Il turbolento fine secolo

Bava Beccaris, i fasci siciliani, l'assassinio di Umberto I, quello di Elisabetta "Sissi" D'Austria, la "Bolognina" e la Regina Elena 

LA TRIPLICE ALLEANZA: il 5 gennaio 1878 poco dopo aver spedito un telegramma di condoglianze alla famiglia La Marmora per la morte di Alfonso (fratello di Alessandro), Vittorio Emanuele II primo Re d'Italia veniva colpito da febbri malariche. Dopo 2 giorni d'agonia sopraggiungeva la morte. Il Papa Pio IX, informato della situazione, invia un prelato con la sospensiva delle scomuniche e delle censure a suo tempo (1870) lanciate,... affinché al Re non manchi il sostegno dei sacramenti e possa morire da cristiano e galantuomo...!!. Un mese dopo a morire è anche lui l'86enne Papa Pio IX: si chiude un'epoca.

Umberto I Francesco Giuseppe Guglielmo II

 Il governo di sinistra di Depretis, eletto da poco, si adopera affinché il conclave si svolga nella più assoluta legalità (vedi seguito) e libertà religiosa. Disordini, con minacce di gettare la salma di Pio IX nel Tevere in occasione della sepoltura, hanno fatto ritardare anche l'apertura del Parlamento Romano. L'esercito, schierato intorno alla città leonina e le sue dipendenze, permette che, nel giro di 3 giorni, si elegga un nuovo Papa, Leone XIII. Depretis, investito dalle critiche sugli ultimi avvenimenti, deve dimettersi ed al suo posto viene chiamato l'ultimo dei Cairoli, Benedetto. Il suo programma molto vasto sarà solo parzialmente realizzato: fra i primi provvedimenti la sospensione dell'annosa e odiosa tassa sul macinato. Il 17 novembre 1878, mentre accompagna a Napoli il nuovo Re, Umberto I, e la Regina Margherita, un uomo, uscito dalla folla, riesce a sferrare una coltellata. Il colpo ferisce il Re di striscio, per il tempestivo intervento di Benedetto Cairoli che subisce una grave lacerazione alla coscia. Le manifestazioni di protesta per l'atto e le contromanifestazioni portano il governo Cairoli a cedere di nuovo il bastone di comando a Depretis. Nei Balcani la rivolta nazionalista antiottomana trova ogni giorno nuovi sostenitori.  Il Sultano Turco si è effettivamente cacciato nei guai quando nel 1875 è costretto a dichiarare bancarotta con un debito di 3.850 milioni di marchi tedeschi. Sul debito correvano interessi piuttosto pesanti (come oggi, 2012, per noi) e il sultano non poté esimersi dall'aumentare le tasse nell'impero. Inutile dire che, nonostante i titoli di stato fossero in mano a tutti i paesi, Italia compresa, chi fece la parte del leone nella moratoria fu la Germania che da quel momento raccolte le cambiali degli altri detterà legge alla Sublime Porta (non aspettatevi di meno). Nel 1877, dopo due anni di guerra, le truppe russe sono giunte a Costantinopoli occupando anche gli stretti. A Berlino l'anno dopo, alla conferenza di pace,  Bismarck la fa da padrone sulla scena Europea riuscendo a far recedere la Russia dagli stretti. Ottengono nel contempo l'indipendenza dall'impero Ottomano, a parziale compensazione, le regioni ortodosse Romene, Serbe e Montenegrine tutte vicine di Vienna ma devote allo Zar. Agli Inglesi Cipro e all'Austria il protettorato sulla Bosnia Erzegovina per compensazione. Ai tedeschi i contratti per la costruzione (continuazione) delle ferrovie turche verso Baghdad e Bassora per le indie. 

LLa pace di Santo Stefano del 3 marzo 1878 e il successivo Trattato di Berlino regolarono i rapporti di forza usciti dalla guerra Russo Turca. L’impero ottomano si stava disfacendo come neve al sole e molti altri paesi, solo virtualmente, le dipendevano come la Libia la Tunisia,  etc... Qui i Bey, affannati a correr dietro al progresso e darsi un minimo di indipendenza militare ed economica si riempivano di debiti. La situazione precipitò sotto Mohamed es-Sadok (1856-1882), il quale tentò anche la via Costituzionale. Nel 1867 era la Bancarotta anche per Tunisi. Le finanze furono poste sotto il controllo di una Commissione Finanziaria Internazionale, che limitò l'autonomia di governo (è un modello ormai anche per l'euro). La successiva sconfitta Francese del 1870 aveva di fatto creato, in 4 anni, un nuovo grande padrone in Europa, la Germania. La sistemazione ufficiale di Berlino lasciava però fuori la Francia (e l’Italia). Le diplomazie sotterranee si adoperarono quindi per raccomandare ai Francesi l’occupazione della Tunisia, che faceva "dimenticare" il dolore per Metz e Strasburgo. Andava bene anche per gli inglesi che così non si trovavano la rotta per Suez bloccata dalle forche caudine Italiane (nello stretto di Sicilia:180 km separano la Sicilia dalla Tunisia) o peggio tedesche. L’alternativa era una super alleanza Mosca-Parigi che infastidiva però il Kaiser. Il fatto che la comunità straniera più numerosa in Tunisia (i clandestini italiani") fosse la nostra non contò nulla. Se c’era un punto basso in politica, lo avevamo raggiunto. Cairoli, dai passi corti alla fine aveva anche detto no (a che cosa?) senza che qualcuno glielo chiedesse. Nè a noi nè a loro comunque !!!. era lo slogan salvo che gli altri si pigliavano tutto. Con 3 anni di riflessione alle spalle, la Francia invase il paese il 12 aprile 1881 prendendo spunto da un “casus belli”di una banda di predoni che aveva sconfinato nella colonia Algerina !!! francese. L’occupazione definita puramente militare attribuiva alla Francia la rappresentanza internazionale di Tunisi, garantendo anche la validità di tutti gli accordi internazionali conclusi in precedenza dal governo tunisino. Parigi inoltre aveva la possibilità di controllare le finanze tunisine, affinché il debito pubblico fosse estinto ed a questo proposito fu nominato un ministro-residente francese. Ad eccezione della Turchia e dell'Italia, tutte le Potenze riconobbero la nuova situazione in Tunisia.  (http://www-serra.unipi.it/dsslab/trimestrale/2003/articolo Stefania TUNISIA.pdf   http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=3152 . In compenso chiediamo eventualmente mano libera in Tripolitania o, come ci è stato promesso, in Albania e addirittura nella Georgia caucasica (c'è mancato poco che Giuseppe Stalin nascesse italiano). Questa della Georgia è una mira che tornerà fuori nel 1919 (vedi capitoli in Confini). In novembre del 1881 Umberto I restituisce  la visita di cortesia che Francesco Giuseppe ha fatto al padre nel 1875. Durante il brindisi viene conferito al Re il titolo di colonnello onorario del reggimento che ha concorso alla sconfitta piemontese di Novara nel 1849. Buona fede o malafede ci facciamo anche una figura di m... In Italia il fatto desterebbe sconforto e indignazione, se non fosse che è ancora aperta la ferita di Tunisi verso i cugini transalpini pigliatutto. Elena del MontenegroQualcuno disse che prendemmo la strada per Berlino per vendicarci della Francia e dell'Inghilterra: più prosaicamente la prendemmo perché eravamo masochisti e che i tedeschi ci trattassero da inferiori ci dava l'orgasmo e aggiungevano loro, se non ne avessimo avuto abbastanza ... "...La strada per Berlino passa da Vienna"  spiegando agli italiani che le loro vecchie alleanze con Francia e Company non si basavano sul rispetto e la fiducia, che potevano garantirci loro, ma solo sul servilismo e con gli austriaci avessero pure gli italiani ingoiati rospi si ma per un futuro migliore (vedremo quale !!!). Il 20 maggio 1882 il trattato di alleanza fra noi, l'Austria e la Germania viene firmato. L'irredento triestino Guglielmo Oberdan in viaggio per Vienna con l'intento di uccidere Francesco Giuseppe, viene tradito e venduto alla polizia austriaca. Sottoposto a interrogatori stringenti, non nega il suo intento e viene condannato a morte. Il 20 dicembre ha luogo l'impiccagione. Da questo momento anche l'irredentismo dei Trentini, Giuliani, Istriani e Dalmati diventa un problema secondario (per noi) per non irretire l'alleato. Il trattato deve garantirci innanzitutto contro un ulteriore espansionismo Austriaco nei Balcani e Francese in Nord-Africa. Chiediamo di inserire la clausola che l'alleanza non è contro l'Inghilterra, ma ci viene negata. Col rinnovo del 1896 la clausola resta una dichiarazione unilaterale a conoscenza degli altri. Solo in caso di conflitto limitato alla Russia a noi sarebbe richiesta o concessa la neutralità. In questo anno anche il matrimonio dell'erede al trono Vittorio Emanuele con Elena, figlia del Re del Montenegro (parenti dei Russi Romanoff) porta lo scompiglio nelle successive mani della partita delle alleanze. D'ora in poi saranno anni di crisi economica con l'esplosione del primo grosso fenomeno dell'emigrazione al quale si cerca anche di ovviare con l'avvio per politica coloniale verso un'area, altrettanto desolata come il Corno d'Africa: prima con l'Eritrea poi con la Somalia. Pochi soldi, cattive idee e conseguenti risultati.   

  8 DICEMBRE 1893 LE RIVOLTE - I fasci siciliani
Il re dà l'incarico di formare un nuovo governo al solito CRISPI (il Crispi III durerà fino al 10 marzo 1896 !!!, ma il II è stato in carica dal 9 marzo 1889 al 6 febbraio 1891 per un totale di 699 giorni), che dà vita a una coalizione chiedendo ai partiti una "tregua di Dio o per Dio" per far fronte alla difficile situazione politica interna, soprattutto quella delle rivolte siciliane. Invece della "tregua di Dio", sulla Sicilia si abbatte il, "castigo di Dio", detto anche "castigo crispino". Appena prende i poteri, il garibaldino di sinistra CRISPI, si prende ad interim il ministero degli interni e per le rivolte siciliane propone subito una repressione che il governo vota 342 a favore (ammucchiata di destra, sinistra, socialisti moderati e anarchici) contro 45 no e 22 astenuti. Subito dopo la Camera dà anche l'autorizzazione a porre in stato di assedio tutta la Sicilia. La serie di eccidi iniziò a Giardinello (Pa) il 10 dicembre 1893 (anche una squadra di Bersaglieri comandati dal Sottotenente Cimino che morirà in Africa 3 anni dopo fra le truppe inviate) e si concluse il 4 gennaio 1894. Era cominciata con una dimostrazione contro le tasse ed era finita con 11 morti. Stesso copione a Monreale, Lercara e Pietraperzia etc… Secondo un calcolo non verificabile di Napoleone Colaianni, i dimostranti uccisi (ma non solo dalle guardie e soldati regi) sarebbero stati non meno di 92, mentre tra le truppe vi sarebbe un solo morto. Uno dei caratteri della protesta era l’esibizione nei cortei della casa Reale per ribadire il carattere lealista (monarchico) della protesta. Uno dei bersagli preferiti dei dimostranti erano le autorità locali, che all’epoca dovevano già essere di nomina locale (ma i votanti erano i maggiorenti vedi sotto) e non più del ministero degli interni. La più piccola provocazione però (proveniente dal Sindaco, dai consiglieri comunali, dalla guardie municipali, dai delegati di P.S. ecc.) bastava a far esplodere l'ira e il malcontento della popolazione, la quale si scagliava contro le carte e i registri del Municipio e i casotti daziari. Il più delle volte ad aprire il fuoco contro i dimostranti erano le guardie municipali e i campieri mafiosi al soldo dei gabellotti.
bersaglieri in piazza Duomo Dire che le nomine fossero già lottizzate è una scoperta da poco. Alle elezioni che si tenevano per censo e cultura non poteva che partecipare in Italia una piccolissima parte; in Sicilia poi in alcuni comuni andava a votare un cittadino su 86. Si poteva arrivare al limite che in certi comuni non si aprissero nemmeno i seggi per la mancanza minima di abbienti elettori e eleggibili. La rivolta, che prese il nome di "FASCIO SICILIANO", dal nome delle leghe sindacali, si diffuse anche in altre regioni ma le “provocazioni” della Sicilia in altre parti non si riscontrano. Dal 1 maggio 1891 a fine ’92 tutte le province avevano il proprio fascio. Il 3 gennaio 1894, a Palermo, in una riunione segreta, gli anarchici (il lealismo si vede che non era servito a nulla) stesero un manifesto, comunicato in via telegrafica a Crispi, chiedendo tra le altre cose, l'abolizione dei dazi locali sulle farine, inchieste sulle pubbliche amministrazioni, esproprio dei latifondi incolti con un equo indennizzo ai proprietari. 

SScriveva De Amicis “Centinaia di famiglie non vivono d’altro che di erbe e fichi d’india". Un altro settore dove esisteva un grosso sfruttamento erano le miniere, dove secondo una legge non si poteva lavorare sotto i 14 anni, ma si videro anche bambini di 10. Ma non era solo il Sud ad essere in difficoltà in quegli anni e nei successivi. Alessandro Gionino, “La Risaia”, citata da A. CORONA, Sedici Anni di Cronache Sangermanesi 1898-1914, Santhià, 2000, p. 75. Ed ecco come ne parla “La Sesia” del 3 febbraio 1911 di quei fanciulli: Là dove due volte alla settimana ferve l’animazione del mercato dei cereali, e compratori e venditori si abbandonano alla febbre delle contrattazioni, nella fredda mattina del 2 febbraio di ogni anno, un gruppo di ragazzi è posto in vendita al miglior offerente -oh poche decine di lire bastano per l’acquisto del piccolo lavoratore per un anno- e il contratto si stipula in breve fra i genitori del ragazzo e l’agricoltore, che porta con sé, fatto ormai cosa sua per dodici mesi, la tenera creatura. Il giovanetto, tutto intirizzito nei suoi panni leggeri, saluta i suoi genitori, e questi –fatti in generale quasi insensibili dalla miseria che li obbliga a diminuire le bocche di consumo ed a ricavare i primi guadagni dalle loro creature- lo vedono allontanarsi col piccolo fagotto degli indumenti sotto il braccio, e lo salutano malinconicamente, ma senza smanie e senza lacrime: forse di lacrime non ne hanno più! La loro triste sorte è fissata dalla consuetudine: fanno tutti così, e non c’è modo di fare altrimenti! […] si direbbe che il freddo della stagione sia sceso negli animi: Nessuno si commuove: né chi compre, né chi vende, né la creatura -quasi una cosa- venduta!”. Tale mercato, detto dei “servitorelli”, si teneva il giorno della Candelora in Piazza Vittorio Emanuele II, attuale Piazza del Municipio. Caserio uccide il Presidente Francese Carnot

Quel tragico agosto 1893 era stato anche l’anno di Aigues Mort in Francia. Mort aux Italiens! Il grido si alza possente. Sono i lavoratori francesi del sale in Camargue scesi a combattere lo sfruttato italiano, colpevole della sua disarmante miseria. Sono nove gli italiani che restarono a terra per mano della folla inferocita. Il primo Governo Giolitti, dal maggio 1892, avrebbe anche lasciato gli agrari a sbrigarsela da soli (ad armi pari) con i braccianti e gli altri convinto che migliori salari avrebbero tagliato le unghie ai rivoluzionari più spinti e spinto “l’agricoltura e l’industria verso una fase di rinnovo tecnico” (ma queste sono convinzioni molto moderne che all’epoca avevano come unica conseguenza una maggiore emigrazione o sfruttamento di classi deboli). Cinquanta anni dopo la situazione sarà immutata. Richieste comunque neanche troppo rivoluzionarie erano venute dal basso, tenuto conto che erano comunque crollati molti usi civici di compartecipazione dei cittadini al territorio (con l’unità d'Italia). Il male più grande dell’unificazione al sud era stato l’abbandono di una "economia protetta" (dai borboni) con la cancellazione di dazi d'importazione che avevano messo in ginocchio molte produzioni. Diceva Garibaldi “..la Sicilia non è ingovernabile è balordamente governata”. Quando nel maggio ’93 si riunì il congresso (partecipano 500 delegati di quasi 90 Fasci e circoli socialisti) i proprietari terrieri se la presero anche con l’istruzione obbligatoria causa di “sta vucciria”. Da Dicembre, appena eletto, come risposta, CRISPI proclamò lo stato d'assedio su tutta la Sicilia; richiamò sotto le armi la classe del 1869 appena congedata e mandò in Sicilia circa 40 mila soldati. Il Generale MORRA fece arrestare l'on. DE FELICE e tutti i capi del movimento insurrezionale, proibì le riunioni, mise la censura sulla stampa, e assegnò al domicilio coatto non pochi cittadini. Il 13 gennaio la notizia delle repressioni siciliane fece insorgere gli anarchici della Lunigiana , i carraresi del marmo, i quali si armarono ed assalirono gli operai che non volevano scioperare e la forza pubblica. Il 16 gennaio Crispi pose lo stato d'assedio anche in Lunigiana e vi mandò con pieni poteri il generale degli alpini NICOLA HEUSCH. I processi in Sicilia si chiusero con la condanna dei contadini e non delle guardie a cui nessuno aveva dato l’autorità di sparare. Per dare tempo a SONNINO di preparare un programma finanziario, CRISPI prorogò l'apertura della Camera al 20 febbraio, ma l'opposizione non aspettò e Felice CAVALLOTTI, che fino ad allora aveva appoggiato Crispi (sinistra), muoveva guerra a "un'isterica eccellenza (Crispi) circondata di fasto e di paura, farneticante a stracciar leggi e guarentigie, comprare coscienze, riempire galere e alternante lo spregio dei miseri con le bigotte invocazioni del cielo". http://www.classicitaliani.it/pirandel/pira67.htm la versione di Pirandello.
 

LLA RIVOLTA DEGLI EQUIVOCI

 IIl paese, negli anni fra il 95 e il 97, era ancora percorso da ondate di scioperi della nuova classe operaia inurbata. Gli interventi del governo, con leggi mitigatorie, sulla assistenza sanitaria e sulle condizioni di vita non avevano migliorato molto la situazione. Dei disordini che dall'unità d'Italia si susseguirono nel paese, questi di Milano del 98, come quelli della tassa sul macinato, sono rimasti impressi nella mente della gente più a lungo, anche se gli altri, come la Boje e i fasci, non furono da meno.

 Milano allora contava quasi mezzo milione d'abitanti dentro e fuori le vecchie mura spagnole. L'espansione industriale con la nascita dei primi quartieri operai, in gran parte immigrati del nord, aveva creato una classe operaia  simpatizzante sì per la sinistra, ma con connotazioni non radicali. E' qui in questo fervore culturale, scientifico, sociale che si percepiscono maggiormente le tensioni e le lacerazioni di un cambio epocale imposto dalle scoperte e dall'allargamento dei confini umani. 1896-1898 anni ruggenti . Alpini a Milano nel 1898Qui, in questa città, era nato da tempo il movimento post romantico della Scapigliatura composto da un gruppo di scrittori lombardi e settentrionali con stili di vita similari e con una grossa avversione al "Secondo Romanticismo", lacrimoso lo definivano o retorico, per portare la lacrima vera della natura e della società nei libri. Sono ribelli nell'arte e nella vita, antiborghesi, disincantati, irrequieti, irreligiosi, antimilitaristi, e considerano l'arte un tutt'uno senza divisioni fra musica, pittura scrittura, scultura etc...Vita disordinata, dissipata in abbaini, in osterie, ubriachi ...che riporta all'etimologia della parola stessa scapigliatura derivante dal francese Bohemienne (la Boheme di Puccini è del 1896 ma la prima opera della scapigliatura è di molti anni precedente). Sono un pò orridi, tendono al suicidio e tentano di porre in versi e in prosa le impressioni immediate, le sensazioni violente che provano. Il nucleo essenziale della Scapigliatura milanese è costituito dal poeta e pittore Emilio Praga (1839-1875), da Iginio Ugo Tarchetti, romanziere e poeta (1839-1869), dai fratelli Camillo (1836-1914) e Arrigo Boito (1842-1918) — architetto e autore di novelle il primo, poeta musicista il secondo — e da Carlo Dossi (1849-1910), Giovanni Camerana, i pittori Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Daniele Ranzoni oltre il precursore Cleto Arrighi (la scapigliatura 1862),

A questo movimento si affiancherà poi, principalmente nel sud e isole, il naturalismo italiano (ispirato al francese Zolà) o Verismo che vuole descrivere la vita della gente umile, dei reietti dalla società che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalità del destino....l'oggetto sono i "documenti umani", cioè fatti veri, storici; e l'analisi di tali documenti dev'essere condotta con "scrupolo scientifico" ...(G. Verga)  Suoi, di Verga, i maggiori scritti a cominciare da i Malavoglia (1881) ma scriveva già da 15 anni (Una peccatrice 1866, Storia di una capinera 1871). Altri autori veristi Vittorio Imbriani, Luigi Capuana, Emilio De Marchi, Matilde Serao, Grazia Deledda, Edmondo De Amicis .. etc..

In marzo del 1898 Felice Cavallotti, l'accusatore di Crispi, sfida a duello Ferruccio Macola direttore della "Gazzetta di Venezia" per gli articoli offensivi su di lui pubblicati. Nel duello Felice Cavallotti ha la peggio. Carducci stesso, dai banchi dell'università di Bologna, stila un'ode funebre. I funerali di Milano (8/3) sono occasione di disordini. E' partita dalla Romagna a fine aprile la scintilla che fa scattare la protesta per l'aumento del prezzo del pane. La causa è la mancata esportazione di grano dagli Usa (allora in guerra con gli spagnoli). Gli aumenti di Milano (25%), città operaia senza disoccupazione, con un grado d'istruzione elementare anche fra gli operai, non dissimile da quello avviato in tutto il paese, avrebbero gravato ma non inciso brutalmente. Diverso era il discorso per le zone depresse e più povere che già alimentavano un forte flusso migratorio e dove il pane era uno degli unici alimenti consentiti (1Kg a testa a giorno, lo chiamavano pane da munizione, perché era come le pallottole per il soldato, non se ne poteva fare a meno). Le proteste, normali in simili situazioni, s'incrociarono con quelle delle leghe e dei sindacati radicali che chiedevano più libertà. Il governo, sulla base di informazioni errate e incomplete, decreta lo stato d'assedio con pieni poteri al Gen. Bava Beccaris. Alla vigilia del 1° maggio la situazione è ancora tranquilla e lo sarà nonostante le provocazioni per diversi giorni fino a sabato 7 quando degenera con barricate che sorgono ovunque. In città si iniziano a contare diversi morti.  Il convento di Porta Monforte, viene preso a cannonate quando si forma la solita fila dei questuanti alla mensa del povero. Martedì 10 come si dice in simili circostanze
"l'ordine regna sovrano". La conta dei morti non sarà mai completamente accertata, per le contemporanee inumazioni fatte passare per cause naturali e/o  "veramente" naturali. Il numero reale superò i 100. Passati i primi giorni di panico, le azioni del Bava furono deprecate dalla stessa borghesia. Condanne pesanti furono inflitte comunque a Turati, De Andreis e la Kuliscioff ritenuti istigatori.

  Gli ultimi fatti di sangue: la morte di Sissi - - 10 settembre 1898

   . ....... SPECIALE CARNEADE  http://www.cronologia.it/storia/biografie/sissi.htm 

La romantica storia d’amore fra Elisabeth Eugenie Amalie von Wittlesbach (Sissi) andata sposa a Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria, all’età di 16 anni finisce in fretta, non è un film. Tanti i problemi o forse nessuno in particolare se non la rigidità della corte viennese (le levano i figli sia per la giovane età che per la rigida educazione come era tradizione ala corte imperiale, tradizione forse che non esisteva in Baviera), il carattere ribelle di lei, poi le tragedie familiari che si susseguono in un crescendo dalla morte della figlia Sofia (ancora in fasce) a quella di Massimiliano (fratello del marito) in Messico nel 1867 e a seguire ....

Lucheni colpisce Sissi

... il suicidio del figlio Rodolfo a Mayerling (1889), alla morte del cugino Luigi (il matto), alla morte dell’altro fratello di Francesco, Carlo Ludovico nel 1896 per aver bevuto acqua inquinata in Terrasanta e per chiudere quello della sorella Sofia Carlotta morta nel bazar della Carità a Parigi nel '97 per incendio

                                                                                  

 Gaetano Bresci: l'assassinio di Umberto I

La sera del 29 luglio 1900, a Monza, il secondo re d’Italia, Umberto I, si allontanava a bordo di una carrozza scoperta, dalla palestra della società ginnica “Forti e liberi”, dove aveva premiato alcuni atleti. Ad un tratto, gli si avvicinò un giovane, Gaetano Bresci, 31 anni, anarchico toscano (11/11/1869 Coiano, Prato), di professione tessitore il quale, armato di una rivoltella colpì a morte il sovrano.  Bresci era emigrato negli Stati Uniti, a Paterson nel New Jersey nel 1897, come tanti altri in seguito alle crisi economiche. Fra gli italiani di Paterson cominciarono a fiorire club anarchici o socialisti, giornaletti combattivi, convegni politici e conferenze con prestigiosi oratori, che giungevano apposta dall’Italia. Quando giunse anche a Patterson, nella primavera del ’98, l’eco delle cannonate di Bava Beccaris, l’ambiente anarchico cominciò a ribollire: in una delle riunioni più infuocate, la ventenne Ernestina Crivello, una splendida filandina di Biella, salì sul palco per annunciare di essere pronta ad offrirsi a colui che avesse vendicato le vittime di Milano. Fu in questo ambiente surriscaldato, che maturò il progetto di uccidere Umberto I. Bresci era quindi tornato in Italia il 17 maggio del 1900 con l’obiettivo preciso di uccidere il re. Gaetano Bresci fu rinviato a giudizio dalla Corte d’Assise di Milano e il processo si svolse con una rapidità insolita per quei tempi.

Giudicato colpevole del delitto di regicidio, Bresci, con sentenza del 29 agosto 1900, fu condannato «… alla pena dell’ergastolo, di cui i primi sette anni in segregazione cellulare continua, all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, all’interdetto legale, alla perdita della capacità di testare ritenendo nullo il testamento che per avventura fosse da lui stato fatto prima della condanna».

Trasferito nel penitenziario di Santo Stefano a Ventotene, la mattina del 22 maggio 1901, dopo dieci mesi di reclusione, Gaetano Bresci fu rinvenuto morto. Attorno al collo aveva un nodo scorsoio, fatto con un asciugamano. La morte di Bresci fu attribuita a suicidio. Umberto, come il padre, aveva avuto molte avventure galanti, come, ad esempio quella con la contessa Cesarini Galli Hercolani, che gli diede un figlio a 14 anni !!!. La donna del suo cuore fu però Eugenia Bolognini **: alta, formosa, occhi blu e capelli neri. Umberto, che riconosceva il carattere parlamentare del sistema politico italiano, non presenziava al consiglio dei ministri. Si limitava a ricevere il presidente del consiglio e, sentita la relazione, a firmare i decreti. Nonostante questo aveva già subito diversi attentati: nel 1878 a Napoli il cuoco Giovanni Passanante tentò di accoltellarlo; lo salvò rimanendo ferito Benedetto Cairoli, Presidente del Consiglio. Tre mesi prima Umberto I aveva subito un attentato analogo a Foggia.  Nel 1897, scampato alle coltellate del fabbro Pietro Acciarito disse a Urbano Rattazzi: "Quando dal pugnale passeranno alla pistola...". Allestita la camera ardente la Regina Margherita fece chiamare la Duchessa Litta Bolognini (chiamata anche la Vice-regina*) e la lasciò sola con Umberto. Da soli o incaricati da società segrete, come i kamikaze, gli anarchici stanno chiudendo un'era.

***EUGENIA ATTENDOLO BOLOGNINI IN LITTA VISCONTI ARESE: Eugenia era nata il 12 febbraio 1837, da Eugenia Vimercati Sanseverino e dal conte Gian Giacomo Attendolo Bolognini, raffinato collezionista cui si deve la nascita dei musei Civici di Milano. La “bella Bolognina”, come veniva chiamata nei salotti ottocenteschi andò sposa nel 1855 al duca Giulio Litta della nobiltà antiaustriaca. Quest’ultimo, secondogenito del duca Pompeo, discendeva da una delle casate più nobili e antiche di Milano; fervente patriota partecipò ai moti rivoluzionari del ’48. La duchessa Litta, ora donna splendida, che gli austriaci chiamano regina delle oche (in Austria vengono chiamate così le dame lombardo-venete che agitandosi pretendono di salvare il Campidoglio dell’italianità) ebbe due figli, Pompeo e il prediletto Alfonso, che muore nel 1891, avuto da re Umberto conosciuto nel 1862. In suo nome e ricordo fa erigere il padiglione Litta dell’Ospedale Maggiore di Milano.
BologninaSi racconta che quando la "Bolognina" (che era dama di compagnia della principessa Margherita e dormiva nel suo stesso corridoio) venne scoperta a letto con il Principe ereditario Umberto, Margherita volesse tornare dalla madre come erano solite minacciare molte mogli. Ma Vittorio Emanuele II, rotto a tutto (uomo navigato), le disse: "Ricordati che sei la regina". Da quel giorno Margherita interpretò in modo impeccabile la sua parte e i suoi rapporti con Umberto si limitarono all’unico figlio Vittorio Emanuele (III venuto anche male) ma anche ad una cerchia intellettuale in cui si ricorda Carducci che le dedicò dei versi e che ne fu ricambiato con un Crocifisso quando si convertì. "Onde venisti? Quale a noi nei secoli / si mite e bella ti tramandarono? /
Fra i canti de' sacri poeti | Dove un giorno o regina, ti vidi? ".

La Litta invece non lascia nulla ai posteri che possa servire a una biografia non autorizzata. Prima della morte di Umberto per mano dell’anarchico Bresci (1900) e dopo la morte del marito da disposizioni perché la sua collezione di 49 quadri vada alla sua morte (1914) all’Ospedale Maggiore. Questi quadri fanno ora parte dei musei civici milanesi nella residenza di città di Palazzo Morando Attendolo Bolognini in via Sant'Andrea 6. La "Bolognina" muore nella sua villa a Vedano al Lambro alla vigiliae della Grande guerra ed è sepolta come i suoi familiari nel famedio dell'Oratorio. Anche la sua villa con l’oratorio di Santa Maria delle Selve va all’ospedale. Nel 1842 l’antichissimo oratorio fu integralmente rimaneggiato in concomitanza con l'edificazione della Villa Litta. A quel periodo risale la costruzione della torre in stile Tudor. L'Oratorio fu poi ancora restaurato nel 1891 per iniziativa di Eugenia secondo lo stile rinascimentale lombardo ricavando nella torre la tomba che accoglie le sue spoglie, quelle del marito (morto appunto nel 1891) e del figlio. Anche l'Oratorio è ora di proprietà dell'Ospedale. All’interno vi trovava posto la famosa Preghiera del Mattino del 1846 di Vincenzo Vela spostata alla quadreria dell’Ospedale. http://www.sightswithin.com/Vincenzo.Vela/ 

Arrigo Boito, di cui Eugenia è la musa ispiratrice, cosi dice.
O arcane curve, ombre soavi, tocchi
luminosi, divine ombre d'amore !
Sento il raggio negli occhi,
e il vento nel cuore

L’ampio parco della villa di Vedano, continuazione di quello reale di Monza (autodromo), è caratterizzato da aree agricole e ospita la roggia dell’Arciduca, che forniva acqua alla Villa Reale da cui Umberto poteva entrare ed uscire in modo discreto da una porticina (contrassegnata da due fanali, secondo le dicerie, accesi o spenti) per la confinante proprietà. Villa Reale di Monza nasce invece per espressa volontà di Ferdinando II figlio di Maria Teresa d’Austria. L'assenso al progetto (1777) dell’architetto Piermarini ed il benestare all'investimento di ben 70.000 zecchini, poi aumentati di altri 35.000 per consentire la realizzazione dei giardini, fa si che la casa di campagna voluta inizialmente da Ferdinando venga sostituita dal ben più ambizioso disegno di una reggia in grado di rappresentare il potere degli Asburgo in Italia. La Villa può considerarsi quasi conclusa dopo solo tre anni di lavoro. Nel 1780 Maria Teresa muore e Ferdinando deve affrontare il difficile rapporto con il fratello Giuseppe II di vedute populiste. Con la morte di Giuseppe II nel 1790 cessano comunque definitivamente ulteriori ampliamenti e abbellimenti vista la situazione politica in ballo. La villa di Monza vive anni di splendore fino all'arrivo dei francesi che ne fanno un bivacco. Lo stato in cui è ridotta può portare solo alla demolizione che viene evitata solo per una guerra “mediatica” concertata nei confronti di Napoleone, smascherato dei suoi supposti propositi democratici.
Dalla Treccani on line
Litta. - Famiglia nobile milanese, avente come capostipite Balzarino, prigioniero dei Torriani nel 1258. Divisa nei rami dei Litta Biumi, al quale appartenne Pompeo, dei Litta Modignani e dei Litta Visconti Arese, raggiunse in questo ramo il massimo splendore. A esso appartennero Alfonso, arcivescovo di Milano e cardinale; un altro Alfonso, nunzio apostolico in Toscana e a Vienna; Antonio, generale imperiale; Maria (1761-1797), contessa di Castelbarco, "l'inclita Nice" della celebre ode pariniana; Paola, marchesa Castiglioni Stampa, cantata pure dal Parini; Giulio Renato, ammiraglio; Lorenzo, cardinale; Antonio (1748-1820), creato duca da Napoleone; Giulio (1822-1891), che sposò Eugenia Attendolo Bolognini,

                                                                               

   


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