Qualche consiglio per il vostro epitaffio
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di Marcello Veneziani,
Libero, 10.11.2006 Per leggere l'articolo fai click su: 20061110_veneziani_consiglio.pdf |
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Giudizio: «Qualche consiglio per il vostro epitaffio. Un matrimonio su tre finisce nel divorzio, un matrimonio su tre non è più celebrato in chiesa, un matrimonio su tre non si fa, rispetto a trent’anni fa. Le separazioni triplicano […]. Un bambino su tre non nasce grazie all’aborto e derivati, una coppia su tre non fa figli, una coppia su tre ha un solo figlio. E per finire in bellezza, un morto su tre è abbandonato senza sepoltura. […] Cosa unisce questa statistica ossessiva di uno su tre che saltella fra separazioni, gravidanze e sepolture? Ve lo dico io cosa le unisce. […] La solitudine vince alla grande e trionfa sui vivi, i nascituri e i morti. Soli, siamo soli. E ci prepariamo a un destino di solitudine. […] La vita è mia e me la gestisco io […]. Perchè crolla la famiglia? Perchè è un vincolo, perchè ci inchioda alla realtà e ci preclude la possibilità; fuori c’è la strada, il mare aperto, perchè rinchiudersi nella prigione di una famiglia?», di Marcello Veneziani, Libero, 10.11.2006 |
Rassegnina |
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Livia Turco, come madre, è portata a sconsigliare a suo figlio l’uso di droghe, anche leggere; come ministro decide di raddoppiare la quantità detenibile di cannabis per uso personale. Ma l’uso di droga, comunque si voglia girare la frittata, e indipendentemente dai costumi dei propri elettori, è un tentativo di fuga dalla realtà. Per quale altra ragione altrimenti la Turco dovrebbe salvaguardare il figlio dai “mali” di questa società? Eppure che la droga sia un male è diventato impossibile dirselo. Il “vietato vietare” nasconde dunque un più letale “vietato giudicare”. Non si può più dire pubblicamente che cosa è bene e che cosa è male, avere un’idea della libertà diversa da quella della pura assenza di vincoli, che poi, come scrive Veneziani, significa soltanto che ci ritroviamo tutti più soli. La posizione della Turco è l’emblema di una schizofrenia diffusa: quella tra opinione privata e giudizio pubblico, che copre l’incapacità a dar credito a ciò che si rende evidente nella propria esperienza. La prima e comune responsabilità che abbiamo di fronte a ciò che accade è allora quella “per il retto uso della ragione”, come ha detto di recente Benedetto XVI, a partire non da preconcetti, ma dall’esperienza che tutti facciamo di ciò che è più vero, più giusto, più buono. È di questo che bisognerebbe tornare a parlare, pure tra i politici. Perchè giudicare è l’inizio della liberazione. Anche dalla droga. |