Inchiesta
sulla firma contro le cure al feto «Daniele Scassellati, responsabile del centro per le interruzioni di gravidanza, ribadisce: “Anche se il feto nasce vivo, è sbagliato tentare di rianimarlo ad ogni costo. Va rispettata la volontà dei genitori: se loro chiedono l’aborto vuole dire che non vogliono portare avanti quella gravidanza. Rispetto le idee antiabortiste, ma io faccio quello che mi chiedono».
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Francesco Di Frischia, Corriere della Sera,
10.03.2007 Per leggere l'articolo fai clic qui: 20070310_difrischia_contro_cura_feto.pdf
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Aborto: «Inchiesta sulla firma contro le cure al feto», Francesco Di Frischia, Corriere della Sera, 10.03.2007 «Daniele Scassellati, responsabile del centro per le interruzioni di gravidanza, ribadisce: “Anche se il feto nasce vivo, è sbagliato tentare di rianimarlo ad ogni costo. Va rispettata la volontà dei genitori: se loro chiedono l’aborto vuole dire che non vogliono portare avanti quella gravidanza. Rispetto le idee antiabortiste, ma io faccio quello che mi chiedono». |
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INTERRUZIONE
VOLONTARIA DELLA RAGIONE
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Dopo
l’ennesimo caso in cui i medici hanno mostrato la loro fallibilità, si è
tornati a parlare di aborto e di legge 194. A Firenze, infatti, un
errore nella diagnosi su un feto ha condotto i medici e la madre a praticare
un’interruzione di gravidanza alla ventiduesima settimana. Il bimbo è
sopravvissuto e non aveva alcuna malformazione. Provava dolore, piangeva e
respirava autonomamente. Era perfettamente vivo e per questo forse ha dato
così tanto fastidio e ha suscitato così tante domande. I dottori lo hanno
rianimato, sebbene in ritardo. È riuscito a rimanere in vita per sei giorni.
Per evitare il “rischio” che altri feti resistano all’aborto, Veronesi propone di abbassare il limite massimo per l’interruzione volontaria di gravidanza da ventiquattro a ventidue settimane. Il San Camillo di Roma invece avanza l’ipotesi di far firmare alla donna un consenso informato, per rinunciare alle cure nel caso il piccolo sopravviva, in modo da raggiungere l’obiettivo: la soppressione del feto. L’approccio alla vita e alla morte è dunque ridotto a un mero tecnicismo legislativo o relegato alla decisione soggettiva della madre, che sollevi i medici da ogni responsabilità. Soluzioni comode che non impegnano la ragione nella fatica di riconoscere l’evidenza: la vita di quel feto di ventidue settimane non è un’opinione, non appartiene all’esercizio della dialettica, ma è una realtà visibile a tutti. Negli hospice statunitensi questo è chiaro, addirittura nel caso di feti malformati. Le famiglie con bambini malati e destinati alla morte poco dopo la nascita sono accompagnate nel portare a termine la gravidanza e nel compiere così un’esperienza incomparabilmente più umana. Non si tratta di difendere l’ideologia del pro life, ma quell’uso ampio della ragione che non censura nessun aspetto della realtà. Anche se doloroso. |