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Il Bruno nacque a Nola dal padre Giovanni e dalla madre Fraulissa Savolino nel 1548.  Fin da giovinetto fu avviato alla vita religiosa, entrando a quindici anni nell'ordine dei domenicani, di stretta osservanza scolastico-tomistica. Durante i tredici anni passati nel convento di San Domenico in Napoli, maturò ed esplose la sua crisi religiosa, che doveva già essere in atto quando, nel 1572, ricevette l'ordine.  Non ebbe mai in quel periodo parole di sostegno per i protestanti, ma andava esternando ai novizi molti dubbi Sui dogmi fondamentali della Chiesa, né volle nella sua cella altra immagine che un crocifisso.  Quando fu iniziato contro di lui un procedimento per eresia, il Bruno si rifugiò a Roma, nel 1576, nel convento della Minerva, e il Generale dell'Ordine gli mosse accusa per 130 proposizioni eretiche.  Ormai soltanto la fuga poteva salvarlo: andò a Genova, mentre era doge Prospero Fattinanti, ma dopo tre giorni passò a Noli, dove insegnò grammatica ed astronomia.  Di poi passò a Venezia e di lì a Ginevra, dove depose l'abito ecclesiastico e sferrò violenti attacchi contro la Chiesa dei dogmi e della corruzione.  Egli confidava che avrebbe trovato a Ginevra un ambiente accogliente; messosi in contatto con numerosi calvinisti italiani, trascinò faticosamente innanzi la sua vita corregendo bozze di stampe, sperimentando un'esistenza amara e scoraggiante.  Essendo in disaccordo con Antonio De La Faje, professore di filosofia al collegio calvinista, si trovò a durissimo partito: venne sottoposto a procedimento disciplinare ed alla rigida pratica della confessione dei propri errori davanti al popolo.  Fatta la debita ammenda, ritenne opportuno trasferirsi in Francia. A Tolosa il Nostro si fermò per addottorarsi in filosofia, ottenendo anche una cattedra presso quella università, da cui si allontanò dopo due anni, per recarsi a Parigi, a causa di dissensi sorti con il mondo degli intellettuali colà operanti per le sue idee antidogmatiche e antiaristoliche.  Qui egli pubblicò il primo scritto filosofico « De umbris idearum », dedicandolo a Enrico III.  Ne ricevette una cattedra, che tenne per pochissimo tempo. Dal 1583, per quasi tre anni, si trasferì a Londra, dove trascorse il più sereno periodo di tutta la sua breve e tragica vita: tenne alcune esemplari conferenze e probabilmente ebbe cattedra ad Oxford. Pubblicò i « Dialoghi italiani » ed iniziò la stesura del poema latino « De immenso », ma le sue lezioni sull'immortalità dell'anima e sul sistema copernicano furono proibite.  Trovandosi in aperto e durissimo contrasto con la cultura ufficiale, frequentò dotti amici inglesi, tra cui il Greville: ma anche tale ambiente gli venne a noia, quindi nel 1585 ritornò a Parigi, dove poté pubblicare un dialogo in latino, « arbor philosophorum », successivamente andato perduto, ed un altro, « Figuratio Aristotelici phisici auditus », in cui egli riportava alcune tesi del matematico salernitano Fabrizio Mordente, sul modo di misurare con precisione la terra.  Per la cieca intolleranza degli ambienti aristotelici, il Bruno dové di nuovo allontanarsi e recarsi in Germania, dove soggiornò brevemente a Wittemberg, a Helmstadt, a Francoforte sul Meno e a Praga.  Nel 1590, alla continua ricerca del rapporto scientifico e dialettico tra l'universo, la natura e il mondo, il Filosofo Nolano elaborava e pubblicava a Francoforte il « De Monade, Numero et Figura », il « De triplici minimo et mensura » e il « De innumerabilibus, immenso et infigurabili », dopo aver dato alle stampe il « De lampade combinatoria Lulliana » e centosessanta tesi contro i matematici e filosofi del tempo.  Dopo la sua partenza da Francoforte, si lamenta la mancanza di notizie attendibili e si perdono alquanto di vista i casi tumultuosi della vita del Bruno. La prima città in cui egli ritornò fu Padova, il cui clero perseguitò alacremente il Bruno, che andò a Venezia, dietro invito del nobile Giovanni Mocenigo, perché gli insegnasse la mnemonica e la geometria.  Purtroppo si trattò di una tappa particolarmente drammatica della sua vita tragica e inquieta. Denunciato al Sant'Uffizio dallo stesso Mocenigo, gli furono imputate numerose eresie: che il pane non si converte nel corpo di Cristo, che non c'è distinzione in Dio di persone, che il mondo è eterno, che vi sono infiniti mondi e tanti altri concetti, in verità degni di approfondimento e di analisi, non certo di indiscriminata e faziosa condanna. Dopo tristi e vergognose vicende processuali, fu pronunciata da Venezia la sentenza di estradizione, in virtù della quale il Bruno fu consegnato nelle mani del Tribunale ecclesiastico di Roma, vale a dire del suo carnefice.  Il penoso viaggio avvenne via mare, nel 1593. Ouando poi il Filosofo, tradotto inopinatamente a Roma, si trovò di fronte all'inflessibile volontà dei giudici di distruggere in lui quanto di più caro alitava nella sua mente ardita e solenne, impegnò la sua tenace volontà nella difesa appassionata e coerente delle sue altissime idee contro l'oscurantismo della Chiesa. La sentenza di condanna a morte fu pronunziata l'8 febbraio del 1600.  Secondo la prassi doveva essere eseguita entro il termine di ventiquatt'ore; ma essa venne ritardata fino al 17 febbraio, nell'estremo tentativo di far recedere il Bruno.  Ma tutto fu inutile: il suo coraggio fu così perseverante e ostinato, la sua coerenza morale tanto ferrea, che dai ministri di giustizia fu condotto in Campo de' Fiori.  E quivi, spogliato nudo e legato a un palo, fu bruciato vivo e le sue ceneri si sparsero nell'aria e furono rapite dal vento. Con la morte del suo corpo, non poteva morire il suo pensiero, il quale certamente era diffuso negli ambienti dell'alta cultura europea."    

(sintesi tratta dal Cap. I de "L'universo cosmico bruniano alla luce della filosofia contemporanea" di Luigi Simonetti - Ed. Scala, Nola 1985)