E’ risaputo che vi sono
opere, della letteratura come della poesia, che sebbene non rispettino
affatto quelle caratteristiche tecniche che rendono uno scritto
"filosofico", vengono ciò nonostante universalmente
riconosciute capolavori dell’arte di "amare la sapienza",
nonché autentiche pietre miliari di quell’affascinante costruzione che
è la storia del pensiero occidentale.
Nella categoria dei
romanzi filosofici, ad esempio, non possono non figurare almeno tre delle
opere di Fedor Michailovic Dostojevskij e mi riferisco a Memorie dal
sottosuolo (1864), I Demoni (1871) e I Fratelli Karamazov (1879); da due
di queste io trarrò altrettanti personaggi - che a mio avviso debbono
considerarsi veri e propri "miti", fonti inesauribili di
significati e di prospettive ermeneutiche – e su di essi mi soffermerò.
Premettendo che darò per
scontata la conoscenza dei romanzi ai quali mi riferisco vorrei dichiarare
con semplicità che gli unici obiettivi di ciò che segue dovranno
rintracciarsi nel tentativo di riaffermare, qualora ve ne fosse bisogno, l’intramontabile
fascino che queste figure esercitano sull’uomo che cerca il senso della
vita, e nella volontà di dimostrare quanto la filosofia contemporanea non
possa assolutamente prescindere da quelle inquietanti personalità che il
genio sconfinato di Dostojevskij ha saputo creare.
Ivan Karamazov, il
maggiore dei tre fratelli protagonisti dell’opera del 1879, e Aleksjej
Kirillov, il più filosofico tra I Demoni, sono due personaggi che hanno
una comune vocazione: dimostrare a cosa potrebbe condurre la reale,
decisiva e assoluta negazione di Dio. Per il primo, se Dio non esiste
tutto è permesso; per il secondo, se Dio non è Dio, l’uomo è Dio, l’uomo
è illimitatamente libero.
I punti di partenza di
tali loro pensieri, di simili idee che tolgono il sonno, sono diversissimi
l’uno dall’altro; dissimili sono anche le metodologie che ciascuno dei
due ragazzi russi utilizza perché queste teorie giungano a realizzarsi;
tragici entrambi, ma opposti, sono gli esiti ai quali i rispettivi destini
li condurranno.
Ivan è un razionalista ed
il suo ateismo è la logica conseguenza di una dimostrazione impeccabile;
egli non rifiuta Dio a priori, ma solo dopo essersi accorto, tirando le
somme, che il mondo così com’è e l’idea di un Creatore sommamente
buono si escludono vicendevolmente. Non si può preferire un’idea, come
quella di Dio, per quanto dolce e soave essa sia, alla realtà che si
tocca e si misura, che può anche essere ingiusta e crudele, e lo è, ma
che è attualità, vita concreta.
Ivan sviluppa il suo
ragionamento fino in fondo e non si intimorisce neppure pensando che con l’eliminazione
del senso religioso l’uomo potrà finalmente dire addio alla morale,
potrà ritenere giusta arbitrariamente qualsiasi cosa, persino l’antropofagia.
L’esperimento che il
secondogenito della famiglia Karamazov compie è la manipolazione della
personalità, già di suo malata, di Smerdjakov. Quest’ultimo farà
propria la dottrina del tutto è permesso non solo intellettualmente, ma
attuandola fino all’assassinio del proprio padre, padre anche del suo
sventurato mentore, di Aljoscia e di Dmitrij.
Ivan non ha fisicamente
ucciso nessuno, ma il suo ateismo sì; il suo sistema di pensiero
intendeva uccidere Dio, e chi follemente ha voluto credere che ciò fosse
possibile è divenuto fatalmente un parricida.
Aleksjèj Nìljic Kirillov
è uno dei personaggi più profondi ed affascinanti del mondo
dostoevskijano, la sua figura rispetto a quella degli altri demoni
sembrerebbe di secondaria importanza, ma l’impressione che questa lascia
nella memoria del lettore è unica e difficilmente removibile.
Se Ivan può considerarsi
a tutti gli effetti il teorico e l’intellettuale dell’ateismo,
Kirillov ne è senza dubbio il mistico ed il martire. La sua certezza
della non esistenza di Dio non ha premesse, non viene dimostrata, ma è
comunque l’esito di uno struggimento vissuto nel profondo dello spirito
e non solo razionalmente. A lui Dostoevskij fa pronunciare quelle parole
che egli spesso ripeteva: "Dio mi ha tormentato tutta la vita".
Nella cupa e quasi
opprimente atmosfera della sua piccola stanza, la snervante e continua
veglia di Kirillov che vive della sua idea, è l’emblema dell’uomo che
nega Dio nel suo attributo più importante, la libertà.
Negare Dio come fondamento
della libertà è il proposito della teoria di Kirillov, ove ateismo e
suicidio si legano strettamente in base all’idea che l’esistenza di
Dio e la libertà illimitata dell’uomo si escludono, sì che o esiste
Dio e allora l’uomo non è libero, o l’uomo è effettivamente libero,
e allora Dio non esiste, e l’uomo stesso è Dio. Affermazione della
libertà assoluta dell’uomo, negazione dell’esistenza di Dio,
divinizzazione dell’uomo, culminano tutte nel suicidio, cioè nell’atto
gratuito e assolutamente arbitrario con cui l’uomo afferma la propria
libertà illimitata e verifica col sacrificio della propria esistenza l’inesistenza
di Dio.
L’anima di questo
personaggio sembra aver conosciuto in tutta la sua profondità l’abisso
del dubbio, giungendo quasi a sfiorare il riconoscimento di Cristo, figlio
di Dio; ma il fuoco di questo travaglio non divenendo in lui fede, non
provoca altro che il divampare di un maniacale fanatismo.
Kirillov è un asceta e,
come sottolinea Nikolaj Berdjaev, "in lui vi sono tratti di una
santità senza grazia"; è un puro che non conosce basse passioni ed
il suo assoluto isolamento accresce ancora la sua limpidezza. Egli è un
filantropo, vuole rendere felici tutti gli uomini e per questo intende
rivelare loro che è possibile, con un sol gesto, contemporaneamente
dimostrare che Dio non esiste e che l’uomo stesso è Dio, sì con un sol
gesto: il suicidio.
Aleksjèj Nìljic sa di
poter in ciò essere frainteso, è consapevole del fatto che il suo
ragionamento può apparire un’enorme farneticazione, ma a lui non
interessa ottenere un teorico consenso, egli vuole essere il pioniere di
quel nuovo mondo, il protomartire e nello stesso tempo il primo artefice
di una nuova, vera resurrezione.
Il più nietzscheano degli
eroi dostoevskijani sa, infatti, che il più grande desiderio dell’uomo
è sempre stato quello di essere Dio, e sa anche come solo la paura del
dolore e il timore della fine lo hanno trattenuto dalla divinizzazione.
Kirillov uccidendosi vincerà Dio e vincerà il Cristo, Dio-uomo, semplici
fantasmi creati dalla codardia e dall’ignavia, ma soprattutto scegliendo
liberamente il suicidio renderà finalmente illimitato il Libero Arbitrio
e diverrà il primo uomo-Dio.
E’ impressionante notare
come certe parole che Dostoevskij fa pronunciare a Kirillov, circa la
trasformazione fisica che attende l’uomo e la terra una volta
sbarazzatisi del divino trascendente, siano affini e quasi propedeutiche
ad alcuni aforismi di Nietzsche. In particolare non può non colpire l’accostamento
dell’immagine dell’ex ingegnere, che nella sua stanza sorseggiando tè
sogna l’imminente rinascita, e quella del giovane pastore, protagonista
de La visione e l’enigma, che ride "circonfuso di luce" dopo
aver vinto l’orrore dell’eterno ritorno ed ormai certo di essere un
superuomo.
Ebbene queste due icone
dell’ateismo contemporaneo sono di fondamentale importanza per
comprendere ciò che Pareyson ci vuole mostrare, ossia come la lotta che l’uomo
combatte contro Dio, la rivolta che la creatura organizza contro il
proprio Creatore sono sempre ed ultimamente esperienze di libertà.
L’uomo è anzitutto
esperienza di libertà, ma questa libertà non si muove in un vuoto
assoluto, avverte un’originaria attrazione, subisce un primitivo
orientamento: ed è Dio a suscitarli. La libertà in ogni modo rimane
libera e anche di fronte a Dio può scegliere: amarlo o odiarlo,
riconoscerlo o rinnegarlo, servirlo adorandolo o sostituirlo uccidendolo.
Kirillov e Ivan Karamazov
preferiscono non cedere alla presenza imponente ma misteriosa e discreta e
quindi ultimamente ambigua di Cristo; entrambi vogliono contraffare la Sua
immagine proponendo una loro delirante alternativa.
Mentre il fratello di
Aljoscia affiderà l’esposizione del proprio giudizio sul cristianesimo
ad una leggenda, che narra di un Grande Inquisitore, il prometeico eroe de
I Demoni si pone in una posizione radicalmente antitetica al Cristo. La
sua è la sfida più frontale e spudorata che sia mai stata lanciata al
Redentore.
Cediamo la parola ad un
penetrante passo dell’opera di un altro grande interprete di Dostoevskij,
Vjaceslav Ivanov, su tragedia, mito e mistica in Dostoevskij, in cui viene
sviluppato proprio questo aspetto: