Il parere della VI commissione del
Csm
sul disegno di legge Cirami
Pubblichiamo la proposta di parere
della VI commissione del Csm sul disegno
di legge Cirami sul legittimo sospetto, già pubblicato su questo
sito (vedi anche il commento
di Md), che, come è noto, il plenum del Csm non ha potuto esaminare,
perchè i componenti laici del Polo hanno fatto mancare il numero legale.
La Sesta Commissione propone al Plenum
di approvare la seguente delibera:
"Il Consiglio Superiore della Magistratura,
rilevato che è in corso l’esame
alla Camera dei Deputati dell’atto n. 3102/C di cui all’intestazione, già
approvata dal Senato;
nella consapevolezza che un contributo
di approfondimento tecnico proveniente dall’organo di autogoverno della magistratura
possa offrire, in un rapporto di leale collaborazione tra le istituzioni,
utili spunti al Ministro della Giustizia ai fini della interlocuzione del
Governo nella attività parlamentare,
considerato che a norma dell’art 10
capoverso della Legge 24.3.1958 n 195 rientra nelle attribuzioni del C.S.M.
fare proposte al Ministro della Giustizia su tutte le materie riguardanti
l’organizzazione ed i servizi e dare pareri sui disegni di legge concernenti
l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro
oggetto comunque attinente alle predette materie;
che il disegno di legge in questione
apporta delle modifiche alla normativa sulla rimessione che possono avere
ricadute sulla disciplina dell’Ordinamento giudiziario, sull’organizzazione
degli uffici e l’amministrazione della giustizia;
visto l’art.15 R.I.,
osserva:
Deve anzitutto osservarsi che la previsione
dello spostamento del processo dal giudice naturale precostituito per legge
ad altro giudice incide sulla garanzia costituzionale di cui all’art. 25 Cost.
ed è legittima nei limiti in cui è giustificata dall’esigenza
di tutelare situazioni di rilievo costituzionale prevalente, è specifica
ed è condizionata a presupposti rigorosi, determinati e facilmente
accertabili in fatto e si oppone pertanto a spostamenti di competenza determinabili
dall’insindacabile discrezionalità di un qualsiasi organo giudiziario.
Inoltre, ogni riforma normativa incidente sul funzionamento degli uffici giudiziari
non può prescindere dalla ricerca dei necessari interventi di sostegno
in un contesto come l’attuale e, soprattutto, dalle condizioni organizzative
e strutturali del personale ausiliario (si pensi agli uffici notificazione)
che già oggi rendono difficile la programmazione e la gestione dell’attività
giudiziaria e concorrono a determinare l’elevata lunghezza dei processi da
tutti stigmatizzata.
La precostituzione del giudice (art.
25 Cost.), il buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.) e la durata
ragionevole del processo (art. 111 Cost.) sono, dunque, i temi di fondo cui
far riferimento nella specie; rispetto ad essi il Consiglio ha sempre fornito
il proprio contributo ed il proprio forte impegno propositivo. Ed infatti,
la precostituzione del giudice costituisce il fondamento dell’intera materia
tabellare e gli altri temi hanno visto negli ultimi anni un impegno particolarmente
intenso del Consiglio, che si è attivato per il rispetto dei principi
contenuti nell’art.6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e nell’art.111
della Costituzione, fornendo il proprio contributo anche in relazione alla
cogente esigenza di rimuovere i presupposti del contenzioso innanzi alla Corte
di Strasburgo.
Possono, pertanto, formularsi le seguenti
osservazioni:
A) Con la modifica dell’art.
45 c.p.p. viene prevista una ipotesi di rimessione per "legittimo sospetto".
La mancanza di precisi termini di riferimento rischia di consentire la configurabilità
della fattispecie in una serie molto ampia di casi, con particolare riferimento
ai contesti di criminalità organizzata e di far sì che qualunque
tensione che investa il processo possa essere posta a fondamento di un’istanza
di rimessione ad opera delle parti pubbliche e private. L’ipotizzabile conseguenza
sarà un incremento esponenziale dei ricorsi, incentivato dal "nuovo"
effetto sospensivo automatico, rispetto ai dati forniti dalla Corte di Cassazione
che stimano in 439 il numero delle istanze per rimessione del processo dal
1996 ad oggi (di cui soltanto uno accolto).
- La previsione dei casi di sospensione, sia facoltativa
che obbligatoria, avrà poi inevitabili conseguenze negative sul principio
costituzionale della durata ragionevole del processo. La sospensione del
processo non realizza le esigenze di effettività della giurisdizione
(e paradigmatica è la vicenda del regolamento di giurisdizione nell’ambito
del processo civile che, fino alla riforma del ’90, veniva sistematicamente
utilizzato pressochè in tutti i processi di una qualche rilevanza
a fini esclusivamente dilatori). In merito si prospetta l’opportunità
di una diversa modulazione degli effetti sospensivi ed impeditivi della
istanza di remissione, ricordando l’orientamento costante della Corte europea
dei diritti dell’uomo (art.6 della Convenzione). Una siffatta ricaduta,
del tutto evidente per il processo interessato dalla istanza di remissione,
è peraltro prospettabile in via più generalizzata, dal momento
che la stasi processuale che così si determina è suscettibile
di intralciare e creare inconvenienti sul programma organizzativo del lavoro
di udienza, alterando l’assetto organizzativo della trattazione dei processi
stabilito in precedenza dall’organo giudicante e quello complessivo dell’ufficio.
- I termini previsti per l’instaurazione del contraddittorio
sulla questione sollevata se, da un lato, mirano a garantire la concreta
possibilità per le parti di controdedurre, certamente comportano
– unitamente al rito ordinario (anziché quello camerale) previsto
per la trattazione del ricorso davanti la Suprema Corte – un sensibile allungamento
dei tempi di definizione del procedimento. Questo aspetto che si appalesa
particolarmente rilevante nei processi con più imputati, qualora
ciascuno presenti in successione la richiesta di rimessione dando luogo
a (nuova) decorrenza dei termini, laddove più adeguata apparirebbe
la previsione di misure atte a scoraggiare seriamente le istanze meramente
dilatorie.
- La mancata riproposizione dell’attuale disposizione,
secondo cui in caso di accoglimento dell’istanza di rimessione il giudice
designato è chiamato a decidere con ordinanza "se e in quale
parte gli atti conservano efficacia", potrebbe far discendere la radicale
inefficacia di tutti gli atti già compiuti. Anche ai fini di
una concreta attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata
dei processi, appare opportuno prevedere un diverso regime di utilizzabilità
degli atti, anche per prevenire il concreto pericolo che sopravvenga la
prescrizione del reato o il decorso dei termini di custodia cautelare.
- La combinata previsione dell’effetto sospensivo
automatico e della reiterabilità dell’istanza di rimessione dichiarata
inammissibile per ragioni di rito e di quella respinta per ragioni di merito
con deduzione di "elementi nuovi", potrebbe dare vita anche a
fenomeni di uso dello strumento processuale a fini dilatori o ad un suo
abuso. Ancora più marcatamente il problema si pone in caso di presentazione
di istanza di rimessione innanzi al nuovo giudice designato in accoglimento
di una prima istanza. Tale meccanismo è stato già valutato
in termini negativi dal Giudice delle leggi che, nella sentenza n. 353/1996,
nell’accogliere la questione di legittimità costituzionale dell'art.
47, comma 1, in relazione all'uso distorto della reiterazione dell'istanza
di rimessione ex art. 49 del codice di procedura penale, ha affermato che
"l'equilibrio fra i principi di economia processuale e di terzietà
del giudice è … solo apparente nella ponderazione codicistica, posto
che il possibile abuso processuale determina la paralisi del procedimento,
tanto da compromettere il bene costituzionale dell'efficienza del processo,
qual è enucleabile dai principi costituzionali che regolano l'esercizio
della funzione giurisdizionale e il canone fondamentale della razionalità
delle norme processuali". Il legislatore " pur pienamente
libero nella costruzione delle scansioni processuale, ....non può
tuttavia scegliere, fra i possibili percorsi, quello che comporti, sia pure
in casi estremi, la paralisi dell’attività processuale, perché
impedendo sistematicamente tale attività, mediante la riproposizione
della istanza di remissione, si finirebbe col negare la stessa nozione di
processo e si contribuirebbe a recare danni evidenti all’amministrazione
della giustizia".
- Possibile fonte di abuso può derivare dall’assenza
di regolamentazione nel caso di processo con più imputati, lacuna
che rischia di vanificare anche la preclusione alla reiterazione dell’istanza
(rigettata nel merito) sulla base dei medesimi motivi, ben potendo ciascun
imputato a turno proporre la richiesta di rimessione sulla base delle ragioni
già dedotte (e negativamente vagliate) dal coimputato, ottenendo
l’effetto sospensivo automatico della discussione e quindi impedendo la
definizione del giudizio. Altro rischio riguarda la ricaduta in termini
organizzativi sui processi di criminalità organizzata e, particolarmente,
su quelli nei quali sono coinvolti decine di imputati sottoposti al regime
dell’art. 41 bis O.P., attesa la necessità di conciliare i calendari
delle udienze dei diversi processi che vanno celebrati con il sistema della
videoconferenza.
- Da ultimo, ritiene il Consiglio di dover porre l’attenzione
sui rischi che un’estensione generalizzata delle cause di rimessione del
processo potrebbe avere effetti negativi sulla stessa credibilità
della giurisdizione, minando quella fiducia che ne costituisce il presupposto
indefettibile e la funzionalità del processo, che è una delle
condizioni della stessa legittimazione del giudice."
Roma, 17.9.2002
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