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Sulle esecuzioni per infoibamento e sui recuperi delle salme si possono consultare i seguenti documenti:
Brani estratti dai verbali delle sedute del Partito comunista sloveno.
Rapporto sul recupero delle vittime dalla foiba di Vines (del sottufficiale dei V.V.F.F. Arnaldo Harzarich - 41° Corpo di Stanza a Pola "Ufficio del Governo Militare Alleato"). E' disponibile, oltre al riassunto, anche il testo integrale).
Diversi rapporti della Special intelligence americana (S.i.) tratti dall'archivio nazionale di Washington (leggi, a tal proposito, un articolo tratto dal "Corriere della Sera" del 24/02/'04 nel quale vengono citati più volte);
documenti anglo-americani sulle uccisioni di Basovizza;
relazione del tenente Carlo Chelleri 30.7.1945;
verbali dell’Ispettore De Giorgi della Polizia scientifica CID del GMA Governo Militare Alleato;
attestazione del Deposito inglese 18 FMA;
verbale firmato da Emanuele Cossetto;
agenzia ANSA del 1 aprile 1947;
informazione del 17 luglio 1948 del Comitato Recupero Salme degli Italiani infoibati;
documenti dell’Ufficio Anagrafico di Trieste sul quale lavorò l’ing.Gianni Bartoli, sindaco di Trieste;
relazione del CLN alla Conferenza di Pace;
scritti del prof. Diego De Castro, consigliere politico del Governo italiano presso il GMA;
circolare Obl. KKPH del 29.8.1944 del Partito Comunista di Pola;
elenco dell’Istituto per la storia del movimento della resistenza del Friuli-Venezia Giulia;
relazione all’VIII Convegno regionale di speleologia del Friuli-Venezia Giulia del 4-5-6 giugno 1999;
21 luglio 1945. La documentazione si trova a Trieste presso l'archivio dell’Istituto per la storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia;
Antun Giron, storico croato: "Cadaveri scomodi";
Luciano Giuricin di Rovigno, ricordando che nella cittadina si costituì una sorta di corpo di polizia denominato "CEKA" (Guardie della Rivoluzione), che aveva come modello la milizia segreta bolscevica, creata durante la Rivoluzione d’ottobre in Russia, scrive: "I massimi esponenti del comitato partigiano rovignese, con Pino Budicin e Giusto Massarotto in testa, ebbero un bel da fare per neutralizzare l’azione di questi avventurieri e far si che gli arresti fossero limitati ai soli fascisti responsabili di precise colpe durante il ventennio". Giuricin, che al momento dei fatti era un giovane partigiano, prosegue: "Gli orrendi misfatti delle foibe vengono compiuti da carcerieri e da uomini senza scrupolo, incaricati di eliminare le vittime al più presto, senza lasciare traccia";
testimonianza del capitano del POC (Partizanski Obavjestajni Centar) Zvonko Babic (6 novembre 1943): "La lotta contro i nemici del popolo è stata condotta in maniera radicale". Nel 1943 le aree che subirono una pulizia totale -secondo il Babic - furono quelle di Gimino e del Parentino. Il capitano racconta che dalla foiba di Lindaro vennero estratte, tra le altre, le salme di tre giovani sorelle, tra i diciassette ed i ventun anni, una delle quali in stato di gravidanza avanzata, nonché un ragazzo di 18 anni infoibato assieme al padre. Ad Albona conclusero la vita nell'abisso anche un antifascista, Giacomo Macillis, che aveva guidato la rivolta dei minatori di carbone dell’Arsia nel 1921 e Lelio Zustovich, dirigente del Partito comunista croato;
relazione del dott. Oleg Mandich, esponente dello ZAVNOH (1944);
la denuncia del partigiano Pino Giuricin alla Prima Conferenza dei comunisti istriani a Brgudac, (novembre 1943) fa sapere:"…incresciosi incidenti di stampo nazionalista che causano un certo disorientamento tra l’elemento italiano dell’Istria e non pochi danni al Movimento di Liberazione stesso";
Laura Marchig, su "La voce del Popolo" - Fiume, 26 luglio 1990, in un articolo "Storia di Libera Sestan e di suo padre" ha indagato su alcuni responsabili: Mate Stemberga, nato a San Bortolo, così dichiara di esserle stato riferito in una intervista, fu il primo a gettare le persone nelle foibe. Ma mica solo nelle foibe ammazzava la propria gente. Le gettava anche in mare e nelle grotte d’acqua salata vicino a Fianona. Fu lui, a capo di uno squadrone della morte, a raccogliere per le case di Albona parecchie decine di italiani, scelti tra quelli che conosceva, tra quelli che appartenevano alla piccola borghesia albonese, come l’avv.Pietro Milevoi [...];
Gaetano La Perna, nel suo libro "La lenta agonia di un lembo di terra" riporta un nutrito elenco di responsabili dell’eliminazione fisica
degli italiani e sostiene che i principali inquisitori, accusatori, giudici, carnefici, aguzzini e sicari che si resero tristemente famosi in tutta
l’Istria per la loro azione furono:
1- Ivan Motika, giudice del Tribunale del Popolo di Pisino;
2- Belentich detto "Drago";
3- una lattivendola di nome Tonka Antonia Surian;
4- l’ex sergente dell’esercito italiano Ciro Raner, con le sorelle
Nada, Vanda e Lea;
5- il rovignese Giusto Massarotto;
6- il gobbetto Ivan Kolic detto "il terrore di Barbana";
7- Rade Poropat;
8- il maestro elementare Joakim Rakovac di Racozzi;
9- i fratelli Silvio ed Antonio Bencich di Sanvincenti;
10- il capo della polizia partigiana dell’Istria centrale Giovanni Maretich;
11- Benito Turcinovic;
Nella relazione dal titolo "I resti umani nelle grotte del Carso di Podgorje a sud-est di Trieste", presentata dal geologo sloveno Franc Maleckar, dello Speleo Club "Dimnice" di Capodistria (Koper) Slovenia, al Convegno di Speleologia di Ronchi dei Legionari tenutosi il 4-5-6 giugno 1999, l’autore scrive: "Il Consiglio esecutivo del Comune di Koper-Capodistria, il 25 settembre 1999, ha formato la Commissione per la preparazione della lista delle grotte contenenti resti umani nel territorio comunale. Con gli scopi di pietà, con il compito di provvedere all’identificazione dei resti e di proporre il luogo ed il modo della loro sepoltura." Il geologo fa una relazione dettagliata di quanto la Commissione ha rinvenuto all’interno di (sole) 11 delle 116 grotte dell’altipiano carsico di Podgorie. Così descrive l’operazione di recupero effettuata dal gruppo speleologico "Dimnice", coadiuvato da due esperti dell’Istituto di medicina legale di Lubiana, scesi nelle profondità tra il 13 e il 17 luglio del 1992: "Con degli argani sono state recuperate solo le salme (si calcola 130 persone) che si trovavano sul fondo di quelle grotte e che erano in vista. I resti, messi nei sacchi e catalogati per sesso, altezza, età e segni particolari (circa 360 chili di ossa), si trovano ora nei depositi dell’Istituto di medicina legale di Lubiana perché il Comune di Capodistria non ha pagato le spese". Nelle conclusioni il geologo-speleologo Franc Maleckar dice: "Quello che abbiamo trovato è solo la punta di un iceberg. Purtroppo lo scopo della Commissione non era quello dichiarato, ma quello di usare gli speleologi per nascondere ciò che non sono riusciti a nascondere, usando le mine e ricoprendo le vergogne con la ghiaia e con i rifiuti. Questo lo denunciamo".
- Tratto da il "Libro bianco" di Antonietta Vascon.
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Gli stralci dei verbali che seguono si riferiscono alle sedute del Partito comunista sloveno del 28 agosto 1944 e del 7 marzo 1945.
L'importanza della seduta del 28 agosto 1944 è dovuta a diversi motivi. Edvard Kardelj, leader dei comunisti sloveni, stretto collaboratore di Tito e futuro ideologo del regime, vi condusse un'analisi di politica estera che individuava negli Stati Uniti il vero nemico da battere. A tale giudizio si collegarono
sia il salto di qualità nella trasformazione della guerra di liberazione in azione rivoluzionaria,
sia la scelta di puntare senza riserve alla presa del potere in tutta la Venezia Giulia; le conseguenze di tale decisione politica saranno parte costitutiva della cosiddetta "svolta di autunno" in cui gli esponenti jugoslavi, a partire da Tito, esplicitarono le loro rivendicazioni su Trieste.
Nella seduta del 7 marzo 1945, invece, vennero impartite le direttive di fondo per la presa del potere a Trieste. Da notare come il discorso ruoti in gran parte sull'esigenza del controllo del territorio, da realizzare anche in presenza di eventuali truppe angloamericane.
28 agosto 1944
Occupare per primi. Tenere preparato tutto l'apparato! Dappertutto, il più possibile, bandiere slovene e jugoslave. A eccezione di Trieste, non permettere in nessun altro posto manifestazioni italiane! Soltanto dove rappresentano qualcosa come gruppo antifascista [...] Rinforzare l'OZNA. Una formazione forte. Dalle formazioni militari regolari in OZNA - che anche opera come polizia! Provvedere ad assumere il potere subito, subito assicurare l'ordine, liquidare subito la Bela Garda! Provvedere già adesso tutto per le città! Lubiana, Gorizia, Trieste, Klagenfurt. [...] Gruppi dell'OZNA a Trieste, Gorizia - più forti possibile. Pulire in dimensione limitata, che non risulti un uccidersi reciproco.
7 marzo 1945
Ci sarà lo sbarco alleato, essi avranno il potere militare, noi quello civile e di polizia. [...] A Trieste organizzare l'insurrezione dal di dentro. Rafforzare i legami con gli italiani. Preparare per Trieste il personale qualificato - la polizia. In 28 ore bisogna mettere in funzione tutto l'apparato - prelevare tutti i reazionari e condurli qui, qui giudicarli - là non fucilare. [...] A Trieste instaurare l'ordine, mettere in moto tutte le aziende - nel comitato del potere a Trieste gli italiani siano solo comunisti. Un forte potere poliziesco.
Brani estratti dai dispacci dei Comitato centrale del Partito comunista sloveno al Comitato direttivo del Partito per il litorale sloveno.
29 aprile 1945
Tutte le unità non tedesche e l'intero apparato amministrativo e di polizia a Trieste vanno considerati nemici e occupatori. Impedite che si proclami qualsiasi potere che si definisca come antitedesco. Tutti gli elementi italiani di questo tipo possono soltanto consegnarsi e capitolare all'armata jugoslave di liberazione. Tutto ciò che agisca contro di essa è esercito di occupazione e in questo senso la vostra linea (mobilitazione di masse italiane) è corretta.
29 aprile 1945
Smascherate ogni insurrezione che non si fondi sul ruolo guida della Jugoslavia di Tito contro l'occupatore nel Litorale, sul Comando di città, sulla cooperazione fra italiani e sloveni, consideratela un sostegno all'occupatore e un inizio di guerra civile.
30 aprile 1945
Tutti gli elementi ostili devono essere imprigionati e consegnati all'OZNA che avvierà il processo. Va seguito il principio di non concedere subito troppa democrazia, dal momento che più tardi sarà più facile ampliarla che ridurla.
30 aprile 1945
Epurare subito, però non sulla base della nazionalità, ma del fascismo.
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La deposizione resa dal maresciallo dei vigili del fuoco Arnaldo Harzarich (click sull'icona per ingrandirla).
A Vines furono estratte 84 salme.
L'opera di recupero delle vittime delle foibe in Istria impegnò i vigili del fuoco di Pola diretti da un maresciallo, Arnaldo Harzarich, dalla metà di ottobre 1943 fino all'inizio del 1945. I particolari dell'esplorazione di quella di Vines sono contenuti in una deposizione, corredata da fotografie, da questi rilasciata a Pola ai servizi anglo-americani nell'estate del '45. I relativi materiali si trovano oggi nell'archivio dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli-Venezia Giulia. Riportiamo di seguito il resoconto della deposizione citata, pubblicata da "Foibe ed
esodo", Speciale della Rivista semestrale dell'Istituto Regionale per la Cultura Istriana di Trieste, Anno II - Inverno 1997 - Primavera 1998.
A Vines, il "recupero di salme vittime della ferocia slavo-comunista", come si dice nel sottotitolo, inizia il 6 ottobre 1943 su denuncia di
tale "Monti di Albona", secondo cui qui "vi sarebbero dei cadaveri". Con Harzarich sono giunti da Pola 5 vigili del fuoco, il procuratore di stato, un medico del quale l'interrogato non ricorda il nome, 2 giudici o cancellieri del tribunale, il fotografo Sivilotti, una scorta armata di 25 uomini forniti dalla P.S. di Pola per tema di attacchi da parte di partigiani e alcuni parenti di scomparsi.
La squadra si avvale di una "biga formata da pali fissi all'estremità superiore e aperti a quella inferiore a mo' di piramide", e "un paranco da VV.FF. con doppia carrucola": una per l'operatore, l'altra di riserva. Terminata l'impalcatura, Harzarich scende e "alla profondità di 66 metri, sopra un piano fortemente inclinato, trova alcuni indumenti di vestiario maschili e femminili e due salme che vengono immediatamente portate alla luce". È presente pure il direttore delle Miniere Carbonifere dell'ARSA, "che riconosce i due per: Stossi Bruno, di Giovanni, di anni 39, elettricista da Pola, operaio nelle miniere dell'ARSA, e Chersi Mario, fu Andrea, capo Operaio nelle miniere dell'ARSA, da Albona". Il giorno successivo "il riconoscimento delle salme viene confermato dai familiari accorsi". I due hanno i polsi "legati con filo di acciaio stretto da pinze" e "i corpi fissati, spalla contro spalla, da un cavo d'acciaio" di circa 20 metri, dello spessore di 5/6 mm. I lavori vengono sospesi con il buio.
Il 17 ottobre, con materiale e personale messo a disposizione dalla direzione delle miniere, si costruisce un'impalcatura più idonea e Harzarich scende a 146 metri per trovare un secondo piano che "è pieno di cadaveri". Viene però recuperato un solo corpo, perché, "per la improvvisa partenza della scorta armata, si devono sospendere i lavori". Il direttore riconosce trattarsi di un suo dipendente.
Il 18 ottobre Harzarich ed i suoi sei colleghi sono coadiuvati da 12 uomini della squadra di soccorso delle Miniere. In luogo delle precedenti maschere antigas "inefficaci per le grandi profondità", dispongono di autoprotettore. La scorta è assente. Alla sera "altre 12 salme sono alla superficie. Harzarich precisa che "esse sono certamente nelle foto allegate, ma non è in grado di riferire con esattezza".
Il 19 ottobre si registra il "recupero di altre 14 salme", ma "l'ing. Vagnati, comandante dei VV.FF. ordina la sospensione dei lavori per la mancata assegnazione, dopo la prima azione, di scorta armata, medico e sacerdote".
Il 23 ottobre i lavori vengono ripresi "per interessamento dell'Ecc. Radossi, vescovo di Pola ed a richiesta insistente di molti familiari di scomparsi" e impegnano Harzarich e tre vigili del fuoco. La scorta è data da "30 marinai tedeschi al comando di un ufficiale. È presente, oltre alla regolamentare autorità giudiziaria" il vescovo di Pola. Fra le 12 salme recuperate vi sono quelle di due donne "che vengono riconosciute per Cnappi-Battelli
Maria, fu Giovanni, di anni 42, ostetrica a S. Domenica di Albona" la cui uccisione sarebbe motivata "secondo le voci circolanti ad Albona dall'assistenza ad un parto di donna slava che ebbe il bambino morto". "Anch'essa fu prelevata - prosegue il rapporto - dagli armati di Tito nei giorni che seguirono l'8 settembre 43, dalla propria abitazione". L'altra è Paoletti Teresa di Antonio, di anni 49, da Parenzo, casalinga di cui si ignora il "presunto motivo che ha condotto i partigiani slavi" all'assassinio.
Sempre in ottobre, in date imprecisate, i lavori proseguono. Un giorno vengono estratte 18 salme di cui "l'interrogato ricorda il riconoscimento di Rocco Isacco, fu Antonio, di anni 51, da San Lorenzo del Pasenatico", persona che "pur avendo ricoperto la carica di segretario politico a San Lorenzo, era benvoluto e stimato per la sua onestà e soprattutto per il suo alto senso di italianità." Era inoltre "ammalato di tisi".
Si arriva così all'ultima giornata, sempre in ottobre, in cui "con due discese vengono estratte le ultime 25 salme. Diverse sono subito riconosciute ma l'interrogato non è in grado di fornire dei dati precisi." Terminano così le estrazioni "con i seguenti dati finali: giorni di lavoro n. 8; discese effettuate n. 9; salme di vittime estratte n. 84. Fra queste 3 donne, 1 giovane di 18 anni e 12 militari germanici".
Nel capitolo "Varie" si rileva che tutte le salme estratte "hanno i polsi fissati da filo di ferro arrugginito del diametro di mm. 2 circa" che, dichiara l'interrogato "è sempre stato strinto (fino a spezzare il polso) con pinza o tenaglia. Molte salme erano accoppiate mediante legatura, sempre da filo di ferro, nei due avambracci". Nella parte Sud, a circa 4 metri dall'orlo, vi è "un foro cilindrico delle dimensioni di 30 cm. diam. per 10/15 di profondità che fa pensare a "al piazzamento di un'arma per far fuoco sugli uccisi. In seguito una donna partigiana di Barbana della quale l'interrogato non ricorda il nome" ha detto trattarsi di "un foro in cui veniva inserita una piastra di rame di stazione radio che serviva perla trasmissione delle cronache delle uccisioni" ad opera di "una donna di circa 25 anni, in divisa, che dava la cronaca degli avvenimenti in fonia usando la lingua russa". A questo punto l'estensore del rapporto rileva "Notizie da prendersi con riserva fino alla conferma da altra fonte". Infine "alcune salme colpite da arma da fuoco con penetrazione dei proiettili in vari sensi e tracce di proiettili schiacciate nelle pareti delle foibe a profondità diverse (non oltre i 30 metri) fanno
pensare che i partigiani appostati sugli orli della foiba si divertissero a sparare dietro ai precipitati".
Ordine cronologico e descrizione nei particolari possibili delle azioni che dirette dall' interrogato hanno condotto al recupero di salme vittime della ferocia slavo-comunista.
16 ott. '43 - Foiba di Vines
Esplorata in mattinata la foiba di Cregli i cui lavori devono essere sospesi perché la corda disponibile non basta per raggiungere il fondo, il personale designato dall'Autorità provinciale di Pola si reca nei pressi di Vines, alla foiba denominata "dei colombi" ove, secondo la denuncia di tale Monti da Albona, vi sarebbero dei cadaveri. Iniziano immediatamente i lavori, organizzati come segue:
PERSONALE
Maresc. Harzarich caposquadra
Vigile Prinz Giuseppe
" Biluccaglia Giordano
" Dellore Giovanni
" de Angelini Mario
" Valente Mario
Tutti del 41° Corpo V.V.F.F. di Pola.
SCORTA
Per tema di attacchi da parte di partigiani, ogni spedizione del genere ha una scorta armata che nella presente è rappresentata da 25 uomini forniti dalla Ps di Pola.
AUTORITÀ PRESENTI
Procuratore di Stato di Pola.
Un medico di Pola del quale l'interrogato non ricorda il nome.
2 giudici o cancellieri del tribunale di Pola.
1 fotografo: Sivilotti di Pola. Alcuni parenti di scomparsi.
ATTREZZATURA
Biga formata da alcuni pali fissi all'estremità superiore e aperti all'estremità inferiore a mo' di piramide. Un paranco da VV.FF. con doppia carrucola: una per fissare l'operatore e l'altra di riserva. L'operatore è munito di elmetto, maschera antigas comune, vestito antipritico. Porta inoltre un telefono (militare da guardiafili) per il collegamento con la superficie.
OPERAZIONE
Terminata l'impalcatura che si vede nella foto n. 4 dell'allegato n. 2, il Mar. Harzarich scende. Alla profondità di 66 metri, sopra un piano fortemente inclinato, trova alcuni indumenti di vestiario maschili e femminili e due salme che vengono immediatamente portate alla luce. Il Direttore delle Miniere Carbonifere dell'ARSA, presente, riconosce i due per:
1. Stossi Bruno, di Giovanni, di anni 39, elettricista da Pola, operaio nelle miniere dell'ARSA. Vedi foto 1-2-3, alla lettera A, dell'allegato n. 2.
2. Chersi Mario, fu Andrea, capo Operaio nelle Miniere dell'ARSA, da Albona.
Vedi foto n. 3 alla lettera B, dell'allegato n. 2.
Il giorno successivo, il riconoscimento delle salme viene confermato dai famigliari accorsi.
L'interrogato non è in grado di fornire particolari sulle eventuali colpe dei due che hanno indotto i partigiani slavi a prelevarli nelle loro case nella prima quindicina del settembre 43, per gettarli nell'abisso.
I polsi dei disgraziati sono legati con filo di acciaio stretto da pinze. I corpi fissati, spalla contro spalla, da un altro cavo d'acciaio lungo circa 20 mt. e dello spessore di 5/6 mm. Il lavoro viene sospeso a sera.
17 ott. '43
I lavori si riprendono di buon mattino.
Con materiale e personale messo a disposizione dalla direzione delle Miniere dell'ARSA, viene costruita un'impalcatura più idonea (vedi pag. 4 dell'opuscolo "Ecco il conto", allegato n. 3), dopodiché l' Harzarich scende a 146 metri per trovare un secondo piano. La visione è delle più macabre: il piano è pieno di cadaveri.
Una sola salma può essere recuperata perché, per la improvvisa partenza della scorta armata, si devono sospendere i lavori.
Il Direttore delle Miniere dell'ARSA riconosce anche tale vittima per suo dipendente, ma l'interrogato non è in grado di dare riferimento fotografico.
Essi sono aiutati da 12 uomini della squadra di soccorso delle Miniere d'ARSA, messi a disposizione dalla Direzione di detta Società. Gli operatori scendono muniti di autoprotettore, in sostituzione delle maschere anti-gas, inefficaci per le grandi profondità. La scorta è assente.
A sera altre 12 salme sono alla superficie. L'interrogato dichiara che esse sono certamente nelle foto allegate, ma non è in grado di riferire con esattezza.
19 ott. '43
Recupero di altre 14 salme.
L'ing. Vagnati, comandante dei V.V.F.F. ordina la sospensione dei lavori per la mancata assegnazione, dopo la prima azione, di scorta armata, medico e sacerdote. Per interessamento dell'Ecc. Radossi, vescovo di Pola, e a richiesta insistente di molti famigliari di scomparsi, i lavori vengono ripresi il:
23 ott. '43
PERSONALE
Maresc Harzarich
Vigile de Angelini Mario
" Bussano Giordano
" Giacomini Bruno
con la squadra di soccorso delle miniere d'ARSA.
SCORTA
30 marinai tedeschi al comando di un ufficiale.
AUTORITÀ
Oltre alla regolamentare autorità giudiziaria, presenzia Mons. il Vescovo di Pola.
I lavori portano al recupero di n. 12 salme tra le quali due donne che vengono riconosciute per:
3. Cnappi-Battelli Maria, fu Giovanni, di anni 42, ostetrica a S. Domenica di Albona.
La sua uccisione è motivata, secondo le voci circolanti ad Albona, dall'assistenza ad un parto di donna slava che ebbe il bambino morto. Anch'essa fu prelevata dagli armati di Tito nei giorni che seguirono l'8 settembre 43, dalla propria abitazione.
4. Paoletti Teresa di Antonio, di anni 49, da Parenzo, casalinga. Ignorato anche il presunto motivo che ha condotto i partigiani slavi all'assassinio della Paoletti.
Ott. '43
I lavori continuano, presente oggi, a rappresentanza dell'Autorità eccelesiastica, il parroco di Albona. Vengono estratte n. 18 salme. L'interrogato ricorda il riconoscimento di:
5. Rocco Isacco, fu Antonio, di anni 51, da San Lorenzo del Pasenatico.
Il Rocco, pur avendo ricoperto la carica di segretario politico a San Lorenzo, era benvoluto e stimato per la sua onestà e soprattutto per il suo alto senso di italianità. Era ammalato di tisi. La sua salma è riprodotta nella foto n. 5 dell'allegato n. 2.
Ott. '43
Con due discese vengono estratte le ultime 25 salme. Diverse sono subito riconosciute, ma l'interrogato non è in grado di fornire dei dati precisi. Terminano così le estrazioni dalla foiba di Vines con i seguenti dati finali:
giorni di lavoro n. 8 discese effettuate n. 9
salme di vittime estratte n. 84
Fra queste 3 donne, 1 giovane di 18 anni e 12 militari germanici.
Allegato n. 8 alla relazione: il Maresc. Harzarich alla superficie dopo molte ore di lavoro nella foiba di Vines.
Varie
Ottobre '43
Tutte le salme estratte dalla foiba di Vines hanno i polsi fissati da filo di ferro arrugginito del diametro di mm. 2 circa. L'interrogato dichiara, nella sua qualità di esperto meccanico, che il filo è sempre stato stretto (fino a spezzare il polso), con pinza o tenaglia. Molte salme erano accoppiate mediante legatura, sempre da filo di ferro, nei due avambracci. Da notare che dei due disgraziati sempre soltanto uno presenta segni di colpi di arma da fuoco il che fa comprendere che il colpito si è trascinato dietro il compagno ancor vivo. Nella parte Sud della foiba, a circa 4 metri dall'orlo di essa, vi è un foro cilindrico delle dimensioni di cm 30 diam. per 10-15 di profondità. Tale particolare ha fatto pensare dapprima al piazzamento di un'arma per far fuoco sugli uccisi. In seguito, una donna partigiana di Barbana della quale l'interrogato non ricorda il nome, ha narrato trattarsi di un foro cui veniva inserita una piastra di rame di stazione radio che serviva per la trasmissione delle cronache delle uccisioni in massa. La radiotelegrafista sarebbe stata una donna di circa 25 anni, in divisa, che dava la cronaca degli avvenimenti, in fonia, usando la lingua russa. (Notizie da prendersi con riserva fino alla conferma da altra fonte).
Alcune salme colpite da arma da fuoco con penetrazione dei proiettili in vari sensi e tracce di proiettili schiacciate nelle pareti delle foibe a profondità diverse (non oltre i 30 metri), fanno pensare che i partigiani slavi, appostati sugli orli della foiba, si divertissero a sparare con i mitra, dietro ai precipitati.
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