Campo
dei fiori,
Roma,
17 febbraio 2000
“Giordano
Bruno: fiaccola perenne,
aurora
del terzo millennio”
Cittadini
del mondo,
ormai
è passato il Novecento
e
siamo all’alba del Terzo Millennio.
Questo
diciassette febbraio del Duemila
si
annuncia come sintesi di un secolo che muore
e
come protoplasma di un nuovo secolo,
che
batte come un cuore che trema
e
annuncia all’universo fisico e metafisico
della
natura e dell’umanità del nostro tempo
un
insieme di problemi e un labirinto
di
enigmi che impegnano la coscienza di noi tutti,
facendoci
avvertire vertiginosamente
l’impossibilità
di trascendere i limiti psicologici
dentro
i quali siamo situati, in un’epoca
che
fa dell’ “embrione umano” una merce
o
una risorsa strumentale di scambio
di
affaristi dell’amore che non sanno più
che
cosa possa o debba essere l’amore.
In
un simile contesto la filosofia di Giordano Bruno
e
il suo eroico destino di martire dell’odio e della
follia
ostinata,
proterva ed empia di un potere
che
nasce dalla negazione stessa dell’amore,
assumono
un significato e un senso più profondi
400
anni dopo la morte di un pensatore
la
cui grandezza diventa quasi il “simbolo”,
l’
“emblema”, il “paradigma” di un impegno
morale
e civile che accomuna tutti gli uomini
in
una perenne “pedagogia dell’universo”.
Infatti
la filosofia cosmologica
del
Bruno contiene in sé e sviluppa
una
visione scientifica, pedagogica
e
morale di grande attualità ideativa,
architettonica
e compositiva, feconda
di
sviluppi e densa di umanità rivolta
incessantemente
a rifondare e a ripensare
sincronicamente
l’infinità indistruttibile,
immortale
dell’universo e la possibilità
intrascendibile
che i singoli mondi
si
possano dissolvere e scomparire
dalla
materia cosmica, se il pensiero
dei
“viventi” e le “vicissitudini esistenziali”
della
“prassi” non sappiano o non vogliano
armonizzarsi
nell’intelligenza cosmica,
“proletaria”,
operativa del “progresso”
e
nella consapevolezza storica del senso
“immanente”,
eterno dell’amore.
L’amore,
brunianamente inteso, è l’ “eros”,
il
senso originario della vita, un punto
centrale
di raccordo tra tutti gli elementi
che
compongono il principio e il divinire
dell’universo,
senza vincoli gerarchici,
senza
assurdi privilegi o preconcetti
di
religione o di razza, di appartenenza
politica
o di presunta superiorità imposta
con
la forza o con l’inganno, con la malizia
o
con la frode, o con qualunque sistema economico,
politico
o sociale pensato dall’ “alto” come l’unico
o
il migliore dei possibili sistemi.
Diventa
perciò sempre più attuale
la
“Cena de le ceneri”, del Bruno,
perché
l’umanità del nostro tempo
dovrebbe
saper misurare le proprie facoltà,
le
proprie esperienze, le proprie sconfitte
e
i propri limiti in un “banchetto”
mondiale,
universale, in cui i popoli,
tutti
i popoli “via satellite” o “via internet”
possano
registrare direttamente dall’intervento
dei
“commensali” le condizioni attuali
dei
diversi “saperi” che compongono
concretamente
la scienza fisica, metafisica,
genetica,
ecologica, economica dell’uomo
che
lotta, sperimenta e vive le ragioni
del
corpo e della mente e le vicissitudini
dell’universo.
Giordano Bruno, infatti,
nella
“Cena de le ceneri” ha descritto
la
sua luminosa eppur difficile esperienza
di
uomo che ha attraversato vicoli bui,
ha
litigato con i rozzi barcaioli del Tamigi,
si
è infangato nelle pozzanghere, ma, alla fine,
sia
pure con ritardo , e arrivato alla “Cena”
alla
quale aveva promesso di partecipare,
e
vi partecipa da uomo cosciente dei suoi limiti
ma
consapevole del fatto che la sua vita
è
il suo pensiero, perché il
suo pensiero è la sua vita
Partendo
da queste premesse il Bruno,
e
noi col Bruno, potremmo e dovremmo veramente
“cambiare”il
mondo,aprire nuovi “orizzonti”,
nuovi
“cieli” alla nostra “mente”, al nostro cuore
alla
parte più intima, più vera della nostra realtà
di
uomini chiamati a vivere, ma a vivere davvero,
nell'infinita
magia dell'universo.
- Luigi
Simonetti
- Docente di
Storia e Filosofia
- del L.C.S.
“G. Carducci” di Nola
17 febbraio del 2000 |