Home Page | I presunti infoibatori. |
Questa pagina contiene i nomi di alcuni dei presunti infoibatori ed articoli di approfondimento.
Segnalo, inoltre, una interessante mail inviatami da un funzionario in pensione dell'I.N.P.S. (che qui pubblico integralmente) sulla erogazione indebita di pensioni agli infoibatori.
- Premessa.
L' Inps eroga 29.149 pensioni nell' ex Jugoslavia spendendo circa 200miliardi l'anno. Fra questi vecchietti che hanno diritto alla "minima" si annidano alcuni " presunti" responsabili della pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito contro gli italiani alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Crimini di guerra che hanno fatto sparire per sempre, nelle foibe, migliaia di persone e hanno provocato un esodo di 350 mila istriani, fiumani e dalmati. Una tragedia che ha segnato la storia del nostro Paese. Fino ad oggi abbiamo sborsato oltre 5mila miliardi e non sono servite denunce, interrogazioni parlamentari e inchieste della magistratura a bloccare questa vergogna.
Ciro Raner | |
Nerino Gobbo | |
Franco Pregelj | |
Giorgio Sfiligoi | |
Oscar Piskulic | |
Ivan Motika | |
Giuseppe Osgnac | |
Guido Climich | |
Giovanni Semes | |
Mario Toffanin | |
Alojz Hrovat |
Avijanka Margitic |
- Articoli di approfondimento.
L'inchiesta pubblicata da "Panorama" il 3 maggio 2001: "I vecchi boia svernano dietro l'angolo". |
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Articolo sui dodici Carabinieri torturati (tratto da "Libero" del 25 aprile 2001). |
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Elenco dei "presunti" infoibatori.
Età: 83 anni Residenza: Croazia. Incarico: comandante nel 1945-46 dei lager di Borovnica vicino Lubiana. Testimonianze: il racconto di un sopravvissuto, deposizioni scritte degli ex deportati e un documento del ministero degli Affari Esteri. Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità. 50 milioni circa di arretrati. |
Le sue azioni valorose:
Dal maggio 1945 al marzo 1946 Ciro Raner comandò il campo di concentramento di Borovnica in cui sono stati deportati oltre duemila italiani, in gran parte militari che si erano arresi. "Eravamo in fila con un scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola. Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace. Arrivò il Raner che, dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca". Questo il racconto di Giovanni Prendonzani, sopravvissuto a Borovnica e ancora in vita a Trieste, città nella quale ha rilasciato la sua testimonianza ai Carabinieri. Sempre nel lager di Borovnica: " Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema: presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato. Dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie. Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize (sentinelle, ndr) che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto". Questo racconto è riportato sul documento n. 62, archiviato nella stanza 30 al primo piano del ministero degli Affari Esteri e consegnato al giudice Pititto.
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Età: 79 anni. Residenza: Slovenia. Incarico: nel maggio-giugno 1945 responsabile di Villa Segré a Trieste luogo di tortura delle milizie titine. Testimonianze:denuncia alle autorità alleate, riportata negli annali del Comitato di liberazione nazionale dell'Istria, sentenza della Corte d'Assise di Trieste che lo condanna in contumacia a 26 anni di reclusione. Pensione INPS:532.500 lire per tredici mensilità. 30 milioni circa di arretrati. |
Le sue azioni valorose:
Nerino Gobbo, conosciuto come il comandante "Gino", ricopriva l'incarico di commissario del popolo delle milizie di Tito, che con il IX Corpus avevano occupato il capoluogo giuliano il primo maggio 1945. Fino a metà giugno fu responsabile di Villa Segré di Trieste. Silvana Spagnol, membro del Comitato di liberazione nel capoluogo giuliano, denunciava agli alleati nel 1946 la scomparsa della professoressa di lettere del liceo Petrarca, Elena Pezzoli, membro della resistenza. "Il 20 maggio 1945, Elena Pezzoli era tradotta in macchina da agenti in borghese a Villa Segré, sede del commissariato del secondo settore dipendente dalla Difesa popolare (le milizie degli occupanti titini, ndr). (...) La Pezzoli fu torturata nella notte del 21 maggio e si sono uditi i lamenti e i rumori di cinghia (...). Il giorno 9 giugno la Pezzoli era scomparsa e con lei il comandante Gino, Nerino Gobbo". Questo si legge nella denuncia acquisita dalla magistratura di Roma. Acquisita pure la sentenza del 17 gennaio 1948 della Corte d'Assise di Trieste, in cui i giudici scrivevano: "Dopo qualche giorno tutta la squadra si trasferiva à Villa Segré assumendo il nome di squadra volante (...), e passava alle dirette dipendenze del commissario del popolo, Gino, di nome Nerino Gobbo. (...) Come risultò dalle deposizioni dei testi tutti i detenuti venivano bastonati e seviziati, taluni costretti a bastonarsi a vicenda e persino a mettere la testa nel secchio delle feci". Gobbo fu condannato in contumacia a 26 anni di reclusione.
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Età: 80 anni. Residenza: Slovenia. Incarico:commissario politico del IX Corpus del maresciallo Tito a Gorizia. Testimonianze: denuncia dei familiari delle vittime e documento del PCI. Pensione INPS: 569.650 lire per tredici mensilità. 45 milioni circa di arretrati. |
Le sue azioni valorose:
dal primo maggio al 9 giugno 1945, il comandante "Boro", alias Franco Pregelj fu il commissario politico del IX Corpus dell'esercito partigiano jugoslavo, che aveva occupato Gorizia. Dei 900 italiani deportati dal capoluogo Isontino, 665 non tornarono più a casa. Fra gli scomparsi anche Licurgo Olivi e Augusto Sverzutti, entrambi esponenti del Comitato di Liberazione. "La mattina del 5 maggio 1945 furono invitati a salire su una macchina, sulla quale c'era anche il professor Mulitsch e il commissario Boro. Giunti in piazza della Vittoria il professor Mulitsch fu fatto scendere mentre la macchina proseguì verso il palazzo Coronini (comando del IX Corpus titino a Gorizia, N.d.R.). Da allora non sono più tornati".Questo hanno denunciato i familiari di Sverzutti nel 1946 alla questura del capoluogo isontino. Emilio Mulitsch, responsabile del CLN di Gorizia, ha confermato la vicenda con una relazione conservata nell'Ufficio storico del PCI (documento 4004, pagg. 1-4, reg. C). Lo studioso pordenonese Marco Pirina ha trovato negli archivi sloveni i numeri di matricola di Sverzutti (n. 1728) e Olivi (n. 1799), deportati nel carcere di Lubiana, un ex manicomio. L'ultima registrazione del 30 dicembre 1945 indica che i prigionieri sono stati trasferiti verso "ignote destinazioni". L'intera documentazione è nei fascicoli della Procura di Roma.
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Età: 74 anni. Residenza: Slovenia. Incarico:collaboratore del IX Corpus jugoslavo. Testimonianze:esposto alla Procura di Gorizia del commissariato di pubblica sicurezza di Cormons. Pensione INPS: 571.850 lire per tredici mensilità. 20 milioni circa di arretrati. |
Le sue azioni valorose:
Sergio era il nome di battaglia di Sfiligoi, che dal 1944 al 1945 fu utilizzato come "deportatore" di italiani dal IX Corpus del Maresciallo Tito. "Il 29 aprile 1945 (...) Sfiligoi Giorgio prelevò, presso le proprie abitazioni le seguenti persone: Brurnat Marino, Bullo Giuseppe, Tavian Giovanni, Ronea Enrico, Gasparutti Rodolfo e Pascolat Francesco. All'insaputa del locale Comitato di liberazione furono trasferiti, la notte del 30 aprile a (...) Idria, ove furono consegnati ai partigiani sloveni. Il 1 maggio successivo (...) Mons. Angelo Magrini si recò in Idria, ove ottenne la liberazione dei catturati, i quali fecero ritorno a Cormons presso le loro abitazioni. Nella notte del 6 maggio 1945, i predetti sventurati furono nuovamente prelevati dallo Zulian Nerino, dal Marini Clodoveo e dallo Sfiligoi Giorgio e trasportati - a mezzo di un autocarro - a Caporetto e là consegnati allo Zulian Mario che li freddò". Ciò è quanto si legge nell'esposto del commissariato di pubblica sicurezza di Cormons del 10 maggio 1949 acquisito agli atti.
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Età: 83 anni. Residenza: Croazia. Incarico: capo dell'Ozna, la polizia segreta di Tito, a Fiume dal 1943 al '47. Testimonianze:familiari delle vittime, un membro del CLN di Fiume e documenti vari. Pensione INPS: dato non disponibile. |
Le sue azioni valorose:
Oscar Piskulic, detto "Zuti" (il giallo), fu dal 1943 al 1947 il capo della temuta Ozna, la polizia segreta jugoslava a Fiume. L'avvocato Augusto Sinagra, che con la sua denuncia ha avviato l'inchiesta sul genocidio delle foibe, accusa proprio Piskulic e altri funzionari dell'Ozna, fra i quali gli italiani Norino Nalato e Giuseppe Domancich. Alla Procura di Roma sono stati consegnati 553 nomi di connazionali uccisi o scomparsi nel capoluogo quarnerino e dintorni, dal 3 maggio alla fine dei 1945. "I familiari di alcuni degli uccisi essendosi recati, spinti dall'angoscia, alla sede dell'Ozna a Fiume dove erano raccolti i cadaveri, avevano constatato che i funzionari a cui si erano rivolti erano i medesimi individui che erano penetrati nelle loro case per prelevare i congiunti poscia uccisi. (...) In tal modo l'uomo e la donna che avevano diretto il prelevamento dell'ex deputato della Costituente Sincich vennero identificati nel capo dell'Ozna Oscar Piskulic e nella sua amante (...)" si legge nella testimonianza di Luksic Lanini, membro del CLN di Fiume, consegnata alla Procura di Roma. Il figlio di Giuseppe Sincich, interrogato recentemente dal pubblico ministero Pititto, ha confermato le responsabilità di Piskulic sottolineando che suo padre "era un democratico, un economista, perseguitato dai fascisti, ma i democratici a quel tempo davano molto fastidio".
Da Adnkronos del 28 novembre 2000
Roma - Gli atti del procedimento a suo carico sono solo in lingua italiana e non croata. Così Oskar Piskulic, imputato nel processo sulle foibe che si tiene alla Corte d’Assise di Roma, ha fatto ricorso al Tribunale di Strasburgo per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte d’Assise ha infatti rigettato l’eccezione di nullità delle notifiche e dell’ordinanza di contumacia, mentre gli atti pervenuti a Piskulic sono in lingua italiana e non in lingua croata, come specificamente previsto - sottolinea il legale Livio Bernot- dalla Convenzione, anche alla luce della più recente normativa.
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Età: 92 anni. Residenza: Croazia. Incarico: pubblico accusatore per l'Istria dal 1943 al 1947. Testimonianze: familiari delle vittime. Pensione INPS: dato non disponibile. |
Le sue azioni valorose:
l'8 settembre del 1943 l'esercito italiano era allo sbando su tutti i fronti. In Istria ne approfittarono i partigiani di Tito conquistando diverse cittadine. Ivan Motika ricopriva il ruolo di "giudice del popolo", che decideva il destino degli italiani. "Il castello di Pisino era diventato in quei giorni prigione e quartier generale dei partigiani di Tito, il cui luogotenente (...) era tale Ivan Motika; nel castello si svolgevano i cosiddetti "processi" del "Tribunale del Popolo", presieduto dallo stesso Motika, che sentenziava a decine o centinaia le condanne a morte degli italiani. (...) Il 30 ottobre i resti dei due congiunti (padre e zio dell'estensore di questa testimonianza, imprigionati da Motika, n.d.r.) furono riportati alla luce da una cava di bauxite a Villa Bassotti. (...) "Erano nudi, le mani legate con il filo spinato ed erano stati tagliati i genitali e levati gli occhi. In tutto si ricuperarono 23 salme" così si legge nella deposizione alla Procura di Trieste di Leo Marzini, che racconta di aver incontrato in quei giorni tremendi, lo stesso Motika per chiedergli spiegazioni: "Non fece nulla per limitare le sue responsabilità e si limitò a dire che forse si era trattato di un errore". La deposizione raccolta a Trieste è stata inviata alla Procura di Roma assieme ad altre testimonianze, fra le quali spicca quella di Nidia Cernecca che ricorda ancora il padre decapitato su ordine di Motika, soprannominato "il boia di Pisino".
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Età: 79 anni. Residenza: Slovenia. Incarico: comandante militare della banda partigiana Beneska Ceta dal 1944. Testimonianze:deposizioni al processo contro la Beneska Ceta e testimonianze varie. Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità, 30 milioni d'arretrati. |
Le sue azioni valorose:
Giuseppe Osgnacco, detto "Josko", ex sergente dell'esercito italiano, era il comandante militare della banda partigiana Beneska Ceta fin dal 13 agosto 1944. La formazione operò nelle Valli del Natisone con l'obiettivo dichiarato di annettere più territorio possibile della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Nel 1959 fu istruito un processo contro gli appartenenti alla Beneska Ceta, ma l'amnistia promulgata da Palmiro Togliatti nel 1946 fece sì che fosse dichiarato il non luogo a procedere. Nella nuova inchiesta della Procura di Roma i reati di strage ai danni della popolazione italiana, con finalità di pulizia etnica, non possono andare in prescrizione. Le testimonianze raccolte da Giuseppe Vasi, un udinese che ha dedicato gran parte della sua vita a ricostruire i drammatici giorni della guerra sui confini orientali, sembrano confermare che la Beneska Ceta passava quasi sempre per le armi i prigionieri. "Sono state almeno 40 le persone ammazzate nei boschi circostanti le Valli del Natisone tra militari tedeschi, fascisti e anche civili". Ma la sorte più ingrata toccò a due giovani carabinieri, secondo la testimonianza oculare di Giovanni Lurman consegnata alla Procura di Roma. " I partigiani ordinarono loro di spogliarsi (...), li legarono mani e piedi e li spinsero nella buca (...).Loro piangevano dentro e più che buttavano terra e sassi si sentiva che urlavano" racconta il testimone che ammette di averli disseppelliti personalmente un mese dopo, all'arrivo delle truppe "alleate" (1945), riscontrando che almeno uno dei militari non aveva la pur minima ferita e quindi era morto dopo essere stato sepolto vivo.
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Età: 78 anni. Residenza: Croazia. Incarico: responsabile dell'Ozna di Pisino (Istria) nel 1945. Testimonianze:Associazione famiglie deportati in Jugoslavia. Pensione INPS: dato non disponibile. |
Le sue azioni valorose:
nome di battaglia "Lampo", Guido Glimich era, alla fine della guerra, il temuto capo della polizia segreta di Tito a Pisino nella penisola istriana. L'Associazione famiglie deportati in Jugoslavia aveva raccolto numerose dichiarazioni sulla sparizione degli italiani, poi consegnate alla questura di Gorizia. "Mio figlio Mechis Giovanni fu prelevato il 3/5/1945 dai partigiani titini (...). Con altri otto paesani furono interrogati da un funzionario dell'Ozna, Guido Climich (...). Circa il 25 o 28 maggio furono portati a Montona e racchiusi nelle carceri (...). Il 12 Giugno 1945 un folto gruppo di prigionieri fu prelevato di notte. (....) Pochissimi fecero ritorno e io non seppi più nulla di mio figlio" scriveva in uno stentato italiano Antonio Mechis il 25 giugno del 1949.
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Età: 83 anni. Residenza: Croazia. Incarico: comandante militare di Zara e capo della polizia segreta di Tito dal 1944 al 1945. Testimonianze:documenti della Regia Marina e Jugoslavi. Pensione INPS: dato non disponibile. |
Le sue azioni valorose:
il generale Giovanni Semes, che occupò Zara il 31 ottobre 1944, era comandante militare della piazza e capo della polizia segreta di Tito nella zona. Il giornale croato "Narodni List" ha pubblicato, cinquant'anni dopo, il bando di fucilazione degli abitanti del quartiere di Borgo Erizzo e di altri zaratini. Ventinove italiani erano compresi nel bando firmato dal generale Giovanni Semes, ma altri "settantatrè non hanno avuto la fortuna di essere giudicati perché sono finiti nella fossa marina dell'isola Lavernata nell'arcipelago delle Coronarie" scrive Ivijca Matesie in un'inchiesta giornalistica, acquisita agli atti dal pubblico ministero. Lo studioso Marco Pirina ha segnalato alla Procura di Roma la relazione del secondo reparto della Regia Marina del 20 giugno1945, conservata presso l'archivio centrale dello Stato, che conferma questi tragici fatti imputabili al generale Semes.
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Età: deceduto. Residenza: Slovenia. Incarico: comandante dei "Gap" (Gruppi armati partigiani) nell'alto Friuli e nella provincia di Gorizia. Testimonianze:archivi del IX Corpus di Tito. Pensione INPS: 672.270 per 13 mensilità. |
Le sue azioni valorose:
Toffanin, nome di battaglia "Giacca", è il responsabile della strage delle malga Porzus sui monti friulani. Fra l'8 il 13 febbraio del 1945 massacrò con i suoi uomini, tutti partigiani garibaldini rossi, 22 combattenti della Resistenza della brigata "Osoppo", che si opponeva all'annessione alla Yugoslavia della Venezia Giulia. Nel 1957 Toffanin fu condannato all'ergastolo per l'eccidio di Porzus, ma si nascose prima in Yugoslavia e poi in Cecoslovacchia. Nel 1978 venne graziato dal presidente Pertini. La pensione Inps era la VOS 04908917: nonostante le sanguinose azioni anti-italiane, ha ricevuto 672.270 lire di pensione dall'Inps fino alla morte.
- Questi solo alcuni dei nomi presenti nel "libro paga" dell'INPS.
Articoli di approfondimento.
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Erogazione indebita di pensioni agli infoibatori: ci
scrive un funzionario in pensione dell' I.N.P.S..
A
norma dell’art. 19 del Trattato di Pace firmato a Parigi il 10.02.47, entrato
in vigore il 15.09.47, i cittadini italiani di età superiore ai 18 anni,
residenti al 10.06.40 nei territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia ( 95
Comuni facenti parte delle ex provincie di Trieste, Gorizia, Fiume, Pola e Zara,
attualmente appartenenti a Slovenia e Croazia) i quali erano in possesso della
cittadinanza italiana alla data del 15.09.47 ed erano di lingua d’uso
italiana, avevano la facoltà di optare
per la conservazione della cittadinanza italiana entro un anno da tale data e
cioè entro il 15.09.48. Tale
termine fu poi riaperto per la durata di tre mesi con l’accordo
italo-jugoslavo firmato a Belgrado il 23.12.50.
A)
La Convenzione italo-jugoslava sulle assicurazioni sociali, firmata a
Roma il 14.11.57 e ratificata con legge 11 giugno 1960, n. 885 (G.U. n.210 del
29.08.60).
B)
L’Accordo Amministrativo (di attuazione della Convenzione), firmato a
Belgrado il 10.10.58.
Lo
scambio di note 05.02.59, sulla
falsariga del Trattato ed allo scopo di definire una volta per tutte i diritti
degli ex abitanti dei territori ceduti, stabilisce uno spartiacque in materia di
assicurazioni sociali, individuando due precisi destinatari:
le
“persone italiane” e cioè le
persone che fino alla data dell’entrata in vigore del Trattato di Pace
(15.09.47) avevano la nazionalità italiana e dopo tale data non hanno
acquisito la nazionalità jugoslava (in pratica gli optanti con esito
positivo);
le
“persone jugoslave” e cioè
le persone che hanno acquisito la nazionalità jugoslava in forza del
Trattato di Pace (in pratica i non optanti e gli optanti con esito
negativo).
L’art.
2 dello scambio di note stabilisce che “ i periodi di assicurazione, di
contribuzione e di lavoro compiuti prima del 1° maggio 1945 sotto la
legislazione italiana in materia di assicurazione invalidità, vecchiaia e
superstiti e di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali dalle persone che hanno
abitato nei territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia, sono presi in
considerazione ai fini della liquidazione e del pagamento delle prestazioni:
dalle
istituzioni d’assicurazione sociale italiane (INPS e INAIL) se
si tratta di persone italiane;
dalle
istituzioni di assicurazione sociale jugoslave se si tratta di persone jugoslave.
Con
circolare n. 1500 Prs. del 02.08.61 l’INPS ha disatteso tali accordi
equivocando il principio di separazione
dei diritti sancito nello scambio di note ed interpretandolo nel senso che
dovevano essere presi in considerazione “i periodi di assicurazione compiuti nei
territori ceduti” e non “i periodi compiuti dalle
persone che hanno abitato nei territori ceduti”. Così ha riconosciuto il
diritto all’accreditamento figurativo del servizio militare prestato (ante
1.5.45) dagli ex abitanti dei territori ceduti divenuti
cittadini jugoslavi in forza del Trattato di Pace perché ha
artificiosamente escluso il servizio militare dall’applicazione dello Scambio
di Note, considerandolo come servizio prestato per lo Stato italiano e quindi in
territorio italiano, escluso dallo scambio di note secondo tale distorta
interpretazione (che, si ripete, distingue arbitrariamente i periodi di
assicurazione ecc. compiuti nei territori ceduti dagli altri periodi di
assicurazione compiuti fuori dei territori ceduti). Invece, nello spirito degli
accordi tutti i periodi di assicurazione (anche figurativa) compiuti dagli ex
abitanti dei territori ceduti (in qualsiasi territorio) anteriormente al 1°
maggio 1945 devono essere presi in carico dall’Italia
se trattasi di persone italiane e dalla
Jugoslavia se trattasi di persone jugoslave. Non vi è quindi spazio per un
riconoscimento di contributi anteriori al 1° maggio 1945 a carico
dell’assicurazione italiana per le “persone jugoslave” e cioè per coloro
che erano divenuti cittadini jugoslavi. Tant’è vero che gli stessi Organismi assicuratori Jugoslavi, quando trasmettono
l’estratto contributivo dei cittadini jugoslavi precisano che i periodi
anteriori al 1° maggio 1945 sono a carico della Jugoslavia, come da Scambio di
Note 02.05.59, art. 2, lettera b), anche se si tratta di periodi di lavoro
compiuti da cittadini ex italiani, quando i territori erano sotto la sovranità
italiana.
esposto
alla Corte dei Conti del 2.11.90 presentato da G. Gambassini (Lista per
Trieste) e On.Giulio Camber di Trieste;
proposta
di legge interpretativa n° 3429 del 16.11.95, presentata dall’On. Roberto
Menia di A.N.;
esposto
presentato alla Procura della Repubblica di Trieste, in data imprecisata,
dallo storico Marco Pirina di Pordenone (Circolo Silentes Loquimur) sul
quale lo scrivente è stato sentito per ben quattro volte dalla Polizia
Giudiziaria di Trieste, come persona informata sui fatti, nel 1996 e nel
1997;
esposto
al P.M. Giuseppe Pititto della Proc.della Rep. di Roma di data 17.02.97
presentato dal Sig. Paolo Biasutti, ex dipendente INPS di Udine,
responsabile del Settore Convenzioni internazionali;
esposto
alla Corte dei Conti per “danno erariale” provocato dalla circolare
Cristofori, presentato nel 1998 dal Sig. Scialpi Vittorio, di Codroipo (UD),
membro del Comitato Provinciale I.N.P.S. di Udine. Analogo esposto era stato
precedentemente presentato dal Sig. Scialpi alla Procura della Repubblica di
Roma.
Alla
data del 31.12.93 lo stesso Presidente dell’INPS Mario Colombo relazionava al
Senato che le domande accolte erano 27.700 per una spesa corrente riguardante il
solo 1993 di 192,6 miliardi di lire. Considerando che le domande cominciarono a
pervenire all’INPS nel 1985 e che gli arretrati erano corrisposti
nell’ambito della prescrizione decennale, si calcola che al 31.12.90 si erano
spesi 1.500 miliardi, 3.500 miliardi al 31.12.94, 3.930 miliardi al 31.12.1997.
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- L'inchiesta di "Panorama" del 3 maggio 2001: "I vecchi boia svernano dietro l'angolo"
Dopo la bufera su Friedrich Engel, il novantaduenne ex nazista la cui estradizione sta mobilitando l'intero governo italiano, la ricerca dei carnefici degli italiani nell'ultima guerra potrebbe mietere ben altri successi. A un passo dai nostri confini, infatti, vivono indisturbate decine di altre persone accusate di aver partecipato a feroci violenze contro gli italiani. In questo caso, si tratta di atrocità commesse dopo la
"liberazione" di Trieste, Gorizia, l'Istria, Fiume e la Dalmazia da parte dei partigiani jugoslavi di
Tito. Molti trovarono la loro tomba nelle foibe, le cavità carsiche dove venivano scaraventati ancora vivi. Per sfuggire al giogo del vincitore 350 mila italiani imboccarono la via dell'esodo, mentre i carnefici hanno vissuto tranquillamente addirittura con una pensione
dell'Inps.
Panorama ha ricostruito alcune delle storie più eclatanti a cominciare da quella del maggiore
Oskar Piskulic, attualmente processato dalla prima Corte d'assise di Roma per omicidio plurimo aggravato. Le vittime erano Giuseppe
Sincic, Nevio Skull e Mario Blasich antifascisti e autonomisti fiumani uccisi nel 1945, a guerra finita. Secondo il capo d'imputazione
Piskulic agì "quale capo dell'Ozna (polizia politica jugoslava)" e le vittime finirono nel mirino "per il solo fatto che erano italiani".
Piskulic oggi ha 81 anni e vive sempre a Fiume. L'inchiesta su di lui è iniziata nel 1994 e la richiesta di arrestarlo venne respinta, prima per un problema di giurisdizione, poi per l'età avanzata. Il difensore di
Piskulic ci tiene a sottolineare che il suo assistito non è un
infoibatore, la prossima udienza si terrà l'8 maggio e la sentenza potrebbe arrivare prima dell'estate.
Un'altra inchiesta, nata da uno stralcio del processo contro Piskulic, è stata appena aperta dal procuratore militare di Padova, Sergio
Dini. Il magistrato ha acquisito molti documenti tra i quali la drammatica testimonianza di
Giovanni Predonzani che abita a Trieste ed è sopravvissuto al lager di
Borovnica, vicino a Lubiana, uno dei tanti dove furono rinchiusi gli italiani. Predonzani per anni si è svegliato dopo aver sognato il comandante del campo,
Ciro Raner. "Eravamo in fila per avere un mestolo di acqua sporca e patate e quello davanti a me per fame cercò di raschiare il fondo della pentola (...). Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata al torace. Arrivò il
Raner (...) che diede il colpo di grazia sparandogli alla nuca" ave Va raccontato ai carabinieri qualche anno fa. Raner che oggi ha 84 anni, raggiunto al telefono in Croazia dove vive, smentisce: "Mai stato a Borovnica ero solo responsabile della sanità nella prima brigata Vladimir
Gortan. Ammetto, però, che il rivoluzionario l'ho un po' fatto in Istria nel 1943". Difatti
Raner era sergente nel regio esercito italiano, ma con l'armistizio dell'8 settembre passò nelle file dei partigiani e dopo la guerra divenne deputato per l'Istria. L'aspetto scabroso è che Raner percepisce una pensione dell'Inps, grazie a 72 settimane di servizio militare prestato per l'Italia. 569.750 lire al mese per 13 mensilità, oltre a circa 50 milioni di arretrati.
Invece subì una condanna a 24 anni di reclusione Nerino Gobbo
che trascorre la vecchiaia, con la pensione
dell'Inps, poco distante dal confine a Isola, in Slovenia. Per molti anni rimase latitante, ma nel 1966 ottenne l'amnistia con il riconoscimento della natura politica dei reati che aveva commesso. Nel 1945 era il commissario del popolo "Gino" al quale rispondeva la cosiddetta "squadra volante", un gruppo di delinquenti dediti a infoibamenti e torture. Secondo il suo avvocato,
"Gino fu incastrato. Era una vittima della volante, ma in realtà tentò di salvare diverse persone". Purtroppo non si salvarono
12 carabinieri fatti prigionieri nel 1944 e massacrati con orribili sevizie a Malga Bala nell'alto
Friuli. Arrigo Varano, dell'associazione nazionale dell'Arma ha inviato in questi giorni una lettera al ministro della Giustizia, Piero
Fassino, affinché si interessi alla vicenda e faccia indagare sul maggior indiziato dei massacro, un certo Hrovat Alojz residente a Bovec nell'ex Jugoslavia.
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Per integrare l'articolo di "Panorama", pubblico di seguito la storia dei dodici carabinieri torturati dai partigiani.
I Carabinieri costituivano un presidio a difesa della centrale idroelettrica di Bretto. Il 23 Marzo 1945 i partigiani presero in ostaggio il Vicebrigadiere Dino Perpignano, comandate dei presidio che stava rientrando negli alloggiamenti, sotto la minaccia delle armi, lo costrinsero a pronunciare la parola d'ordine e, con facilità, una volta entrati nel presidio, catturarono tutti i Carabinieri, già in parte addormentati.Dopo il saccheggio, i dodici militari furono deportati nella Valle Bausizza e rinchiusi in un fienile ove fu loro servito un pasto nel quale era stata inglobata soda caustica e sale nero. Affamati, inconsciamente mangiarono quanto gli era stato servito, ma, dopo poco, le urla e le implorazioni furono raccapriccianti e tremende. Erano stati avvelenati e la loro agonia si protrasse fra atroci dolori per ore ed ore. Stremati e consumati dalla febbre, Pasquale Ruggiero, Domenico Del Vecchio, Lino Bertogli, Antonio Ferro, Adelmino Zilio, Fernando Ferretti, Ridolfo Calzi, Pietro Tognazzo, Michele Castellano, Primo Amenici, Attilio Franzon, quasi tutti ventenni (e mai impiegati in altri servizi tranne quello a guardia della centrale, cui erano stati sempre preposti), furono costretti a marciare fra inesorabili ed inenarrabili sofferenze ed insopportabili sacrifici fino a Malga Bala ove li attendeva una fine orribile.Il Vicebrigadiere Perpignano fu preso e spogliato; gli venne conficcato un legno ad uncino nel nervo posteriore dei calcagno ed issato a testa in giù, legato ad una trave; poi furono incaprettati. A quel punto, i macellai partigiani, cominciarono a colpire tutti con i picconi: a qualcuno vennero asportati i genitali e conficcati in bocca, a qualche altro fu aperto a picconate il cuore o frantumati gli occhi. All'Amici venne conficcata nel cuore la fotografia dei suoi cinque figli mentre il Perpignano veniva finito a pedate in faccia ed in testa.La "mattanza" terminava con i corpi dei malcapitati legati col fai di ferro e trascinati, a mo' di bestie, sotto un grosso masso. Ora le misere spoglie di questi Carabinieri Martiri-eroi riposano, dimenticati dagli uomini, dalla storia e dalle Istituzioni, in una torre medievale di Tarvisio le cui chiavi sono pietosamente conservate da alcune suore di un vicino convento.Dei fatti si sta interessando la Magistratura nella persona dei Procuratore Capo di Tolmezzo.
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Quando i partigiani massacravano pure i Carabinieri (da "Libero" del 25 aprile 2001)
MILANO - Venticinque aprile. Festa della liberazione. Festa di bandiere, di cori e di parate, dietro alle quali però giorno dopo giorno emerge un rosario doloroso di massacri e di crimini non solo impuniti, ma anche glorificati. Un racconto inesausto di violenze misconosciute che riaffiora come un livido pesto dalla memoria dei nostri vecchi che per oltre cinquant'anni l' hanno serbato insieme alla paura di quei giorni. La storia di oggi arriva dall'alto Friuli e racconta di 12 carabinieri torturati e massacrati orribilmente da una banda di sedicenti partigiani comunisti filotitini a Malga Bala (Tarvisio-Udine, oggi Slovenia) il 23 marzo 1944. Non erano fascisti, brigate nere o criminali nazisti. Erano solo 12 carabinieri, la maggior parte poco più che ventenni, che prestavano servizio per l'Arma. Ma torniamo a quel giorno.
Difendevano la centrale.
Il vicebrigadiere
Dino Perpignano (classe 1921) e i carabinieri
Primo Amenici (classe 1905),
Lindo Bertogli (classe 1921), Michele Castellano (classe 1910), Rodolfo Colsi
(classe 1920), Domenico Dal Vecchio (classe 1924),
Fernando Ferretti (classe
1920), Antonio Ferro (classe 1923), Attilio Franzan (classe 1913), Pietro
Tognazzo (classe 1912), Pasquale Ruggiero (classe 1924), Adelmino Zilio (classe
1921) prestavano servizio a Cave del Predil e costituivano il presidio a difesa
della centrale idroelettrica di Bretto. Non erano mai stati impiegati in altro
tipo di servizio. La sera di quel 23 marzo una banda di partigiani filotitini
prese in ostaggio il vicebrigadiere Perpignano,
comandante del presidio, che stava rientrando negli alloggiamenti. Sotto
la minaccia delle armi lo costrinsero a pronunciare la parola d'ordine in modo
da entrare negli alloggiamenti e catturare senza difficoltà i militari, in gran
parte già addormentati. E qui incomincia il calvario. Dopo aver saccheggiato il
presidio alla ricerca di armi, munizioni e cibo (rubarono persino le turbine
necessarie alla fornitura di acqua per i paesi della vallata) i banditi titini
deportarono i 12 carabinieri nella valle Bausizza, dove furono rinchiusi in un
fienile. A questo punto furono avvelenati con un pastone a base di soda caustica
e sale nero. Affamati e stremati, i giovani militari lo mangiarono. L'agonia si
protrasse per ore ed ore tra atroci dolori addominali e urla strazianti.
Consumati dalla febbre e dalla sofferenza, i militari furono costretti a
marciare su sentieri di montagna, e con il bottino dei briganti sulle spalle,
fino alla Malga Bala, dove si sarebbe compiuto il loro destino. Il povero
sottufficiale Perpignano fu spogliato e malmenato. Poi i carnefici gli
conficcarono un legno ad uncino nel tendine d'Achille, dietro al calcagno, e
quindi lo impiccarono a testa in giù legato a una trave. Tutti i suoi compagni
invece furono incaprettati e colpiti a colpi di piccone. A qualcuno furono
asportati i genitali e conficcati in bocca. Ad altri fu aperto a picconate il
cuore e furono frantumati gli occhi. A Primo Amenici venne infilata nel cuore la
fotografia dei suoi cinque figli, mentre Dino Perpignano, appeso a testa in giù,
venne finito a calci in faccia e in testa. Un'autentica mattanza con i corpi
martoriati dei militari legati con del fil di ferro e trascinati come animali
sotto un masso e lì abbandonati. I poveri resti dei 12 furono ritrovati da una
pattuglia tedesca solo la sera del 28 marzo e trasportati a Tarvisio, dove
furono tumulati in una torre medievale vicino la Chiesa, mentre successivamente
le spoglie di Perpignano, Castellano, Dal Vecchio, Ferro e Tognazzo furono
portate nei paesi d'origine.
56 anni per ricordare.
Per ben 56 anni il terribile eccidio fu avvolto nel più completo silenzio e solo grazie alla tenacia dell'ex maresciallo dei carabiniere di Brescia, Arrigo Varano, il 23 marzo 2000 si arrivò a una commemorazione ufficiale per queste povere vittime. Ancora oggi, però, nonostante numerose interrogazioni parlamentari, la raccolta di oltre 1.800 firme, appelli a onorevoli, alle più alte cariche dello Stato, fino al presidente della Repubblica, non è stato possibile ottenere una decorazione al valor militare alla memoria dei 12 carabinieri. La motivazione è che il termine per richiedere onorificenze relative alla Seconda guerra mondiale è scaduto il 30 giugno 1948.
Ma il colmo
dell'ironia è che alcuni dei responsabili dell'eccidio sono stati identificati.
In particolare nel '99 la Procura di Tolmezzo ha inviato un avviso di garanzia
nei confronti di Alojz Hrovat, 77 anni, ex capo partigiano
di Bovec e attualmente residente in Slovenia. Hrovat è sospettato di aver
guidato il tremendo eccidio. E ancora oggi, come tutti gli altri partigiani
titini sospettati del massacro, percepisce dallo Stato italiano una pensione di
guerra. Che tutti i mesi ritira nella banca di Tarvisio, a due passi dalla torre
dove riposano i resti di alcuni dei militari trucidati. Anche lui oggi,
gratificato da tanta onorificenza che non spetta ai militari uccisi, festeggerà
il 25 aprile, festa della Liberazione.
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L'istituto si difende: a noi non interessa la fedina.
E i titini sotto accusa
contrattaccano: "Mai fatto niente di male. Comunque, pensate ai crimini
commessi in Jugoslavia dai fascisti".
INPS paga ogni mese 32 mila pensioni minime a persone residenti nell'ex
Jugoslavia, sborsando complessivamente quasi 200 miliardi l'anno. E tra i
titolari di pensione ci sono anche personaggi che sono indagati dal giudice
Pititto per gli eccidi delle foibe. Ma com'è possibile una cosa del genere?
"Siamo obbligati dalla legge a versare queste pensioni", sostiene
Vittorio Spinelli dell'ufficio stampa dell'INPS. Si, perché in base ad una
direttiva della Comunità europea è riconosciuto ai fini contributivi il
periodo militare svolto nelle file partigiane. "Inoltre", soggiunge
Spinelli, "la dichiarazione dei contributi non è mai accompagnata dalla
fedina penale. Si tratta di un'assicurazione e in quanto tale asettica. Se tra
gli aventi diritto risultano anche dei criminali di guerra, titini o nazisti che
siano, dobbiamo continuare a pagarli essendo la pensione un diritto che non si
può revocare per questi motivi". Uno dei titolari di pensione INPS che
risultano indagata Roma è Ciro Raner, che vive a Crikvenica, cittadina
turistica della Croazia. "Non ho fatto del male a nessuno", dice
respingendo ogni accusa. "Negli anni Trenta ho giocato a calcio in serie A
con la Spal, la Fiorentina e il Catania. Per l'Italia ho prestato servizio
militare, ero un sergente di sanità, diligente e disciplinato", spiega Raner, giustificando così, con il servizio
militare e con la successiva lotta
partigiana nelle file di Tito, la pensione INPS. Testimoni ancora in vita lo
indicano come il brutale comandante del lager di Borovnica, un campo che non
aveva niente da invidiare a quelli nazisti. Negava di essere coinvolto nella
tragica, storia delle foibe anche Mario Toffanin, responsabile del massacro della
malga di Porzus, in Friuli, e finito nelle maglie dell'inchiesta romana per la
sua collaborazione con il IX Corpus di Tito. "Giacca", come era
chiamato in battaglia, viveva a Skofìje, in Slovenia, a un paio di chilometri
dal confine con l'Italia. "Ma quale genocidio", protestava così.
"lo sono stato graziato da Pertini nel 1978. Sono un uomo libero, vado a
Trieste quando mi pare, per trovare mio figlio."
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