Attenzione: Queste pagine appartenevano a "L'incontro". Non sono verificate dal 2001. Avendo subito perdite consistenti di dati, e soprattutto essendo ormai datate, possono contenere errori e non rispecchiare più il pensiero degli autori. Se sei l'autore di uno o più di questi contenuti contattami a jotis@iol.it   Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home

Ivan Karamazov e Aleksjej Kirillov:

negare il Dio-Uomo, affermare l’uomo-dio

di Roberto Pompilii

 

 

E’ risaputo che vi sono opere, della letteratura come della poesia, che sebbene non rispettino affatto quelle caratteristiche tecniche che rendono uno scritto "filosofico", vengono ciò nonostante universalmente riconosciute capolavori dell’arte di "amare la sapienza", nonché autentiche pietre miliari di quell’affascinante costruzione che è la storia del pensiero occidentale.

Nella categoria dei romanzi filosofici, ad esempio, non possono non figurare almeno tre delle opere di Fedor Michailovic Dostojevskij e mi riferisco a Memorie dal sottosuolo (1864), I Demoni (1871) e I Fratelli Karamazov (1879); da due di queste io trarrò altrettanti personaggi - che a mio avviso debbono considerarsi veri e propri "miti", fonti inesauribili di significati e di prospettive ermeneutiche – e su di essi mi soffermerò.

Premettendo che darò per scontata la conoscenza dei romanzi ai quali mi riferisco vorrei dichiarare con semplicità che gli unici obiettivi di ciò che segue dovranno rintracciarsi nel tentativo di riaffermare, qualora ve ne fosse bisogno, l’intramontabile fascino che queste figure esercitano sull’uomo che cerca il senso della vita, e nella volontà di dimostrare quanto la filosofia contemporanea non possa assolutamente prescindere da quelle inquietanti personalità che il genio sconfinato di Dostojevskij ha saputo creare.

Ivan Karamazov, il maggiore dei tre fratelli protagonisti dell’opera del 1879, e Aleksjej Kirillov, il più filosofico tra I Demoni, sono due personaggi che hanno una comune vocazione: dimostrare a cosa potrebbe condurre la reale, decisiva e assoluta negazione di Dio. Per il primo, se Dio non esiste tutto è permesso; per il secondo, se Dio non è Dio, l’uomo è Dio, l’uomo è illimitatamente libero.

I punti di partenza di tali loro pensieri, di simili idee che tolgono il sonno, sono diversissimi l’uno dall’altro; dissimili sono anche le metodologie che ciascuno dei due ragazzi russi utilizza perché queste teorie giungano a realizzarsi; tragici entrambi, ma opposti, sono gli esiti ai quali i rispettivi destini li condurranno.

Ivan è un razionalista ed il suo ateismo è la logica conseguenza di una dimostrazione impeccabile; egli non rifiuta Dio a priori, ma solo dopo essersi accorto, tirando le somme, che il mondo così com’è e l’idea di un Creatore sommamente buono si escludono vicendevolmente. Non si può preferire un’idea, come quella di Dio, per quanto dolce e soave essa sia, alla realtà che si tocca e si misura, che può anche essere ingiusta e crudele, e lo è, ma che è attualità, vita concreta.

Ivan sviluppa il suo ragionamento fino in fondo e non si intimorisce neppure pensando che con l’eliminazione del senso religioso l’uomo potrà finalmente dire addio alla morale, potrà ritenere giusta arbitrariamente qualsiasi cosa, persino l’antropofagia.

L’esperimento che il secondogenito della famiglia Karamazov compie è la manipolazione della personalità, già di suo malata, di Smerdjakov. Quest’ultimo farà propria la dottrina del tutto è permesso non solo intellettualmente, ma attuandola fino all’assassinio del proprio padre, padre anche del suo sventurato mentore, di Aljoscia e di Dmitrij.

Ivan non ha fisicamente ucciso nessuno, ma il suo ateismo sì; il suo sistema di pensiero intendeva uccidere Dio, e chi follemente ha voluto credere che ciò fosse possibile è divenuto fatalmente un parricida.

Aleksjèj Nìljic Kirillov è uno dei personaggi più profondi ed affascinanti del mondo dostoevskijano, la sua figura rispetto a quella degli altri demoni sembrerebbe di secondaria importanza, ma l’impressione che questa lascia nella memoria del lettore è unica e difficilmente removibile.

Se Ivan può considerarsi a tutti gli effetti il teorico e l’intellettuale dell’ateismo, Kirillov ne è senza dubbio il mistico ed il martire. La sua certezza della non esistenza di Dio non ha premesse, non viene dimostrata, ma è comunque l’esito di uno struggimento vissuto nel profondo dello spirito e non solo razionalmente. A lui Dostoevskij fa pronunciare quelle parole che egli spesso ripeteva: "Dio mi ha tormentato tutta la vita".

Nella cupa e quasi opprimente atmosfera della sua piccola stanza, la snervante e continua veglia di Kirillov che vive della sua idea, è l’emblema dell’uomo che nega Dio nel suo attributo più importante, la libertà.

Negare Dio come fondamento della libertà è il proposito della teoria di Kirillov, ove ateismo e suicidio si legano strettamente in base all’idea che l’esistenza di Dio e la libertà illimitata dell’uomo si escludono, sì che o esiste Dio e allora l’uomo non è libero, o l’uomo è effettivamente libero, e allora Dio non esiste, e l’uomo stesso è Dio. Affermazione della libertà assoluta dell’uomo, negazione dell’esistenza di Dio, divinizzazione dell’uomo, culminano tutte nel suicidio, cioè nell’atto gratuito e assolutamente arbitrario con cui l’uomo afferma la propria libertà illimitata e verifica col sacrificio della propria esistenza l’inesistenza di Dio.

L’anima di questo personaggio sembra aver conosciuto in tutta la sua profondità l’abisso del dubbio, giungendo quasi a sfiorare il riconoscimento di Cristo, figlio di Dio; ma il fuoco di questo travaglio non divenendo in lui fede, non provoca altro che il divampare di un maniacale fanatismo.

Kirillov è un asceta e, come sottolinea Nikolaj Berdjaev, "in lui vi sono tratti di una santità senza grazia"; è un puro che non conosce basse passioni ed il suo assoluto isolamento accresce ancora la sua limpidezza. Egli è un filantropo, vuole rendere felici tutti gli uomini e per questo intende rivelare loro che è possibile, con un sol gesto, contemporaneamente dimostrare che Dio non esiste e che l’uomo stesso è Dio, sì con un sol gesto: il suicidio.

Aleksjèj Nìljic sa di poter in ciò essere frainteso, è consapevole del fatto che il suo ragionamento può apparire un’enorme farneticazione, ma a lui non interessa ottenere un teorico consenso, egli vuole essere il pioniere di quel nuovo mondo, il protomartire e nello stesso tempo il primo artefice di una nuova, vera resurrezione.

Il più nietzscheano degli eroi dostoevskijani sa, infatti, che il più grande desiderio dell’uomo è sempre stato quello di essere Dio, e sa anche come solo la paura del dolore e il timore della fine lo hanno trattenuto dalla divinizzazione. Kirillov uccidendosi vincerà Dio e vincerà il Cristo, Dio-uomo, semplici fantasmi creati dalla codardia e dall’ignavia, ma soprattutto scegliendo liberamente il suicidio renderà finalmente illimitato il Libero Arbitrio e diverrà il primo uomo-Dio.

E’ impressionante notare come certe parole che Dostoevskij fa pronunciare a Kirillov, circa la trasformazione fisica che attende l’uomo e la terra una volta sbarazzatisi del divino trascendente, siano affini e quasi propedeutiche ad alcuni aforismi di Nietzsche. In particolare non può non colpire l’accostamento dell’immagine dell’ex ingegnere, che nella sua stanza sorseggiando tè sogna l’imminente rinascita, e quella del giovane pastore, protagonista de La visione e l’enigma, che ride "circonfuso di luce" dopo aver vinto l’orrore dell’eterno ritorno ed ormai certo di essere un superuomo.

Ebbene queste due icone dell’ateismo contemporaneo sono di fondamentale importanza per comprendere ciò che Pareyson ci vuole mostrare, ossia come la lotta che l’uomo combatte contro Dio, la rivolta che la creatura organizza contro il proprio Creatore sono sempre ed ultimamente esperienze di libertà.

L’uomo è anzitutto esperienza di libertà, ma questa libertà non si muove in un vuoto assoluto, avverte un’originaria attrazione, subisce un primitivo orientamento: ed è Dio a suscitarli. La libertà in ogni modo rimane libera e anche di fronte a Dio può scegliere: amarlo o odiarlo, riconoscerlo o rinnegarlo, servirlo adorandolo o sostituirlo uccidendolo.

Kirillov e Ivan Karamazov preferiscono non cedere alla presenza imponente ma misteriosa e discreta e quindi ultimamente ambigua di Cristo; entrambi vogliono contraffare la Sua immagine proponendo una loro delirante alternativa.

Mentre il fratello di Aljoscia affiderà l’esposizione del proprio giudizio sul cristianesimo ad una leggenda, che narra di un Grande Inquisitore, il prometeico eroe de I Demoni si pone in una posizione radicalmente antitetica al Cristo. La sua è la sfida più frontale e spudorata che sia mai stata lanciata al Redentore.

Cediamo la parola ad un penetrante passo dell’opera di un altro grande interprete di Dostoevskij, Vjaceslav Ivanov, su tragedia, mito e mistica in Dostoevskij, in cui viene sviluppato proprio questo aspetto:

 

Gesù non sarebbe diventato Dio se non avesse creduto nel Padre celeste. Ma l’uomo può diventare Dio soltanto dopo aver superato il dolore e l’angoscia della morte che egli finora ha chiamato Dio. Per poter annunziare e sigillare questo superamento occorre l’unica azione di assoluta disubbidienza: uccidere se stesso, per decisione esterna, non per necessità o violenza, ma per libero arbitrio in piena affermazione della vita. L’uomo deve salire sul vuoto trono di Dio, edificato dalla umana paura […]. Solo Cristo non ha avuto paura della morte: nemmeno Kirillov ne avrà paura. A tal fine egli deve salire il solitario Golgota del suo autonomo ardimento, uccidere se stesso per se stesso. E nella cieca Tebaide dell’orgoglio del suo spirito, egli compie il suo sacrificio da Anticristo, sale sul suo anti-golgota, Dio-uomo alla rovescia, un uomo-dio che volle salvare la sua personalità e l’ha distrutta, che intuisce il suo diritto alla filiazione divina ma s’illude di edificarla rinnegando il padre.

 

Un’ultima osservazione dedicata a Kirillov non può non riguardare il suo fallimento. Egli muore suicida, compie il suo disegno, certo non senza strazianti e silenziose esitazioni, ma persiste e preme quel grilletto in obbedienza alla sua fede disperata. Ebbene la più inaudita delle scelte umane, compiuta in nome di un Sommo Arbitrio non porterà ad altro che a una fine ignominiosa, come molto efficacemente sottolinea il sacerdote pisano, Divo Barsotti, nel seguente brano:

 

La morte di Kirillov, invece di trasformare gli uomini e farli entrare nel mondo definitivo della salvezza, è espressione di indicibile orrore! Come potrebbe l’atto di un uomo compiere una salvezza degli uomini? La volontà dell’uomo non può essere fondamento all’essere suo. L’uomo riceve l’essere, non lo crea. Solo l’atto del Cristo può salvare gli uomini perché egli li ha creati e nella sua incarnazione si è fatto uno con tutti. La bontà di Kirillov, invece di farlo uno con tutti, lo divide da tutti. L’orrore della sua morte è nella sua inutilità. Kirillov muore solo, e non si sa perché.4

 

Inutilità e autodistruzione, è questo ciò che rimane dell’avventura di questo personaggio, che è quasi un mito, nel mondo delle idee dostoevskijane. Inutilità e autodistruzione sono le caratteristiche fondamentali dell’esperienza del male, infatti chi rifiuta il bene si pone al servizio del nulla, e chi serve il nulla diviene vittima di una lenta, ma inesorabile spersonalizzazione. Ma non al male spetta l’ultima parola sul destino dell’uomo, persino nel vortice della perversione e del vizio può improvvisamente presentarsi un punto di fuga. Così il filosofo Luigi Pareyson sottolinea con grande acutezza questo insegnamento di Dostoevskij: "L’autodistruzione del male è già effetto dell’attuale instaurazione del bene, e l’instaurazione del bene si manifesta anzitutto come autodistruzione del male. Nel più profondo abisso del male si opera il capovolgimento: il male portato alle sue estreme manifestazioni si trasforma inopinatamente nel bene"5.

Ma questo passaggio, questo "capovolgimento" non può avvenire meccanicamente, perché è affidato alla libertà dell’uomo, e più precisamente al suo libero riconoscimento o disconoscimento di Cristo, del Redentore. Concludiamo con un illuminante brano di uno tra i più intelligenti studiosi del genio russo, Romano Guardini, brano che ben illustra, in sintesi, la prospettiva di Verità che da questi esempi di ribellione può scaturire e che noi vogliamo fare nostra.

 

Questo stato di non-redenzione potrebbe essere superato solo con un ritorno a Cristo, un Cristo di cui la Chiesa dovrebbe preservare la figura da suggestive quanto ingannevoli deformazioni. Nell’abbandono a Cristo, nella partecipazione – nella fede e nell’amore – a tutto il suo essere, la nuda finitezza, sentita e vissuta sotto forma di tormento e di angoscia, verrebbe riscattata e sollevata sul piano della grazia, accolta nell’esistenza dell’amore, ossia dell’Uomo-Dio e nella partecipazione alla sua vita. Così, nel progressivo compiersi della rinascita, nel formarsi della nuova creazione, l’angoscia si dileguerebbe.

L’uomo però dovrebbe essere pronto a rinunciare alla pura natura, ed è invece qualcosa di ancora "non ben determinato". Dovrebbe essere pronto ad accettare Colui che è dei cieli. Allora l’angoscia, nata dall’inganno e generatrice di inganno, si convertirebbe in verità, ossia in umiltà e pentimento, e la grande aspirazione, il superamento del finito, si attuerebbe nell’amore.6

 

 

 

 

 

tra realismo e ideologia di Roberto Pompilii

 

dal fenomeno al fondamento 

I parte 

 

DAL FENOMENO 

AL FONDAMENTO II PARTE 

 

 

 

 

 

2001

Novembre

Ottobre

Settembre

Giugno

Maggio

Aprile

Marzo

Febbraio

Gennaio

2000

Dicembre

Novembre

Ottobre

Settembre

    Politica Cultura Scienze  Società  Religione Psiche  Filosofia  Ambiente Arte  Cinema Sport Napoli Università Home