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SECONDA PARTE DAL FENOMENO AL FONDAMENTO

Kierkegaard e Feuerbach: due alternative

di Roberto Pompilii

Per Hegel il punto culminante e finale del processo universale è la sua propria esistenza a Berlino”. Ebbene, questa frase di Nietzsche esprime a nostro avviso in modo chiaro ed efficace quel fondamentale vizio e quella sorta di strutturale deformazione che sono all’origine della delirante onniscienza hegeliana. Onniscienza che Kierkegaard come Feuerbach fecero di tutto per smascherare, o meglio, per demolire anche se non certamente seguendo un medesimo metodo e soprattutto non perseguendo uno stesso fine ultimo.

Entrambi concentrarono i loro sforzi attaccando un particolare aspetto del pensiero hegeliano che reputavano di cruciale importanza, ossia la conciliazione di filosofia e religione. Come si sa, Hegel tripartì il processo di auto-conoscenza dello Spirito Assoluto in forme successive che sono l’arte, la religione e la filosofia. Questo movimento dialettico, a nostro avviso, trova la sua piena legittimazione in un altro automatismo di quel cingolato filosofico che è l’Enciclopedia delle scienze e cioè l’identificazione tra logica e metafisica,  in quell’audace e temeraria scelta cioè, di incorporare gran parte del pensiero teologico e teleologico dell’Occidente in un mero contesto formale. Sarà questa impostazione che permetterà al filosofo di porsi in un atteggiamento di superiorità assoluta rispetto alla storia, rispetto alla tradizione, rispetto alla natura, rispetto al reale. E’ questa impostazione che Feuerbach ha voluto avversare, ma come lo ha fatto? Affermando che filosofia e religione, filosofia e cristianesimo sono inconciliabili. E quindi? E quindi bisogna decidersi coraggiosamente, una volta per tutte, a fare una filosofia non cristiana, a fare una filosofia rigorosamente antropocentrica, a costruire cioè un pensiero che sia concretamente ed esclusivamente “per l’uomo”.

Questa opzione teoretica, che si proponeva come un decisivo strappo dall’avviluppante quanto mistificante idealismo hegeliano e come una perentoria rivendicazione dell’uomo “in carne ed ossa”, in realtà ha avuto nella storia della filosofia un unico esiziale sviluppo: distrarre gli uomini di cultura dalla contemplazione dell’essere, unica vera sorgente di conoscenza, per impegnarli in una nuova, folle costruzione di un’ennesima Torre di Babele chiamata Filantropia.

L’ateismo è una posizione umanamente insostenibile, pena l’inevitabile asservimento dell’individuo ad idoli che inconsapevolmente divengono il telos della sua vita. Feuerbach ha cercato di negare la teologia facendo dell’uomo un Dio nell’antropologia, ha cercato di negare il cristianesimo facendo della filosofia una religione. Risultato? Una riduzione ideale dell’uomo ad alcuni, pur importanti, fattori che lo costituiscono, cioè il corpo e la psiche; una riduzione ideale alla quale però automaticamente – ed è la storia a dimostrarcelo – consegue una limitazione reale, imposta da chi detiene il potere, di quelle esigenze originarie e fondamentali dell’io. Almeno un esempio? Eccovi un significativo quanto sconcertante concetto espresso dalle vive parole del filosofo e tratto da una sua opera del 1862: “La teoria degli alimenti è di grande importanza etica e politica. I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e di sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliore il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia” (Corsivo nostro).

Il metodo e la prospettiva in forza dei quali Kierkegaard  punta a sbriciolare il sistema hegeliano sono diametralmente opposti a quelli appena accennati e riferiti al pensiero di Feuerbach. Secondo il genio danese, per cercare di dimostrare l’assurdità di una fede succube della filosofia, non è necessario negare la ragionevolezza della fede, ma semmai ribadire l’irriducibilità di quest’ultima al sapere. La filosofia è sapere, il cristianesimo è fede. Mentre la verità della speculazione tende ad una oggettività assoluta, la verità della fede mira ad una soggettività estrema. Sì perché l’unico ambito in cui il cristianesimo può essere verificato o falsificato è l’esistenza individuale, e l’unico strumento atto a fare ciò è la libertà del singolo.

Da questi semplici presupposti, da questa elementare distinzione Kierkegaard ha saputo trarre quelle intuizioni che renderanno il suo pensiero la più autorevole alternativa all’idealismo hegeliano. Kierkegaard non ha voluto costruire un sistema - tant’è che ha definito le sue idee briciole filosofiche - ma ha saputo, con la sua intelligenza, con la sua ironia e soprattutto con la sua profonda spiritualità, ridare voce in campo filosofico e teologico all’innamorato di Cristo. E’ il suo entusiasmante concetto di una realtà che è fatta di Cristo, che è Cristo, a dare vigore e slancio a tutta la sua opera. Perché vivere il presente, farsi carico di tutti i fattori che costituiscono l’hic et nunc dell’esistenza significa, significherà sempre e soltanto una cosa sola: prendere posizione di fronte a Cristo. Accettare o rifiutare lo scandalo di un Uomo che si è detto Figlio di Dio, accettare o rifiutare il paradosso di un Dio che si è fatto Uomo.

Kierkegaard ha sempre voluto difendere e testimoniare il valore originario della fede rispetto alla ragione e non l’esclusività dell’una a discapito all’altra ed in questo ci pare perfettamente in armonia con  l’esortazione di Giovanni Paolo II che proponiamo di seguito come conclusione di questo nostro sforzo.

“ […] non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno, ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare. La lezione della storia di questo millennio […] testimonia che questa è la strada da seguire: bisogna non perdere la passione per la verità ultima e l’ansia per la ricerca, unite all’audacia di scoprire nuovi percorsi. E’ la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convincente della ragione”(Corsivo nostro)1.

 


[1] Giovanni Paolo II, Fides et ratio, EDB, Bologna 1998, p.70

Globalismo e Globalizzazione a cura di Salvatore Pescatore (per le problematiche del GLOBALISMO vedi anche sotto società

tra realismo e ideologia di Roberto Pompilii

dal fenomeno al fondamento I parte 

 

 

 

 

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