Nel 1968 nella regione del Kosovo tornava a manifestarsi
il nazionalismo albanese, per la prima volta dopo la seconda
guerra mondiale. In parte legati alla contrapposizione tra Jugoslavia
titoista e Albania enverista, ed in parte frutto della attivita'
della destra anticomunista albanese erede di "Balli Kombetaer", non mancarono
episodi di violenza.
Nel mese di maggio del 1969, il Sinodo della Chiesa serbo-ortodossa
inviava la seguente lettera al presidente Tito:
"La nostra Chiesa e' stata informata dai suoi
propri organi sui tanti incidenti nei confronti della
Chiesa serbo-ortodossa e dei suoi componenti sul territorio
della Regione Socialista Autonoma del Kosovo... Siamo
percio' costretti a rivolgerci a Lei in questa maniera per
chiedere protezione...". All'interno della lettera si ricordava
che nella Costituzione della RFS di Jugoslavia erano espressi i
principi di liberta' garantiti a tutti i suoi cittadini,
senza distinzione di nazionalita' e religione, e che questi
andavano applicati anche verso la Chiesa ortodossa ed i suoi
fedeli.
"Il nostro santo Sinodo si e' rivolto piu' volte agli organi
competenti (...) lamentandosi dei casi concreti, ma la situazione non
cambia. A volte questa oppressione rallenta, per risvegliarsi da
un'altra parte, in forma ancora piu' grave... E non si tratta
solo della distruzione delle sementi e dei raccolti, della distruzione
dei boschi (monasteri di Devic, Decani, Gorjoc presso Pec),
del vandalismo sui monumenti funerari (Kosovska Vitina, eccetera),
bensi' si manifestano anche atti di
violenza fisica contro le donne, monache ortodosse (l'anno scorso
nel monastero di Bincu presso Kosovske Vitine, a Musutisu
vicino Prizren, ed anche questa primavera quando
la nostra igumanija [superiora] del monastero di
Devici e' stata gravemente ferita; e' stato poi ferito un novizio
con l'accetta a Decani, un frate del monastero di
Gorjoc e' stato colpito alla testa da una pietra, sempre con le pietre
sono stati attaccati i pope nelle vicinanze di Kosovska
Mitrovica, eccetera).
Tutti questi attacchi portano
all'esodo dei nostri fedeli da questi luoghi...
Percio' la preghiamo di rivolgere la Sua attenzione perche' si
fermi il protrarsi di tali comportamenti illeciti."
Il 23 maggio 1969, il Presidente Josip Broz Tito rispondeva:
"Esprimo il mio rammarico per questi atti, citati nella Vs lettera, che rappresentano delle violazioni della Costituzione della RFSJ. Quale Presidente della RFSJ faro' di tutto per fermare questi tumulti ed atti illegali, per assicurare la libera esistenza e l'integrita' di tutti i cittadini, come anche la sicurezza dei loro beni. Inoltrero' la Vs lettera, insieme al mio punto di vista sulle misure da prendere a difesa della legalita', al Consiglio esecutivo dell'Assemblea della RS di Serbia."
Le dimostrazioni e gli atti di intolleranza si placano con l'introduzione della nuova Costituzione federale, nel 1974, che prevede uno status di grande autonomia politica oltreche' culturale per gli albanesi del Kosovo. Ma con la morte di Tito le violenze contro i serbi della regione riprendono, destinate a durare per tutti gli anni '80. Nei primi anni '80 almeno quindicimila serbi del Kosovo decidono di andarsene. Nel 1986 il "Memorandum" dell'Accademia delle Arti e delle Scienze della Serbia esprime un forte malcontento sulla condizione dei serbi nella RFS di Jugoslavia, e rispetto alla situazione in Kosovo afferma tra l'altro:
"L'espulsione del popolo serbo dal Kosovo [dove all'inizio del secolo i serbi rappresentavano piu' del 40 per cento della popolazione] e' la testimonianza spettacolare della sua sconfitta storica. Nella primavera del 1981 e' stata dichiarata al popolo serbo una guerra del tutto speciale... Non abbiamo ancora chiuso i conti con l'aggressione fascista... Se una autentica sicurezza e una uguaglianza di diritti per tutti i popoli che vivono nel Kosovo e Metohija non vengono instaurate, se non vengono create condizioni salde e durature per il ritorno della popolazione scacciata, questa parte della Repubblica di Serbia diventera' un problema europeo con conseguenze assai pesanti. Il Kosovo e' una delle questioni piu' importanti aperte nei Balcani. La diversita' etnica in numerosi territori balcanici corrisponde al profilo etnico della penisola balcanica. La rivendicazione di un Kosovo etnicamente puro non e' soltanto una pesante e diretta minaccia per tutti i popoli che vi si trovano in minoranza, ma, se si affermera', rappresentera' un pericolo reale e quotidiano per tutti i popoli della Jugoslavia"
Nel biennio 1989-'90, all'apice della tensione in Kosovo ed alla
vigilia della disgregazione della RFSJ, la Repubblica di
Serbia abroga le connotazioni piu' "politiche" e contestate dell'autonomia
della regione, anche detta "autonomia speciale", tra cui: la
quasi-equiparazione tra le regioni autonome e le
Repubbliche federate (presidente federale a rotazione ecc.);
la effettiva non-reciprocita' in base alla quale imputati albanesi
erano processabili solo da tribunali del Kosovo mentre non valeva lo stesso
per i serbi; la Universita' in lingua madre per gli albanesi a Pristina.
A livello legislativo viene percio' conservato il bilinguismo in tutte le
sedi pubbliche e nell'istruzione, fino alle scuole superiori, ed uno
status di autonomia amministrativa analogo a quello del Sudtirolo
italiano. Queste prerogative di autonomia non saranno mai veramente
applicate a causa della politica del separatismo etnico messa in pratica
dalla leadership nazionalista di Ibrahim Rugova, cioe' il "boicottaggio"
delle scuole, degli ospedali, delle elezioni, della vita istituzionale
jugoslava e serba sotto ogni aspetto. In Occidente la scelta di Rugova
sara' salutata ed appoggiata praticamente anche da settori "pacifisti" e
"di sinistra", sotto la foglia di fico della "nonviolenza".
Il resto e' cronaca dei giorni nostri.
(fonti: "NIN", giugno 1969; "LIMES", 1-2/1993)
Ritorna in Kosovo e Metohija