persone – domobranci, collaborazionisti e famiglie al seguito –
assassinate in Slovenia nel ‘45 nei modi più truci ed efferati (anche a
mannaiate o con coltelli e maceti) dai partigiani titini, trovano ora
testimonianza storica e un momento di pietà.
Erano colonne di sbandati e sconfitti in marcia verso le postazioni degli
Alleati che venivano riconsegnati, dopo il tentativo di riparare in Austria,
agli stessi partigiani. Solo ora, nel 2005, ritrovano la dignità del
riconoscimento di un martirio subito pur senza poter ricevere una degna
sepoltura – visto che impossibile sarebbe dare identità a resti umani rinvenuti
nelle centinaia di fosse comuni disseminate in tutta la Slovenia. “Slovenia
1941-1948-1952. Anche noi siamo morti per la Patria – Tudi mi smo umrli za
domovino” è il lavoro documentato, ora tradotto anche in italiano (mentre inizia
anche la traduzione in lingua inglese) di quanto è emerso dalle indagini e dalle
testimonianze raccolte dall’Associazione slovena per la Sistemazione dei
Sepolcri tenuti nascosti durante il lavoro di mappatura dei “luoghi celati” dove
trovarono orribile morte non solo ufficiali e sottoufficiali (presumibili
prigionieri di guerra), ma anche famiglie intere di civili bollate come
anticomuniste e, quindi, “traditori da liquidare”. Agghiaccianti i pochi passi
letti e commentati da Fausto Biloslavo che, in una gremita sala della Lega
Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia di Trieste, ha presentato la traduzione
italiana del libro succitato alla presenza di due dei quattro autori del volume,
e di Guido Deconi, promotore della traduzione italiana e della pubblicazione
dell'opera. La pulizia etnica – è stato detto durante la serata – di ispirazione
ideologico-politica venne annunciata nel febbraio del ’43 (“…chi non dimostrerà
interesse per il comunismo, verrà eliminato”) per raggiungere l’apice della
ferocia nel maggio di due anni dopo: i prigionieri (soldati o civili che
fossero, di svariate nazionalità) venivano, dopo la cattura, prima costretti
spesso a insensati pellegrinaggi – i cosiddetti “percorsi della morte” – da un
campo di prigionia all’altro, per poi, dopo aver vanamente sperato nella
salvezza, finire uccisi nel più barbaro dei modi. Ai prigionieri tedeschi era
riservato il compito di raccogliere nei boschi le membra delle vittime
massacrate per poi finire comunque uccisi o buttati nelle fosse comuni loro
stessi. Tanti i documenti, le foto e le testimonianze raccolte nel libro con lo
scopo di dare almeno il riconoscimento del ricordo a quella che fino al 1989
veniva sotto voce chiamata la “generazione scomparsa”, ma di cui non era
consentito parlare: troviamo così segnate su una mappa artigianale decine di
fosse comuni risalenti al periodo della guerra (‘41-‘45), moltissime foibe e
numerosissime fosse utilizzate nel primo dopoguerra, dal 1.mo maggio del ’45 in
poi, fino, sembrerebbe, alla fine del ’49, anno in cui veniva varata la
Costituzione jugoslava. L’invito conclusivo del padrone di casa, l’avv. Paolo
Sardos Albertini, in qualità di Presidente del Comitato per le Onoranze agli
Infoibati a Basovizza, a condividere con i cittadini d’oltreconfine le
commemorazioni delle vittime italiane e slovene di una stessa strategia, quella
del regime, sembra voler auspicare al recupero di una memoria a lungo e da più
parti negata verso il riconoscimento della verità.
Duilio Pacifico Grazie a “Lega nazionale Trieste”
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Recensione del libro "Sopravvissuti e dimenticati" di Marco Girardo (tratto dal "Il Piccolo" dell' 11/01/2006).
Borovnica
non è solo un puntino che galleggia nell’immensità delle carte geografiche.
Non è il nome di un paese vicino a Lubiana, e basta. Da tempo è diventato uno
dei simboli della follia umana.
Campi di concentramento, foibe, deportazioni. E un popolo, quello istriano, che
quasi per intero decise di abbandonare la propria terra. Perché lì non era più
possibile vivere.
Ferite
mai rimarginate. Storie che in Italia, per troppo tempo, sono state coperte da
un muro di silenzio. Da una disinformazione colpevole e di parte. Tanto che
ancora oggi, se chiedete in giro che cosa sono le foibe e quanta gente ha
abbandonato l’Istria dopo la seconda guerra mondiale, vi guarderanno con occhi
interrogativi. Per fortuna, sempre più spesso, arrivano nelle librerie volumi
come «Sopravvissuti e dimenticati». Lo ha scritto Marco Girardo, un
giornalista originario di Ronchi dei Legionari, ma che vive e lavora a Milano.
Verrà distribuito a partire dal 18 gennaio da Paoline Editoriale Libri (pagg.
156, euro 11).
Non è a caso se il libro, prima della prefazione scritta da Walter Veltroni,
prima ancora che inizi il lungo viaggio nella memoria, schiera una cartina
dell’Istria. Una mappa di quella regione com’è oggi, con i nomi sloveni:
Umag, Rovinj, Pula, dove una volta c’erano Umago, Rovigno, Pola. Perché,
troppo spesso, quando l’Italia parla del dramma dell’esodo non ricorda bene
dove sia quella terra misteriosa che è un po’ più in là di Trieste. Ma che
non è poi così lontana da considerarla dispersa nell’immenso «mondo
dell’Est» che si estende fino agli Urali.
«Ora non è davvero più tempo di amnesie o di reticenze di alcun tipo - scrive
Veltroni -: quella dell’esodo e quella delle foibe sono pagine vergognose
della nostra storia, della storia di tutti gli italiani. I morti delle foibe
appartengono alla sterminata schiera di vittime delle follie ideologiche,
dell’intolleranza, delle pulizie etniche che hanno attraversato il Novecento e
l’Europa, e di una capacità di odiare e di disprezzare di cui l’umanità,
anche in questo nuovo secolo, non pare riuscire a liberarsi».
Follia, odio, disprezzo: sono parole che ricorrono spesso nel libro di Girardo.
Nei boschi di Tarnova, mani ignote hanno sistemato vicino alla foiba grande un
testo in lingua slovena che dice: «Eppure erano uomini, come me e te. Chi
siete? Vivi, gettati nell’abisso, uccisi, assassinati a colpi di mazza? Qui
non c’è croce, non c’è segno. Eppure, o uomo, al fondo vi sono ossa umane».
Girardo vuole riappropriarsi della dimensione umana della tragedia che si consumò
in Istria tra il 1943 e il 1945. E negli anni successivi, quando gli italiani
hanno continuato a morire, a scappare dalle proprie case, perché in quella
terra non c’era più spazio per loro. Perché gli errori del fascismo venivano
fatti pagare, con interessi salatissimi, ai padri di famiglia, ai vecchi, alle
donne, perfino ai bambini.
Per guardare in faccia quella tragedia a lungo dimenticata, Girardo è andato a
cercare i testimoni. Ha trascorso lunghe ore con Graziano Udovisi, l’unico
uomo ancora in vita che possa raccontare cosa significa precipitare dentro una
foiba. Trovarsi costretti a saltare nel vuoto, nel buio, per scoprirsi
all’improvviso vivi. Circondati da cadaveri, ma vivi. In un tempo, in un mondo
che per la vita umana sembrava non avere il minimo rispetto.
E, poi, Girardo è andato a cercare Piero Tarticchio, lo scrittore, il pittore.
Il giornalista che ha diretto «L’Arena di Pola», e che ha dato vita a un
foglio legato al ricordo del suo paese: «La gente di Gallesano». Lui, che da
bambino ha visto sparire suo padre nella macchina tritasassi della «giustizia»
jugoslava, senza mai capire il perché, ancora oggi dice: «Il profugo, il
fuggiasco, se ne ha la possibilità, torna infine alla sua casa. L’esule no.
In tasca sin dall’inizio aveva un biglietto di sola andata. Nell’Istria di
oggi, quella reale, e non immaginata o rievocata, mi sentirò sempre un turista».
E aggiunge: «Ci è stata negata la memoria, siamo stati dimenticati».
Ma Girardo è andato a parlare anche con Natasa Nemec, una studiosa di Nova
Gorica, che da anni sta mettendo assieme la lista di tutte le persone morte
nelle foibe. Italiane e slovene. Perché «un uomo ha il diritto che la sua
morte non diventi materia di una nuova guerra sul piano delle contrapposizioni
ideologiche».
Il libro di Girardo è proprio questo: un racconto lucido, obiettivo,
documentato. Tessuto dalle voci di chi quegli anni terribili li ha vissuti. Un
libro che non dà spazio a nuovi rancori. A contrapposizioni senza fine.
- Per maggiori info clicca sul seguente link, si aprirà una nuova pagina:
http://www.aidanews.it/articoli.asp?IDArticolo=5840
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Recensione del libro di Giovanna Solari "Il dramma delle foibe (1943-1945)" (a cura di Pierluigi Sabatti).
Fiumi d’inchiostro sono stati sparsi in questi cinquant’anni sulle
foibe: articoli di stampa a centinaia e decine e decine di saggi e di libri hanno affrontato la questione. Il risultato, stando a un
sondaggio realizzato nel ’96 da Datamedia per Tg2 Dossier, è che il 72 per cento degli italiani non conosce il significato preciso della parola e il 42 per cento non associa nulla al termine foiba. Da questa
sconfortante premessa parte il libro di Giovanna Solari «Il dramma delle foibe (1943-1945)», meritoriamente stampato dal Centro culturale «Gian
Rinaldo Carli» dell’Unione degli Istriani. Il volume che l’autrice dedica al nonno, Giovanni
Montonesi, ritrovato nella foiba di Vines il
26 ottobre 1943, è l’elaborazione della sua tesi di laurea in scienze internazionali e diplomatiche all’università di Trieste.
Nonostante la tragedia familiare, la Solari fa uno sforzo, riuscito, di obiettività nel trattare il delicato tema, forte del distacco, come
spiega lei stessa, che può avere «chi non ha visto», perché è nato dopo. Il lavoro della Solari comincia con la ricostruzione degli
avvenimenti, distinguendo quanto avvenuto nel ’43, quando si verificarono i primi episodi in Istria dopo l’8 settembre quando
collassò l’autorità italiana e fino all’arrivo delle truppe naziste, da quanto accadde nel ’45, a guerra finita, sia in Istria, sia a Trieste e
Gorizia.
Successivamente presenta il dibattito che si è animato nel corso di questi cinquant’anni sulle foibe, esponendo le tesi che si sono
confrontate, da quella della snazionalizzazione violenta a quella della reazione eccessiva al fascismo per arrivare al revisionismo
storiografico degli anni Ottanta e Novanta ricomprendendo pure le tesi
negazioniste.
Dopo l’ottimo libro di Guido Rumici, «Infoibati» (edito da
Mursia), che espone la vicenda storica con un ampio corredo di documenti anche
inediti di fonte jugoslava, il volume della Solari lo integra presentando in maniera approfondita gli orientamenti che gli storici
hanno assunto via via nel corso del tempo ed emergono chiaramente i condizionamenti ora da destra ora da sinistra, per dirla con termini
rozzi, subiti dalla ricerca. Con estrema accuratezza e precisione, che andrebbero suggeriti ad esempio a Gianni Oliva, autore del discutibile
volume «Foibe - Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e
dell’Istria», edito da Mondadori, zeppo di intollerabili strafalcioni, l’autrice mette a confronto le varie tesi, da quella del genocidio
etnico, sostenuta da storici e memorialisti degli anni Cinquanta come Tamaro,
Pagnacco, Coceani, Rocchi e Papo, ma riprese in anni recenti, a quella dell’eccesso di reazione alle violenze fasciste (Giovanni
Miccoli, Cristiana Colummi). Ampio spazio viene dato a Galliano Fogar per le sue ricerche
indirizzate alla quantificazione delle vittime. Una delle «zone d’ombra», rileva la Solari in conclusione al volume, sulla quale troppo
si è speculato e che sono state oggetto di pesanti strumentalizzazioni politiche, che riappaiono puntualmente alla vigilia di scadenze
elettorali. E ampia è la panoramica dei lavori di storici dell’ultima generazione, quali Pupo,
Valdevit, Spazzali, per citarne soltanto
alcuni, che si distaccano dai due estremi, come del resto aveva fatto a suo tempo Elio
Apih. Non mancano i riferimenti ai lavori di parte
slovena, come quello apprezzabile per le sue aperture di Nevenka Trohar. Nonostante questa mole di contributi, scrive alla fine Giovanna Solari,
i dubbi continueranno a esistere. Si continuerà a disquisire sulla reale entità degli eccidi, magari nelle aule giudiziarie, «a meno che
non si avvii una riflessione critica sui fatti superando le chiusure e i rigidi schemi interpretativi che hanno a lungo caratterizzato il
panorama storiografico e avendo ben chiaro quanto il passato incida ancora sul presente della tormentata comunità giuliana». La Solari
questa riflessione l’ ha avviata con coraggio, intelligenza e serenità.
Pierluigi Sabatti
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Recensione del libro di Gianni Oliva "Foibe. Le stragi negati degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria" (a cura di A.M. Shwarzenberg).
Da quasi sessant'anni le migliaia di italiani della Venezia Giulia, dell'Istria e della Dalmazia, trucidate dalle truppe titine, attendono ancora di avere giustizia e, soprattutto, di venire ricordate con la massima dignità e la commossa deferenza dovute a chi, come loro, è stato vittima innocente della capillare e sistematica volontà sterminatrice di un regime dittatoriale sanguinario e prevaricatore.
Erano italiani e moltissimi sono morti per il solo fatto di esserlo e di non avere voluto ripudiare quella "italianità" a cui tenevano più della loro stessa vita, eppure l'Italia li ha dimenticati, relegandoli in un oltraggioso oblio che è durato più di mezzo secolo: è una pagina dolorosa della nostra storia che si è tentato troppo a lungo di rimuovere perché mal si conciliava con la visione del secondo conflitto mondiale imposta da coloro che si erano seduti al tavolo dei vincitori.
E dato che la storia, si sa, è scritta da questi ultimi, si è preferito distinguere i "morti buoni" da quelli "cattivi" perché capaci di rivelare le pecche di un regime, quello comunista di Tito, che avrebbero messo in discussione quella visione storica unilaterale ed acritica che ci è stata inculcata per oltre mezzo secolo.
E così, come vittime di quella grande tragedia che è stata la Seconda Guerra Mondiale, sono stati ricordati i soldati italiani caduti in Russia e nei Balcani, i combattenti morti nella guerra di liberazione, ma non gli italiani di Fiume, di Pola o di Zara, dimenticati o addirittura rinnegati da una Patria la cui bandiera un tempo sventolava in quelle belle terre perdute.
A questo doloroso capitolo della nostra storia Gianni Oliva vuole dedicare il proprio volume "Foibe". Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, edito da Mondadori, con l'intenzione di ricostruire, attraverso una puntuale documentazione d'archivio e bibliografica, i cupi anni dell'occupazione titina e degli eccidi che sono stati compiuti nei confronti di chiunque fosse stato sospettato di essere contrario all'annessione alla Jugoslavia, indipendentemente dall'appartenenza a meno al pregresso regime.
Merito dell'Autore è sicuramente quello di aver contribuito alla rottura di quella sorta di silenzio di Stato che era stato pesantemente calato dall'alto sulle migliaia di vittime inghiottite dalle foibe, ossia dalle cavità carsiche naturali del terreno calcareo profonde anche centinaia di metri.
Uomini, donne, vecchie e bambini - non prima di essere stati brutalmente torturati e seviziati - venivano legati tra loro con del filo spinato intorno ai polsi e gettati nelle foibe: non occorreva che fossero già morti, essendo sufficiente assassinare il primo della fila che, cadendo, avrebbe portato giù con sé nella profonda gola sottostante anche tutti gli altri; molti dei quali ancora vivi, tanto una volta caduti sarebbero morti di lì a breve.
Il volume esordisce la propria ricostruzione storica con i terribili quaranta giorni vissuti dalla città di Trieste.
È il maggio del 1945, e se le città del Nord Italia sono state liberate come il Piemonte, la Valle d'Aosta, la Liguria, la Lombardia, il Veneto e l'Emilia, Trieste al contrario vive la tragedia di un'altra guerra dichiarata dalle formazioni partigiane jugoslave che per prime sono arrivate nella Venezia Giulia, occupando tutti gli edifici pubblici, i municipi, le scuole, le caserme dei carabinieri, i cinema, i magazzini da dove innalzavano le bandiere con la stella rossa e le scritte "Trsl le nas" ("Trieste è nostra").
L'occupazione dei partigiani di Tito - scrive l'Autore - si accompagnava al presentimento di una tragedia nuova, ed ecco infatti che iniziarono i fermi, le perquisizioni nelle case, gli interrogatori, gli
incarceramenti, i sequestri dei beni e soprattutto le "scomparse": molti triestini uscivano per comprare il pane o le sigarette e non tornavano più a casa, altri venivano prelevati direttamente nella propria abitazione e non se ne sapeva più nulla, mentre per i parenti iniziava una "odissea tormentata" - per usare le stesse parole dell'Autore - fatta di penose e strazianti ricerche.
Oliva racconta la cupa tragedia di quegli anni attingendo alle testimonianze dei miracolati superstiti degli eccidi titini come, ad esempio, quella di Giovanni Radetticchio, originario di Sisiano, salvatosi miracolosamente da una foiba perché il proiettile sparato contro di lui, anziché colpirlo direttamente, aveva spezzato il filo di ferro che lo teneva legato ad una grossa pietra consentendogli così di risalire alla luce e salvarsi.Da Basovizza, una delle foibe più grandi e quindi scenario macabro della maggior parte degli eccidi compiuti, a Borovnica uno dei tanti campi di concentramento e " di sterminio" allestiti dai soldati con la stella rossa, l'Autore ripercorre le tappe dolorose che hanno condotto una moltitudine di vittime innocenti ad essere "sacrificate" dal nuovo regime nella primavera del '45.
Parlo di "moltitudine" perché ancora oggi non è possibile fornire una stima precisa a causa sia della preoccupazione dei carnefici di occultare le prove sia dell'inaccessibilità di molti archivi jugoslavi: è comunque certo che si trattava di diverse migliaia di vittime che arrivano ad essere addirittura 16.500 secondo quanto si legge nell'"Albo d'Oro. La Venezia Giulia e la Dalmazia nell'ultimo conflitto mondiale" (28 edizione).
Ma accanto agli eccidi compiuti a Trieste e nella Venezia Giulia nel maggio del 1945, l'Autore ricorda anche le foibe istriane dell'autunno 1943: nell'anarchia e nella totale confusione verificatasi dopo 1'8 settembre le organizzatissime formazioni partigiane slave, aiutate anche dalla spontanea insurrezione dei contadini croati, si impadronivano del territorio, realizzando una eliminazione sistematica e brutale di diverse centinaia di italiani bollati come "nemici del popolo" e fucilati dopo processi farsa o, più sbrigativamente, fatti inghiottire dalle voragini carsiche.
Le torture e le violenze compiute sono ricostruite con lucida precisione dall'Autore, grazie ad una minuziosa ed attenta ricerca, ed ecco allora l'episodio forse più emblematico della ferocia dei nuovi invasori, quello cioè di Norma Cossetto, ventiquattrenne di Santa Domenica di Visinada, legata mani e piedi ad un tavolo e violentata e seviziata per giorni finché una notte verrà fatta precipitare, insieme ad altri venticinque prigionieri, nella foiba di Villa Suriani profonda ben 135 metri; analoga sorte toccherà anche alle tre sorelle Rebecca (Albinia di 21 anni ed in stato di gravidanza, Caterina di 19 anni e Fosca di appena diciassette) e a molte altre sventurate.
Merito dell'Autore è stato quello di voler affiancare la propria ricerca e ricostruzione storica all'intento di delineare quello che egli stesso definisce "uno sterminio dalle dimensioni di massa" e che, come tale, non può essere né soggetto ad una banalizzazione riduttiva né tantomeno archiviato e dimenticato: si tratta di una delle pagine più sanguinose della nostra storia che deve riemergere dall'oblio in cui è stata sepolta affinché sia di
insegnamento e monito per le nuove generazioni e affinché venga riconosciuto lo strazio sopportato dai superstiti, costretti a vivere la dolorosa condizione di esuli, e tributata la doverosa deferenza alle vittime trucidate perché possano finalmente riposare in pace.
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"Infoibati". Recensione del libro di Guido Rumici (a cura di G. Dell'Oglio).
- Sito internet del Prof. Rumici: http://digilander.iol.it/xrumici
Un velo di silenzio ha coperto per molti anni le vicende che hanno colpito il confine orientale d'Italia al termine della seconda guerra mondiale, come si volesse dimenticare una pagina buia del nostro Paese. Nel settembre-ottobre del 1943 e, più tardi, nella primavera del 1945, con la presa del potere da parte delle autorità jugoslave guidate dal maresciallo Tito, diverse migliaia di Italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia vennero arrestati e deportati. Molti di loro non fecero più ritorno a casa, né si seppe più nulla della loro sorte. Rilevante è il numero di coloro che vennero gettati nelle foibe, cavità naturali a forma di imbuto caratteristiche del paesaggio carsico della regione, spesso delle vere e proprie voragini, che sprofondano verticalmente nel terreno per decine o centinaia di metri, dove le loro salme non avrebbero dovuto essere più ritrovate. Le foibe divennero così la tomba di tantissimi sventurati, anche vittime dell'odio, delle passioni dell'epoca e degli avvenimenti storici e politici che travolsero la Venezia Giulia. Questa drammatica pagina di storia, da troppo tempo dimenticata, viene ora finalmente raccontata in modo completo ed organico dal prof. Guido Rumici nel volume "Infoibati", fresco di stampa, pubblicato da Mursia Editore di Milano ( http://www.mursia.com/testimonianze/infoibati.htm )
Si tratta di un'opera importante
perché affronta con rigore storico ed obiettività un'epoca sicuramente
difficile della storia delle nostre terre e, soprattutto, è un libro che,
avendo divulgazione a livello nazionale, potrà far conoscere finalmente anche
al di fuori della cerchia degli esuli le travagliate vicende di un popolo,
quello giuliano dalmata, che da sempre si lamenta giustamente per la scarsa
attenzione che la Nazione gli ha finora prestato. E di ciò va dato merito
all'autore che, dopo aver analizzato il drammatico periodo dell'esodo e del
dopoguerra nella Venezia Giulia e in Dalmazia nel volume "Fratelli d'Istria",
pubblicato sempre dall'editore Mursia nel 2001, ha ora affrontato, con
linguaggio semplice e lineare, la dolorosa pagina delle foibe che può essere
vista come il completamento di un percorso di ricerca sull'intera storia del
confine orientale d'Italia dal 1940 in poi. Il libro "Infoibati" ha
anche il merito di mettere in primo piano le vicende umane di tante persone
gettate nelle voragini della Venezia Giulia, dalle foibe dell'Istria alle
cavità del Carso triestino e goriziano. Numerose sono infatti le testimonianze
dirette raccolte da Guido Rumici tra i parenti delle vittime e tra i
sopravvissuti che, inserite nel contesto storico abbondantemente descritto,
fanno capire il clima di pesante oppressione che attanagliò la popolazione
civile di quelle terre martoriate. Gli avvenimenti dell'Istria, di Pola, Fiume,
Trieste, Gorizia, Zara e della Dalmazia trovano spazio in specifici paragrafi
che descrivono con completezza come le autorità partigiane assunsero il potere
e come si svolsero gli arresti, le deportazioni e le uccisioni di tanti
italiani. La polizia segreta di Tito colpì con
spietata precisione tutti coloro che potevano essere, di fatto o in teoria,
possibili oppositori all' instaurazione del nuovo regime jugoslavo. In questa
prospettica molte persone finirono non solo nelle foibe, ma furono uccise anche
in vari altri modi: numerosi vennero fucilati o comunque eliminati in modo
violento durante la loro deportazione, altri cessarono di vivere per malattia,
per stenti o per esecuzioni sommarie nei lunghi periodi di detenzione nelle
carceri e nei campi di concentramento jugoslavi.
Moltissimi italiani rimasero rinchiusi nelle prigioni di Tito
anche parecchi anni dopo la fine della guerra ed il regime jugoslavo si
comportò in maniera assolutamente illegale, in spregio ad ogni norma del
diritto internazionale. Una ricca documentazione fotografica di una settantina
di immagini arricchisce il volume "Infoibati" che in appendice
presenta pure una serie di interessanti documenti che fanno luce su i crimini compiuti dai
partigiani di Tito. Di rilievo la Relazione
Harzarich compilata dai Vigili del Fuoco di Pola che recuperarono numerose
salme dalle cavità istriane, nonché alcuni documenti di fonte jugoslava, inglese ed italiana, anche
inediti, che aiutano a capire i meccanismi che furono alla base delle stragi
perpetrate non solo nel periodo bellico, ma pure nel dopoguerra.
Il volume del prof. Rumici inquadra il dramma delle foibe nel contesto storico
in cui avvenne la tragedia: i nomi, i luoghi, i testimoni di questi eccidi, sono
tutti tasselli di un ampio mosaico che il lettore riesce agevolmente a capire.
Si tratta, in definitiva, di un libro che meriterebbe un'ampia diffusione non
sono nel mondo degli esuli, di cui illustra in sintesi fatti e vicende, ma
soprattutto tra tutti quei nostri connazionali, ed in particolare i giovani
studenti, che potranno avere l'opportunità di conoscere finalmente una pagina
drammatica della storia d'Italia.
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Intervista a Guido Rumici (a cura di F. Guiglia).
- Sito internet del Prof. Rumici: http://digilander.iol.it/xrumici
I
nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti". Così si presenta,
semplicemente, "Infoibati", l'ultimo libro (per Mursia) di un
insegnante di storia e di economia che al tema ha dedicato dieci anni di
passione, tre di ricerche e uno di stesura. Ma il lavoro di Guido Rumici, che
alle tante storie di quella Storia dimenticata rivolge la sua attenzione da
tempo, è solo uno spunto per riflettere oltre le foibe: che cosa può
significare quella memoria negata per un futuro condiviso? "Anche in
Slovenia la gente comincia finalmente a parlare", rivela lui, che ha
raccolto dati e date, carte, centinaia di dichiarazioni. E di lacrime.
-
Perché
C'era
tutto l'interesse a tenerla nascosta Nel secondo dopoguerra le etichette
affibbiate sia agli esuli ("tutti fascisti") sia ai rimasti
("tutti comunisti"), facevano comodo alla politica del tempo. Regnava
il pregiudizio. All'epoca la nostra sinistra era legata allo schema
internazionalista comunista. E i misfatti fatti dai partigiani di Tito, andavano
coperti.
-
Quand'è che ha imparato per la prima volta il significato della parola foiba?
Quando
l'ho vista. Un mio amico istriano mi portò a mostrarmene una - la foiba
Martinesi, vicino a Buie - in cui avevano buttato giù un sacerdote. Dunque, un
innocente, che non era certo inquadrato nella politica. La cosa mi colpì
profondamente.
-
Che cosa invece la spinse a dedicarsi al tema da studioso?
Il
fatto che da troppi anni si parlava poco del fenomeno. E soltanto in chiave
politica. Io racconto fatti, non do interpretazioni. Credo che finora sia
prevalso, al contrario, un generale orientamento di opinioni, di giudizi sui
fatti. Non le date, i fatti, i luoghi, gli episodi in modo il più possibile
divulgativo.
-
Oltre al metodo in che maniera si può essere storiograficamente originali nel
merito della questione?
Nelle
fonti. Io ho usato sia la pubblicistica italiana che quella slava. E ho avuto
accesso a documenti anche inglesi e anche slavi.
-
Perché questi punti d'osservazione erano stati finora trascurati?
Negli
anni passati era più difficile scrivere di questi argomenti, perché essi erano
legati intimamente alla politica. Adesso si può cercare una maggiore oggettività
L’uso di più fonti, e di fonti inedite e sottovalutate, aiuta a scavare nella
verità dei fatti.
-
Qual è la conclusione più rilevante dei suoi studi?
Di
rilevo c'è sicuramente una cosa: i fatti testimoniano che vi fu un disegno
politico nell'eliminazione delle persone. Non fu, come in molti altri testi si
dice, il frutto di una resa dei conti, di fatti emozionali, di una grande
vendetta sul momento. Certo, non mancarono episodi anche di questa natura. Però
alla base di tutto ci fu un progetto politico.
-
Progetto che prende corpo quando e come?
Ci sono state due ondate, per così dire. La prima nel '43 (settembre/ottobre). La seconda nel'45 (maggio/giugno). Si cercò di colpire tutte quelle persone che rappresentavano in qualche modo lo Stato italiano. Andando a confrontare nelle varie località chi fu eliminato, si vede che grossomodo furono uccisi appartenenti alle stesse e significative categorie. Insegnanti, segretari comunali, rappresentanti delle forze dell'ordine, carabinieri, poliziotti. Non esclusivamente fascisti in quanto tali, quindi, ma cittadini espressione dell'Italia sul territorio.
-
Persino chi
Persino
i messi comunali, gli impiegati dell'anagrafe, le guardie forestali... La prima
ondata colpi essenzialmente l'Istria, ma non solo. In prevalenza s'abbatté
sull'interno dell'Istria, dove i partigiani s'erano insediati. Nelle grandi città
- Pola, Fiume, Trieste, Gorizia - c'erano i nazisti, e non i partigiani di Tito,
che vi arriveranno nel '45, prima ancora degli anglo-americani. Essi, quei
partigiani, applicheranno lo stesso criterio sperimentato in precedenza: colpire
quanti potevano rappresentare un ostacolo alla lotta per l'annessione della
Regione italiana alla Jugoslavia.
-
Altre prove dei disegno politico?
Andavano
casa per casa con delle liste già compilate. «Vennero a bussare alla mia porta
con un elenco di cento nomi e presero mio padre che era il trentacinquesimo».
Si trovano tante testimonianze come questa. In certi casi arrivarono a prendere
due persone omonime. Nel dubbio. Dunque, non fu un'eliminazione casuale, a
casaccio, dettata da furori emotivi.
-
Qual è la responsabilità di Tito nel progetto?
Come
spesso succede nella storia, i quadri intermedi possono essere più cattivi del
capo. Magari scatta quest'ansia di voler essere più realisti del re.
Naturalmente non esiste un documento con un ordine scritto, firmato e timbrato
da Tito. E magari spedito da una raccomandata con ricevuta di ritorno... Però
certamente la sua polizia segreta agi in base a direttive comuni in varie città.
C'è un'accertata ripetizione di metodi che non è casuale. Il fatto, per
esempio, che molto spesso andassero nelle case in modo amichevole. «Venga al
comando per un semplice interrogatorio», dicevano con aria tranquilla. Per la
vittima designata era l'inizio della fine.
-
Altri elementi a favore delle «non casualità» dei fatti?
Il
modo stesso in cui uccidevano le persone. Le portavano via quasi sempre di
notte. E le ammazzavano seguendo di solito la stessa «procedura».
-
In che modo venivano uccisi?
Quando
si parla di foibe, si tende a generalizzare il fenomeno. Un fenomeno che può
essere invece distinto in tre fasi. Ci furono i fucilati. Ci furono i deportati
in campi di concentramento, dove rimasero anche a lungo, morendo di stenti,
sevizie, malattie. Infine ci furono gli infoibati. Questi ultimi in linea di
massima venivano spintonati a calci e pugni fino all'orlo della cavità. Avevano
i polsi legati col fil di ferro. Spesso erano messi a due a due. Così si
sparava al primo, che precipitava nella foiba, portandosi appresso quello vivo.
La foiba era fonda decine, anche centinaia di metri. Potevano morire, i vivi,
dopo lunga agonia Testimonianze riferiscono di urla, di strazianti richieste di
aiuto che arrivavano dal ventre della terra anche uno, due giorni dopo gli
eccidi.
- Quanti furono gli italiani scomparsi?
Le
stime possono partire da almeno seimila vittime accertate ad oltre diecimila. Più
di quattrocento fra donne e raga
-
Chi finiva nei campi di concentramento?
Molti
militari. Sia della Rsi, catturati alla fine delle ostilità, sia soldati
italiani rimasti nei Balcani dopo 1'8 settembre e che vissero un'epopea di
stenti. II fatto di essere stati tra i partigiani, non li salvò dalla
deportazione. Aggiungo che furono uccisi anche molti slavi anti-comunisti. In
particolare sloveni e croati che avevano combattuto contro Tito con le
formazioni collaborazioniste. Nel progetto di eliminazione alla fine si
mescolarono elementi politici, nazionali, ed ideologici. E pure sociali: con
l'occasione si uccise anche il borghese, il padrone del negozio che non dava
credito.
-
Che cosa emerge dalle fonti straniere da lei consultate?
Intanto
la dichiarazione scritta del 1950 - occhio alle date - in cui Francesco Freddi,
un rimpatriato dalle carceri jugoslave, dichiarava che con lui erano presenti,
fino a pochi giorni prima, pure due personaggi famosissimi in Istria: Licurgo
Olivi, rappresentante socialista del Cln e Gino Morassi, vice podestà di
Gorizia. Si pensava che queste due persone fossero state infoibate nel '45.
Invece cinque anni dopo erano ancora vivi come «ostaggi». Ostaggi destinati a
sparire nel nulla. La vicenda di Olivi, poi, è molto importante. Antifascista,
dopo che fu catturato nel '45 si ebbe un intervento molto forte promosso dal Cln
per liberarlo. Senza esito da parte degli sloveni.
-
Altri documenti innovativi per capire «sine ira et studio»?
Ne
ho trovati tantissimi, sono stato costretto alla selezione. Ho pubblicato la
relazione Harzarich, per esempio, dal nome del maresciallo Arnaldo che aveva
diretto le esplorazioni e i recuperi nelle foibe istriane fra il 16 ottobre '43
e il 2 febbraio '45. Questo maresciallo dei vigili del fuoco racconta di ogni
foiba perfino le donne che ha tirato su. Tra cui Norma Cossetto, nome
conosciutissimo e oggetto di una violenza brutale. C'è poi un documento inedito
dei comunisti di Gorizia i quali, il 29 giugno del '45, davano ordine ai
compagni sloveni di liberare trentasei carabinieri che avevano collaborato nella
lotta partigiana. In realtà, un mese e mezzo prima essi erano stati tutti
infoibati.
-
Dalle carte inglesi che cosa si ricava?
Per
molti anni si disse che a Basovizza non c'era niente. I negazionisti
contestavano il simbolismo di quella foiba. Ma documenti inglesi confermano il
recupero di una decina di salme e di una quantità notevole di resti.
Impossibile indicare oggi quanti morti siano rimasti laggiù. Probabilmente non
sono i tremila, di cui pure s'è scritto molto. Però ci sono, ecco. C'è un
punto fermo tra zero e tremila.
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"Foibe. Io accuso. Una sopravvissuta istriana trascina in Tribunale l'assassino di suo padre". Recensione del libro di Nidia Cernecca.
Un uomo steso nudo su una foiba, con sullo sfondo una pagina di storia stracciata e macchiata di un colore inconfondibile, quello del sangue e della stoltezza comunista. Si presenta con questa copertina intrisa di "stimmung" il nuovo libro edito dalla fucina napoletana di Controcorrente (per informazioni 081/55.20.024), scritto da
Nidia Cernecca: "Foibe. Io accuso. Una sopravvissuta istriana trascina in Tribunale l'assassino di suo padre" (pp. 135, euro 11).
Una testimonianza che è un brivido continuo, che commuove profondamente, provocando un pianto di dolore e di rabbia che sale con le parole della scansione narrativa, parole di bimba, semplici, vere, che arrivano diritte al cuore del lettore facendo nascere un interrogativo immenso: sarà "cantierabile" la Verità sulle Foibe?
Nidia Cernecca, all'epoca dei fatti che videro la brutale uccisione di suo padre Giuseppe, uomo buono, torturato e poi decapitato dopo avergli estratto dalla bocca due denti doro, aveva poco più di sei anni, ma non ha dimenticato nulla di quei momenti. L' assassino del padre si chiamava
Ivan Motika, deceduto ultraottantenne in Istria, da pensionato italiano
dell'Inps. La Cernecca non scrive ora per odiare, ma perché questo doloroso capitolo europeo non venga dimenticato, perché questo "gigantesco tritacarne che ha riguardato tutti gli Italiani", come ha annotato nel testo Armando de Simone, non sia cancellato dagli interessi della storia contemporanea, dopo aver già attraversato il deserto del silenzio durato cinquant'anni e dopo che i testi di storia, sui quali studiano i nostri ragazzi, hanno travisato od omesso la verità sull' accaduto. A chi ha giovato il silenzio? Occorre oggi coniare un verbo che è un impegno, mantenere vive le stimmate del coraggio. Mario Varesi ha scritto dei versi unici che rendono la tragedia Dicono: "Lapidato con i sassi delle tue doline / ogni pietra ha una voce / il tuo lamento che chiede: perché?".
La realtà è che una bambina cresciuta troppo presto e diventata donna nel dolore, ha avuto il coraggio di accusare
Motika, il boia di Gimino. La compiacenza e il silenzio che hanno circondato queste storie sono senza dubbio, annota il testo, ascrivibili alla sinistra italiana: "Non si poteva, non si doveva sapere quello che l'Istria rappresentava: la carta di scambio sull'altare di Yalta". I fatti sarebbero stati gli stessi di quello che sarebbe avvenuto in Italia all'indomani dell'instaurazione della "democrazia popolare" (leggi dittatura comunista). Che cosa vuole questo libro? "La storia istriana non è una vicenda di risarcimenti per le vittime o per gli immensi danni subiti, gli espropri. Gli ultimi testimoni di quel massacro, stanchi e per di più annichiliti dal silenzio che li ha circondati nella loro battaglia della memoria, potrebbero correre il pericolo di "marmorizzazione"; d'incapsulamento nel mito dell'unicità "della propria esperienza". Non fa così la
Cernecca. La sua non è una memoria che incatena gli esseri umani al proprio odio. È un presente. La scrittrice scrive al figlio Ennio, che casualmente, rovistando nel cassetto dei ricordi di famiglia, ha trovato carte ingiallite, scritte dalla mano incerta e dolorosa di una bambina, nel lontano 1944. Era il suo Diario, il giardino segreto, tenuto per anni lontano dalle atroci domande che hanno continuato a produrre tuffi al cuore facendola macerare per risposte che nessuno le ha dato. "Ora eri tu, mio figlio, a chiedermi il perché... Così quel giorno iniziai a raccontarti la mia storia".
E la storia di Pepi, il nonno del ragazzo che ascolta, il padre di una bimba costretto, dopo aver lavorato per il bene di tutti a
Gimino, a sfilare per le vie del paese con un sacco di pietre sulle spalle, legato con una catena da buoi al collo e lapidato con gli stessi sassi che aveva portato dove cominciava il bosco della "draga". Ma è anche la storia del genocidio di quattro "popoli" italiani dimenticati, quello istriano, fiumano, giuliano e dalmata, ad opera dei comunisti slavi e italiani. Quando, in Istria, i berretti con la stella rossa si fermarono davanti alle case degli italiani, quelle case con gli angoli in grosso bugnato di pietra bianca circondate da boschi che parlavano, allora le foibe, che nascevano dalla terra come profonde ferite, divennero il terrore degli uomini. "Solo chi sapeva volare poteva uscire vivo dalle foibe", che divennero un cimitero speciale ed unico, coltivato dalla natura Vi si giungeva con i "camion della morte", con i finestrini dipinti di bianco, affinché nessuno potesse guardare dentro e individuare i prigionieri. Capolinea di quelle corriere della morte erano le foibe. l viaggi erano sempre gli stessi e numerosi. Le corriere "erano piene, ma tornavano sempre vuote e ingombre dei vestiti che i massacratori toglievano alle vittime".
I cappottini dei bimbi portavano i segni delle bruciature di miriadi di schegge. Le mamme, vestire di nero, divennero il dolore delle case istriane di pietra, tirate a secco. Anni dopo la fuga con la madre,
Nidia, una sera d' autunno, riceve una telefonata da un amico che aveva trovato su uno dei tre volumi di Giorgio Pisanò "La guerra civile in Italia", il nome di Giuseppe Cernecca Uno storico come Pisanò aveva scritto del padre. Partì per l' Istria il giorno dopo. Erano trascorsi ventidue anni da quando aveva dovuto lasciare la terra del suo cuore. Trovò le ossa del padre; due mani le avevano salvate, ma incontrò anche tanto silenzio. Scrive la donna: "Per ottenere giustizia, avevo bisogno di aiuto. Mi arrovellai per alcuni giorni, poi ricordai che Alleanza nazionale era stato l'unico partito che aveva sempre tentato di rompere il silenzio che gravava sulla tragedia adriatica". Incontrò Roberto Menia, oggi deputato di An. La aiutò fraternamente. Lasciamo percorrere al lettore questa drammatica accusa contro un boia di italiani e le tappe del processo, permettendoci solo di consigliare un paragrafo meraviglioso, tra gli altri, intitolato "Per la memoria", due pagine rivolte al figlio. Inizia dicendo "Figlio, vivi la tua memoria..." e si conclude, quando chi scrive questa recensione ha già le lacrime agli occhi, con un invito: "Nella memoria troverai te stesso. Dona agli altri il meglio di te stesso: la tua memoria per alimentare la loro memoria... Ennio, custodiscimi nella tua memoria, per non farmi morire".
L' lstria fu il Golgota di chi ancora oggi non ha risposte, terra di domande di veri Italiani, dimenticati troppo presto. Roberto Menia, che nel testo ha scritto "Il buco nero della memoria" annota giustamente: "Cè un solo modo per spezzare la congiura del silenzio. l grandi storici e soloni della cultura imperante non lo faranno mai. Allora lo faccia chi ha vissuto quella storia cancellata". Questo capitolo della storia umana nel mondo potrà concludersi solo con la Giustizia. L'attendiamo tutti.
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"Foibe, una tragedia fatta di
silenzi". Recensione del libro di Vincenzo Maria De Luca (Di Marino Micich).
Merita senz'altro un'attenzione particolare nel variegato panorama editoriale nazionale, questo interessante libro, dedicato alle tragiche e a noi ben note vicende dell'ex-Venezia Giulia, occupata nel 1945 dalle armate jugoslave:
Vincenzo Maria De Luca, "foibe, una tragedia annunciata", Settimo Sigillo, Roma 2000,
(Libreria Europa, Via Sebastiano Veniero, 74 - 00192 Roma). L'editore della Settimo Sigillo, Enzo Cipriano, è noto per essersi da sempre interessato alle vicende delle terre adriatiche cedute dall'Italia all'allora Jugoslavia, e anche in questo caso non è mancato al suo appassionato impegno. E' quanto mai importante, a più di cinquant'anni di distanza da quei tragici avvenimenti che sconvolsero le terre dell'Adriatico orientale, poter leggere un altro contributo storico (ricordo "L'esodo" di Arrigo Petacco pubblicato lo scorso anno da Mondadori), dai toni equilibrati ma fermi, inteso a riconfermare una coscienza e dignità storica a una terra e alla sua gente, che in tanti decenni è rimasta ai margini dei circuiti culturali della nazione italiana. Solo ultimamente, in seguito ai mutati scenari geopolitici (la caduta simbolica del Muro di Berlino nel 1989, la riunificazione della Germania, il crollo dell'Unione Sovietica, la dissoluzione dell'ex-Jugoslavia, ecc.), l'Italia e l'Europa si sono accorte dell'esistenza di un popolo, quello giuliano-dalmata, che era destinato a scomparire dalla scena della storia, per di più con un marchio d'infamia politica appositamente confezionato da una nefasta strategia bipolare. Tuttavia i crimini e le atrocità avvenute nei recenti conflitti etnici in ex-Jugoslavia, hanno spinto le coscienze europee ad affrontare più seriamente questo tipo di problemi ed era quasi inevitabile che non balzasse all'attenzione degli studiosi e dell'opinione pubblica la "pulizia etnica" sofferta dagli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia oltre cinquant'anni fa ad opera degli allora jugoslavi. Seppur pesantemente provata dagli eventi storici contrari, la comunità giuliano dalmata (circa 350.000 italiani esodarono dopo il 1945 dalle terre di origine) sta attualmente dimostrando, attraverso il suo mondo associativo, di essere ancora in grado di cogliere l'opportunità del momento presente per offrire un valido contributo culturale all'Europa di oggi e riaffermare la propria identità. Pur trattando temi ancora oggi controversi lo stile narrativo di Vincenzo De Luca è elegante, sostanzialmente misurato ma che si avvale anche dell'uso di toni appassionati e fermi, semanticamente tesi a fare luce su molti aspetti poco chiari della lunga storia delle genti istriane, fiumane e dalmate. Il sottotitolo che appare in copertina "Il lungo addio italiano alla Venezia Giulia" costituisce il filo conduttore attraverso il quale De Luca ci conduce, con chiara ed esauriente esposizione sintetica, attraverso i secoli, per far meglio comprendere ai lettori la consistenza della presenza italiana nell'altra sponda dell'Adriatico e la puntuale inadempienza da parte dell'Italia nei confronti di questa meravigliosa realtà. De Luca ci illustra a ogni capitolo periodi di storia avvincenti ma anche molto dolorosi. Mi diceva l'autore, nel momento in cui si apprestava a iniziare la sua fatica di studio e di ricerca sulla Venezia Giulia, che l'idea di contribuire attraverso un libro nacque soprattutto dalla profonda impressione che l'episodio delle foibe suscitò nel suo animo. Egli, pur non essendo originario di quelle terre, si è sentito colpito nel profondo dell'animo, senza capire perché tanta violenza dovesse rimanere impunita o addirittura cadere nell'oblio. Questo libro nasce, non certo con la pretesa di voler esaurientemente spiegare definitivamente la
triste vicenda dei giuliano-dalmati, ma vuole essere un appassionato contributo alla
conoscenza di questo mondo così complesso. Coloro che hanno scritto finora in Italia sulla vicenda giuliana con rigore scientifico e desiderio di ricercare la pura verità si possono contare sulle dita di una mano. La storia fatta di silenzi, di falsificazioni, di mistificazioni non è maestra di vita ed è proprio per combattere questa storia che nasce un libro come quello di De Luca. "Foibe, una tragedia annunciata" è quindi un libro che per efficacia narrativa, e ripeto, l'elegante narrazione, si presta ad essere divulgato ad un più vasto pubblico di quello degli addetti ai lavori, scuole incluse. Un altro aspetto interessante che si può cogliere nel libro di De Luca è la lunga serie di manchevolezze e di cediménti dell'Italia ufficiale verso le "terre irredente", che costarono nella Prima Guerra Mondiale ben 600.000 morti e oltre un milione di feriti e di invalidi. Se l'Italia avesse considerato con maggiore attenzione la realtà delle terre giuliane, da sempre e non sporadicamente, tante tragedie si sarebbero potute evitare e non solo la tragedia delle foibe, ma anche quella di un esodo degli italiani che ha compromesso definitivamente gli storici equilibri etnici ad est di Trieste. Le foibe rappresentano ancora oggi l'estremo grado di efferatezza e di barbarie a cui può arrivare l'essere umano, ma sono anche il punto terminale di un sistema ideologico violento e incompiuto come quello comunista jugoslavo, che erroneamente viene citato spesso a modello di convivenza da chi evidentemente non ne ha conosciuto la vera storia e su quante vittime Tito fondò la sua stabilità e sicurezza. Tuttavia, ritengo che l'episodio delle foibe deve essere ormai liberato da ogni strumentalizzazione politica, per essere definitivamente consegnato alla coscienza di italiani, croati e sloveni, come un delitto contro l'umanità da condannare sempre e in ogni caso, se vogliamo veramente sperare in un'Europa migliore. Si deve rendere giustizia alla storia e alle vittime con prese di posizione chiare e decise, nel senso che la moderna coscienza europea deve assolutamente condannare ogni forma di pensiero o di sub-cultura che avalli, anche solo a livello latente, il metodo dell'eliminazione fisica, lo svilimento morale e psicologico dell'avversario politico. Non ci si può nascondere dietro alla considerazione che lo sterminio fisico è stato sempre uno dei mezzi della politica e che purtroppo così sempre sarà. Occorre definitivamente combattere questa forma distorta del pensiero politico, perché la storia ha insegnato che non ci porta a nulla. Per questo sono importanti le giornate dedicate alla memoria, agli olocausti perpetrati sempre e comunque ai danni dall'essere umano che deve essere ritenuto il fine principe della storia e non un semplice mezzo. Le distruzioni, i genocidi di intere comunità che sono avvenuti nella storia dell'Europa diverse volte, ma mai in maniera così aberrante co me nel trascorso Novecento (definito dallo storico francese Alain Besancon in un suo libro "Il Secolo del Male") non devono accadere mai più. Anche questo è un altro dei considerevoli messaggi che De Luca ci trasmette attraverso il suo libro. Un simile impegno si manifesta, quindi, non solo ricordando altre tristi e ben note circostanze della storia, ma anche attraverso il riconoscimento del sacrificio, simboleggiato dalle foibe istriane, affrontato dai fiumani, istriani e dalmati per rimanere se stessi, con le proprie convinzioni politiche, tradizionali e consuetudini secolari. Spiegare tutto questo è risultato sempre difficile ai giuliano-dalmati in un'Italia post bellica, dove al sentimento della Patria si sostituiva il complesso della sconfitta e il mito del progresso americano. Ci provò a spiegare la scelta per l'Italia, tra i tanti esuli ormai scomparsi, anche lo scrittore fiumano Paolo Santarcangeli nel suo libro di memorie "il Porto dell'Aquila decapitata" con queste toccanti parole che ancora oggi sono patrimonio per pochi:
"Perché tante storie? In fin dei conti, non siamo come gli altri? Potremmo tuttavia sostenere questo sino in fondo? Non ci smentiscono le nostre voci, i nostri cognomi, i quali, nella loro forma originaria, suonavano spesso slavi o tedeschi o ungheresi? O d'accordo anche italiani: ma venuti da quale Italia, insulare o lagunare e, comunque, non istriana né fiumana. Solo la volontà testimonia per noi, perché abbiamo voluto e scelto di stare con l'Italia; e tale scelta ci fece onore, quando significò distacco, povertà, esilio". Da tale scelta la cultura giuliano-dalmata ha saputo trarre la forza per sopravvivere negli anni bui del dopoguerra e del "boom" economico, distinguersi nelle operazioni di massificazione ideologica per giungere ancora intatta e capace di promuovere fermenti nuovi (basta operare una breve ricerca via Internet per accorgersi di questa ben viva realtà). In conclusione, questo libro presenta notevoli spunti di novità e di interesse sulla Venezia Giulia capaci di coinvolgere emotivamente un più grande pubblico e restituire dignità a una storia taciuta e scientificamente poco indagata. Un ulteriore e doveroso plauso lo rivolgo all'autore per la sensibilità e gli alti valori di umanità che ha inteso esprimere nel suo narrato e per le emozioni che ha saputo trasmettere come pochi altri.
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"Fratelli d'Istria". Recensione del libro di Guido Rumici.
Le vicende che colpirono gli Italiani del confine orientale alla fine della seconda guerra mondiale sono state a lungo trascurate dalla storiografia ufficiale nazionale quasi che si volesse stendere un velo di silenzio su una pagina buia del nostro Paese.Con il Trattato di pace del 1947 venero cedute alla Jugoslavia di Tito le intere province di Pola, Fiume e Zara oltre che una consistente porzione delle province di Trieste e Gorizia.La conseguenza fu drammatica e provocò l’esodo di circa 350.000 giuliani e dalmati, con interi paesi che si svuotarono nel giro di pochi anni. I pochi che restarono si ritrovarono dopo poco tempo "stranieri in Patria" in un’Istria completamente cambiata e snazionalizzata da un regime, quello di Tito, che non lesinò minacce e vessazioni verso tutti coloro che potevano rappresentare, di fatto o anche solo potenzialmente, degli oppositori al nuovo ordine costituito. La storia dell’Istria e di Fiume dal 1945 fino ai giorni nostri ci viene raccontata dal prof. Guido Rumici nel volume "Fratelli d’Istria 1945-2000", fresco di stampa, pubblicato da Mursia Editore di Milano. Si tratta di un’opera importante perché affronta con rigore storico ed obiettività un’epoca sicuramente difficile della storia delle nostre terre e, soprattutto, è un libro che, avendo divulgazione a livello nazionale, potrà far conoscere finalmente anche ai non addetti le travagliate vicende di un popolo, quello giuliano dalmata, che da sempre si lamenta giustamente per la scarsa attenzione che la Nazione gli ha prestato. E di ciò va dato merito all’Editore Mursia che, dopo aver stampato il fondamentale libro del prof. Gaetano La Perna "Pola-Istria-Fiume 1943-1945", ha ora pubblicato questo nuovo volume "Fratelli d’Istria 1945-2000" di Guido Rumici che può essere visto come la continuazione ed il completamento del primo lavoro citato. Il libro del prof. Rumici appare comunque del tutto innovatore soprattutto perché traccia una panoramica sull’intero dopoguerra in Istria, a Fiume ed in Dalmazia, analizzando in modo oggettivo e pacato il fenomeno dell’esodo e di come un popolo divenne minoranza in soli pochi anni. Ciò è abbondantemente spiegato con una notevole massa di dati (tutte le statistiche dei censimenti jugoslavi sono riportate), di fatti e di episodi che videro il regime jugoslavo ghettizzare la lingua e la cultura italiana in spazi sempre più ridotti. Vennero chiuse scuole, asili, circoli di cultura italiani, mentre la gente partiva senza soluzione di continuità per raggiungere l’Italia o per fuggire ancora più lontano, verso le Americhe o l’Australia. Da Pola partirono 28.000 persone su 32.000, da Fiume 54.000 su 60.000, 8.000 su 10.000 da Rovigno e 14.000 su 15.000 da Capodistria. Dalle altre località, da Umago, Pirano, Parenzo, Cittanova, Isola, Albona, Cherso, Lussino e Zara l’andamento fu circa analogo con punte del 90-95% di esodati. E chi rimase? Coloro che avevano creduto nel nuovo regime comunista (e in buona parte poi se ne pentirono) o che avevano voluto restare per accudire gli anziani o per non aver avuto la forza di lasciare la propria terra, il proprio mare. Molte famiglie si divisero, partirono i giovani, rimase qualche anziano. Un popolo, una comunità che è stata divisa da una tragedia bellica a distanza di più di mezzo secolo viene riguardata oggi con un occhio nuovo. Guido Rumici per anni ha raccolto voci, relazioni, testimonianze di genti che per vari motivi ha fatto la scelta o dell’esodo o di una nuova imposizione statale. Una scelta decisamente sofferta, e quasi sempre lacerante, sia per i 350.000 esuli sia per gli esiliati in casa. "Fratelli d’Istria" vuole contribuire soprattutto a far conoscere la situazione attuale dei rimasti ed i mutamenti storici, economici e politici che si sono verificati nel volgere di questo ultimo mezzo secolo e che furono la causa di tante sofferenze e che, soprattutto, spinsero la maggior parte della popolazione ad abbandonare tutto ciò che possedeva pur di fuggire da una realtà non più tollerata. Degne di menzione sono poi le appendici che raccolgono diverse testimonianze, la cronologia ed una ricca bibliografia per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento. Il volume del prof. Rumici è pure arricchito da numerose fotografie dell’epoca che bene rendono l’idea del clima che si viveva nella Jugoslavia di Tito. Si tratta, in definitiva, di un libro che meriterebbe un’ampia diffusione non solo nel mondo degli esuli, di cui illustra in sintesi fatti e vicende, ma soprattutto tra tutti quei nostri connazionali, ed in particolare i giovani studenti, che potranno avere l’opportunità di conoscere finalmente una pagina drammatica della storia d’Italia.
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