Cannabis: Lettera di Livia Turco ad Avvenire
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Lettera di Livia
Turco ad Avvenire,
18.11.2006 Per leggere l'articolo fai click su: 20061118_avvenire_livia_turco.pdf |
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Giudizio: «Cannabis: Lettera di Livia Turco ad Avvenire. Caro direttore, nessun tema come quello delle droghe mi ha messo in discussione nella mia funzione di educatrice e di madre. […] Io adoro mio figlio e mi chiedo spesso se e quanto il mio amore gli sono sufficienti per salvaguardarlo dai mali di questa società. È in questo momento così duro e intimo che ho capito e capisco il significato profondo della funzione educativa. Ho capito che la vera forza di cui disponiamo e dispongo era dare a mio figlio fiducia e conquistare la sua. E così gli ho raccontato la distruttività della droga a partire dallo spinello. Mi sono fatta promettere che non si sarebbe lasciato tentare», di Livia Turco, Avvenire, 18.11.2006 |
Rassegnina |
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Livia Turco, come madre, è portata a sconsigliare a suo figlio l’uso di droghe, anche leggere; come ministro decide di raddoppiare la quantità detenibile di cannabis per uso personale. Ma l’uso di droga, comunque si voglia girare la frittata, e indipendentemente dai costumi dei propri elettori, è un tentativo di fuga dalla realtà. Per quale altra ragione altrimenti la Turco dovrebbe salvaguardare il figlio dai “mali” di questa società? Eppure che la droga sia un male è diventato impossibile dirselo. Il “vietato vietare” nasconde dunque un più letale “vietato giudicare”. Non si può più dire pubblicamente che cosa è bene e che cosa è male, avere un’idea della libertà diversa da quella della pura assenza di vincoli, che poi, come scrive Veneziani, significa soltanto che ci ritroviamo tutti più soli. La posizione della Turco è l’emblema di una schizofrenia diffusa: quella tra opinione privata e giudizio pubblico, che copre l’incapacità a dar credito a ciò che si rende evidente nella propria esperienza. La prima e comune responsabilità che abbiamo di fronte a ciò che accade è allora quella “per il retto uso della ragione”, come ha detto di recente Benedetto XVI, a partire non da preconcetti, ma dall’esperienza che tutti facciamo di ciò che è più vero, più giusto, più buono. È di questo che bisognerebbe tornare a parlare, pure tra i politici. Perchè giudicare è l’inizio della liberazione. Anche dalla droga. |