La
strada del Grappa e del
Pasubio
Sulla vetta del monte Luigi Cadorna
sostò a lungo pensoso. D’un tratto gli ufficiali che gli stavano attorno
lo sentirono dire al colonnello del Fabbro, come alla fine di un duro
ragionamento interiore: "Stia bene
attento, colonnello il GRAPPA deve riuscire imprendibile. Deve essere fortissimo
da ogni parte, non soltanto verso occidente. Anzi, metta la maggior cura nel
rinforzare più che può la fronte rivolta a nord. Perché se dovesse avvenire
qualche disgrazia sull'ISONZO, io qui verrò a piantarmi…".
Poi, continuando fra lo stupore degli
astanti: "Guardi bene. Laggiù
l'Altopiano di ASIAGO e le MELETTE; qui il GRAPPA; a destra il Monte TOMBA e il
MONFENERA; poi il MONTELLO e la PIAVE*
. Le ripeto, in caso di disgrazia, questa è
la linea che occuperemo".
Poi fece un gesto risoluto,
come per scacciare il destino. E il velo che si era squarciato sull’avvenire,
senza che nessuno lo sapesse ricadde.
*
Era sempre stato la Piave (vedi la Piave vecchia) poi Carducci lo chiamò
"mascolinamente" il Piave e così
anche la canzone, ma Cadorna era ancora della vecchia scuola
-Benedeti, i va sul Grapa!-
dicevano le donne, vedendo passare i soldati
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Fin dal
settembre del ‘16 il generale Cadorna, allora Capo di S.M. dell’esercito,
aveva intuito la necessità di armare a difesa il massiccio del Grappa; con
una matita aveva tracciato su una carta topografica il segno di una strada
dalla pianura alla cima del monte, affidando al colonnello Dal Fabbro,
comandante del genio delle truppe degli Altipiani, il compito di dar
attuazione al disegno. In origine essa doveva servire all’armamento del
settore occidentale del massiccio. L’offensiva austriaca del maggio ‘916
era riuscita ad incuneare nel nostro fronte alcune punte, il Cengio, il
Prià Fora, Pasubio e Zugna e di conseguenza si pensava che il pericolo
venisse da lì. Grappa e altipiano si guardano per un buon tratto
attraverso l’incisione del Canale di Brenta, di cui formano le spalliere. Il 7 ottobre
1917 il generale Cadorna poteva percorrerla in automobile sino quasi alla
vetta del monte. La rotabile partiva da Romano Alto (m. 169) per Campo di Solagna, valle di S. Lorenzo, Coston, Meda raggiungendo la vetta (Grappa m.1776)
dopo 32 km. di sviluppo. Giunta dal piano a Col Campeggia e all’osteria
del Campo, la grande strada carrozzabile, scrive Angelo Gatti, si
biforcava: e un ramo saliva alla vetta, mentre l’altro, per Col del Gallo,
Col Rainero, Col Caprile, Col della Berretta giungeva a Col Bonato. La
strada era comoda, con pochissimi tratti che superassero la pendenza del
7%: la diramazione di Col Bonato era larga tre metri: il collegamento
stradale fra le posizioni occidentali del Grappa era così comodamente
ottenuto. Fu chiamata dalle popolazioni della zona la strada Cadorna. Non
dovevano trascorrere 45 giorni che una notizia si propagava, fulminea in
tutto il paese. Le nostre armate “ripiegavano”: Cividale, Udine,
Tagliamento, Sacile, Livenza, Piave. Il Grappa si rivelò allora
fulmineamente. La battaglia, la prima del Grappa, ebbe inizio il 21
novembre 1917 : ma da tre settimane il monte ne respirava l’atmosfera
sulle propaggini orientali. |
LA BATTAGLIA D'ARRESTO dal 14 al 26 novembre e
dall’11 al 21dicembre 1917 |
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Quando si parla
di “Strada Cadorna del Grappa” non la si deve confondere con la "Linea Cadorna"
che fu tutt’altra cosa. La linea Cadorna, nel più grande complesso delle
fortificazioni dell’arco alpino, riguardava il confine con la Svizzera (e
con La Francia),
sia perché temevano un loro attacco al polo industriale di Milano che una invasione tedesca passante su paese neutrale (vedi Belgio e Olanda per quello
che era già successo).
Bastava informarsi presso l’esercito svizzero, la sua capacità di arresto
e una eventuale collaborazione per evitare spese che più inutili non
furono. Poi la Svizzera orograficamente non era il Belgio e l’Olanda
e gli svizzeri tedeschi non sono quelli Germanici.
Gli svizzeri erano anni che non facevano guerre, ma non per questo erano
degli sprovveduti o non conoscevano l'arte della guerra che avevano
praticato per secoli come mercenari. Non le facevano a casa loro (fino
ad un certo punto) perché
andavano a farle a casa degli altri (poi le fecero anche a casa loro come
guerre di religione). La linea Cadorna vera e propria venne
realizzata prima del 1915 (su studi e su opere già in essere a volte da
decenni come con la Francia) e consisteva in forti in caverna, strade,
mulattiere il tutto armato con cannoni, obici e mortai. La linea
presidiata da reparti della V armata, per la parte che aveva di interesse
strategico nella Lombardia all'intersezione dei confini Austro-Svizzeri,
divenne settore autonomo con poche compagnie di artiglieria da fortezza e
fanteria composta da riservisti, cavalleria appiedata e guardie di
Finanza. Inutile dire che fu spesa una fortuna e si tennero
inattive bocche da fuoco che dopo Caporetto, smontate, sarebbero tornate utili.
http://www.viagginellastoria.it/lincad/linea.htm
Attinente
alla linea era una località strategica, già storica (Garibaldi ma non
solo) che però stava dall'altra parte, perché le linee di difesa non le
facevamo solo noi. E' questa la Rocca D'Anfo (Brescia) che segnaliamo a
fianco, comunque marginale al teatro qui descritto:
http://www.comune.anfo.bs.it/?q=node/108
- visita la
rocca d'Anfo
http://www.coccaphoto.com/viaggi-e-reportage/fortezza-rocca-d-anfo/
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Dopo una massiccia e violenta preparazione di artiglieria, il 14 novembre
gli Austroungarici attaccano in forze le nostre nuove linee avanzate, tra
Cismon e Piave; la lotta diventa sempre più aspra e accanita ed il nemico
fa ricorso a tutti i mezzi di distruzione in suo possesso. Dal 16 novembre
vengono via via coinvolti il M. Tomatico, il M. Roncone e il Prasolan;
poi, dal 20 novembre, le quote ed i costoni che convergono a raggiera su
Cima Grappa: Col Caprile, M. Pertica, M. Fontanasecca, Col della Beretta,
M. Salarolo, M. Spinoncia e M. Tomba. Per più volte il nemico viene
respinto, ma ripetè gli attacchi accanitamente, con forze sempre maggiori.
La
strada Cadorna cominciò a lavorare negli ultimi giorni di ottobre.
Mentre centurie di territoriali, scaglionate lungo i suoi 32 chilometri,
ne correggevano febbrilmente il tracciato e ne rinforzavano le opere,
processioni di autocarri salivano su coi primi battaglioni. Poi fu la
volta delle artiglierie, dei servizi, dei rifornimenti : una intera armata
doveva passare di là: e passò. Ma che giorni! La povera strada non aveva
un attimo di riposo: dì e notte era sotto, tormentata dalle ruote degli
autocarri, graffiata dalle zampe dei cavalli, addentata dai cingoli delle
trattrici. I territoriali dovevano correre or qua or là con badili e
picconi a gettar breccia sulle piaghe, a smussare sporgenze di roccia che
impacciavano le manovre, a puntellare scarpate pericolanti. di notte,
dalla pianura, essa appariva tutta una luminaria, come se vi salisse una
fiaccolata per una gran sagra, l’indomani, intorno alla Madonnina. Il
Piave o la Piave come diceva Cadorna segnava per un lungo tratto il
confine orientale. Era inverno, il fiume era in piena. In pianura le
possibilità di attraversarlo erano minime e estremamente pericolose, non
restava che tentare in mezzo alle montagne dove il suo corso era più
stretto e meno impetuoso a monte di tanti affluenti che ne avevano fatto
un mare in movimento. Da Col Caprile
al Monfenera s’erano schierati due Corpi d’Armata : il XVIII comandato dal
generale Tettoni e il IX comandato dal generale Ruggeri Laderchi. Il
nemico tentò dapprima di sboccare in pianura verso il Piave attraverso il
Monte Tomba e il Monfenera: energicamente trattenuto dal IX Corpo e
dall’artiglieria francese appena giunta. Fallito così il tentativo dalla
parte del Piave, lo sforzo avversario si concentrò contro il massiccio del
Grappa, e più specialmente contro la parte occidentale di quello, dove la
zona d’attacco si presentava meno ardua, e dove le alture che ne
costituiscono il sistema tattico (Col della Berretta, Col del Miglio,
Monte Asolone, Cima Grappa) una volta espugnate avrebbero fatto crollare
tutto l’impianto difensivo e aperto lo sbocco in Pianura alle spalle della
linea del Piave. Il 21 novembre, mentre reparti nemici guadagnavano
qualche centinaio di metri in Val Brenta, dense colonne,attaccavano monte Pertica e Col della
Berretta, riuscendo a mantenersi sulla cresta del primo (saranno cacciati
solo l’anno dopo nell’ottobre del 1918).
La Rocca d’Anfo
è un complesso fortificato la cui fondazione risale a prima del 1400,
ampliato dalla Serenissima tra il 1450 e il 1490 e riorganizzato da
Napoleone ai primi dell'800 sino a coprire gli attuali 50 ha di
estensione. E’ situata in Val Sabbia sul lago d'Idro per sbarrare il
passo a chi venisse da sud verso le terre dell’allora Principato
vescovile di Trento collegata ad altre fortificazioni minori come
osservatori e postazioni d’artiglieria. Edificata sul pendio del monte
Censo la Rocca fu rimaneggiata più volte fino agli anni prebellici
(1913/5). Lo scoppio della guerra (noi entrammo un anno dopo) non ci
distolse dal pianificare la sua eventuale occupazione che scattò
inevitabilmente il 24 maggio 1915. La cosa non destò particolari
problemi, perché il fronte era “naturalmente” arretrato su postazioni
ritenute più difendibili. Le postazioni fisse, come la Rocca d’Anfo
attive da decenni si dimostrarono nella prima settimana di guerra molto
vulnerabili e vennero ovunque abbandonate dopo cannoneggiamenti furiosi.
La Rocca d’Anfo, da quel momento, servì soprattutto come punto
d’appoggio logistico situato in posizione strategica e come deposito di
munizioni e di esplosivi. La notte del 13 giugno 1917 all’interno della
Rocca d’Anfo scoppiò un pauroso incendio ed i soldati del presidio
avvertirono subito gli abitanti del vicino paese facendoli sfollare.
Anche dopo la disfatta di Caporetto ( 2/11/1917 ) le posizioni sul
fronte valsabbino non cambiarono. |
LE STRADE MILITARI |
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Spesso spacciate per civili vennero pian
piano colmando una lacuna sui confini orientali, ma non solo, nel solco
prima della tradizione Romana poi di quella Napoleonica, che voleva
rotabili grandi per le sue armate sempre dirette verso l'Austria. Nel
capitolo sulla rotta di Caporetto in Carnia vedremo la strada degli
Alpini, Carrareccia alpina, mentre sappiamo già dalle parole di
Mussolini (qui in trincea nel '16) di una strada in Val Dogna. "Diario
di guerra 1915-1917" alla data del 1°Maggio (1916) .
"Sveglia all’alba. Prendiamo la strada del Canal
Dogna. Una strada carrozzabile, bellissima, creata ex-novo. Prima non
esisteva che una primitiva mulattiera, Il lavoro è stato iniziato dalla
4a compagnia del 5° Genio minatori, è stato proseguito e ultimato dalla
Territoriale e da squadre di operai. Questa strada è un lavoro che
dovrebbe essere visto da quanti negano a noi latini, ogni capacità di
organizzazione e di tenacia. Questa strada che domani costituirà una
ottima via commerciale fra Dogna e Touvin, rappresenta il non plus ultra
della modernità. Ad ogni svolta ci sono le cantoniere vigilate dalle
sentinelle;gallerie, scavate nella roccia, offrirebbero un riparo alla
truppa in caso di bombardamento della valle; ci sono delle fontane a
zampillo per bere; una teleferica che abbrevia il tratto cosiddetto
delle « rampe ». Dopo 7 chilometri di cammino, giunti a quota 900-1000,
ci fermiamo. Qui le montagne sono più scoscese di quelle che abbiamo
lasciato. Abbiamo di fronte la vera parete del Montasio, la cui cima
tocca i 2754 metri ed è incappucciata di bianco" |
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Anni dopo nella valle
parallela a Dogna o fra la Val Dogna e la Val Resia di un'altra strada
che dati acquisiti i confini sul crinale del Canin cercava di rimediare
alla scarsa viabilità di quella parte d'Italia interessata solo in Val
Canale (Tarvisio) di una ferrovia per il collegamento con Vienna e con
la Slovenia attraverso la val Fusine.
La nuova strada di Sella
Nevea (Val Raccolana-Rio del Lago Predil).
Proseguono i lavori per la costruzione di un tronco della nuova arteria
stradale di Sella Nevea. Il progetto della strada compilato dalla
Sezione del Genio Civi!e di Tolmezzo, comprende l'allacciamento del
Canal del Ferro, attraverso la Val Raccolana, alla conca di Raibl (Predil).
L'anno scorso, nel tratto da Chiusaforte a Ponte Vualt da l'Aghe, furono
eseguiti importanti lavori di riparazione con correzioni di tracciato,
ma da questo punto a Sella Nevea, la strada attuale, sia per le
malagevoli caratteristiche (tracciato, forti pendenze e tornanti stretti
ed impraticabili), sia per la falda franosa, non può essere riparata
come esigerebbe l'importanza del suo traffico. Per questo l'Ufficio del
Genio Civile di Tolmezzo ha proceduto allo studio di un nuovo tracciato
che, appunto per le condizioni franose della falda, si svolge sulla
falda destra, anzichè sulla sinistra del torrente Raccolana dove corre
l'attuale strada.
La nuova strada avrà una pendenza dell'8 %, che nei tornanti, del raggio
minimo di metri 12, si ridurrà al 3,5 %. La larghezza sarà di metri 6.
E' prevista la costruzione di tre gallerie nei tornanti e di una
nell'attraversamento delle rocce che chiudono la testata di Val
Raccolana. Quest'ultimo manufatto sarà compreso nella costruzione
dell'ultimo tronco. La strada in parola fa parte del progetto generale
della costruzione dell'arteria che dovrà congiungere la Val Raccolana
con la conca di Tarvisio e che precisamente attraverso Sella Nevea si
congiungerà allo stradale del Predil, in vicinanza del lago di Raibl,
permettendo cosi l'abbreviazione del percorso, da Chiusaforte al passo
del Predil, di 11 km e di circa 4 km per raggiungere Tarvisio. Il
progetto prevede, oltre alla riparazione dei primi 14 km, la costruzione
complessiva di altri 14 km di strada, con numerose opere d'arte: ponti,
gallerie, ecc., specialmente nel tratto costeggiante il Rio del Lago. La
spesa totale ammonterà a 6 milioni e 500 mila lire. Il tratto in
esecuzione è quello che presenta maggiori difficoltà, ma è di
particolare interesse turistico svolgendosi in località molto
pittoresca, attraverso il vecchio confine, e consentendo di raggiungere
in breve tempo località adatte per sports invernali e per scalate
alpinistiche !! (l'attuale comprensorio di Sella Nevea e del Canin).
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PASUBIO |
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Il
massiccio del Pasubio, in gran parte in territorio austriaco (confini
del 1866), fu rapidamente sorpassato dalle nostre truppe che nel 1915
portarono la linea del fronte a pochi chilometri da Rovereto. Nel Maggio
1916 la formidabile spinta dell'armata di Konrad (Strafexpedition), ci
fece rapidamente cedere la Vallarsa fino a pochi chilometri da Pian
delle Fugazze, che rimase però in nostre mani con la maggior parte delle
alture del massiccio centrale (raggiungibili appunto da Pian
delle Fugazze con un sentiero e la via degli Scarubbi scoperta e
pericolosa). Gli uomini della Brigata Liguria, al comando del
Col. Papa, trasportati in fretta e furia dal fronte isontino,
riuscirono ad occupare prima degli Austriaci Cima Palon e la altura
immediatamente a nord di questa, che diventò da allora il "Dente
italiano", l’ultimo avamposto, separato da una sella dal gemello "Dente
austriaco ". Per oltre due anni si consumò allora su queste cime una
lotta dura e sanguinosa tra le migliori truppe alpine delle due parti
(da parte austriaca i Kaiserjäger) ma i nostri non furono da meno. Gli altri due piloni della difesa
dopo Caporetto erano quindi, oltre il Grappa, l'altopiano d'Asiago e il Pasubio
(Gruppo), già intaccati con
la "Strafexpedition". L'aggiramento da queste cime del
fronte del Piave puntando sulla pianura era sempre possibile anche se
devastante da entrambe le parti per contributo umano. Anche su questo fronte si rese
necessaria la mano del'uomo. Il Pasubio, "dimenticato" nel primo anno di
guerra, divenne quindi un punto nevralgico. Qui, come in altre posizioni
d'alta montagna, si fronteggiavano i due eserciti con tutte le difficoltà
della natura e della quota. Come si era costruita per tempo la strada del
Grappa anche qui all'inizio del '17 si mise mano a un collegamento
Valle-Vetta attraverso una strada protetta (non esposta ai tiri come la
"Strada degli Scarubbi") che attraverso 52 gallerie portava da
Bocchetta Campiglia m.1219 alle Porte Del Pasubio m. 1934. Cadorna la
definì "Impresa da giganti,che nessun'altra opera eguaglia su tutta la
fronte europea". La realizzò la 33 cp minatori del Genio.
Siccome le precauzioni non erano mai troppe in molti punti difficili la
strada era minata e bastava una carica e la montagna sarebbe tornata a
farla da padrona, invalicabile. Cronologia del '16 sul Pasubio
http://www.valgame.eu/trincee/files/pas16.htm |
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PASUBIO: LA STRADA DELLE 52 GALLERIE
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Dal sito Walgame: Gli austriaci sono occupati nel progetto di una grande
offensiva di primavera (1916). Non pensano opportuno un attacco diretto
al Pasubio ritenendo che il massiccio potrebbe comunque cadere se
aggirato sui lati vallivi. Per aprile si prevede l'impiego di una
divisione di truppe da montagna con il compito di esercitare pressione
in Vallarsa e in Val Terragnolo contro il passo della Borcola. Il
cosiddetto “Sbarramento Agno-Posina (Val)”, italiano, viene difeso dalla
brigata Roma e dai btg. alpini Val Leogra e Monte Berico. Il rapporto
delle forze contrapposte sembra condannare gli italiani a priori. In
realtà il terreno molto accidentato non permette la manovra di grandi
masse di soldati per cui il supposto vantaggio austriaco si ridurrà, a
maggio, allo scontro tra pari forze della dimensione di circa due
compagnie per ciascun contendente. L'assenza di mitragliatrici, trincee
e ricoveri sarà la vera causa della sconfitta iniziale italiana. |
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"dimenticato"
come detto che non vuol dire che non si fa guerra, ma si
fa una guerra diversa e la guerra diversa in montagna era spesso quella
di vigilanza e sentinella: pochi uomini di qua e pochi di là. Poi come
già detto in giro per il sito da qui non passano autostrade e presumere una invasione per
queste contrade, con una guerra moderna fatta di logistica, mezzi
(artiglierie etc) è un po’ fantascienza. Se poi si voleva solo
sperimentare un modo di ammazzarsi a vicenda col massimo delle perdite poteva anche essere il
teatro migliore e infatti lo fu.
Lo fu dal
maggio 1916 quando agli austriaci venne in mente, di tutte le altre
linee del fronte (interessate dalla Strafexpedition), di
raddrizzare anche questa perduta nel 1915. Come visto a sx e nel suo
capitolo, dopo un
esordio brillante, in capo a 2 mesi molti danni erano riparati. Due cime
però fronteggianti, una chiamata Dente Italiano e una naturalmente
Austriaco (Panettone dalla forma) si contesero la palma delle assurdità
di guerra, di quella guerra chiamata delle mine (1917/1918) che arrivò a
cambiare il profilo delle Alpi e che vedremo in calce al link
sottostante. L’inverno
successivo fu molto rigido e anche quei pochi che stazionavano quassù se
la passarono male con rifornimenti a singhiozzo e tanto freddo. Intere
colonne in marcia venivano travolte dalle slavine o si perdevano nella
nebbia inghiottite in qualche burrone. I rifornimenti italiani poi
passavano da quelle che viene chiamata la via degli Scarubbi esposta al
tiro nemico. Bisognava ovviare per non farsi trovare impreparati
l’inverno successivo. Un Ingegnere del Genio, Giuseppe Zappa, incaricato
di un progetto propose una via coperta (6,3 km), “coperta in molti sensi
perché in parte in galleria (2,3 km), con soluzioni ardite fino a quello
che ora è il Rif. Papa a m.1928 dai 1216 da cui partiva. Fu chiamata la
strada delle 52 gallerie costruita da marzo a novembre del 1917 dalla
33a compagnia del 5° Genio con operai civili militarizzati (6 centurie)....segue
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/fortiaustriaci.htm
(guerra delle mine)
Le strade di accesso al Pasubio
sono due anzi tre:
- La strada degli Eroi che dal Pian delle Fugazze (1.162 slm) - galleria
d'Havet sale al rifugio Gen. Papa (di costruzione postbellica su vecchio
sentiero–10 km ca). Qui sono state collocate le lapidi ricordo dei
decorati di Medaglia d'Oro, tra cui i trentini Cesare Battisti,
e Fabio Filzi
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/dopoguerra1/luoghi.htm
sacrario
- La strada degli Scarubbi che per Colle Xomo (1.058 slm), Bocchetta di
Campiglia, si inerpica sino alle porte del Pasubio, ricollegandosi alla
strada degli Eroi (costruita durante la guerra arriva fino alla
chiesetta di S.Maria selletta del comando Italiano).
E la terza quella delle 52 gallerie. |
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La battaglia dell’Asolone fu la battaglia per la difesa della strada.
Essa, in un primo tempo, aveva salvato il Grappa: ora bisognava salvar lei
la strada. Sulle sue bianche serpentine piombavano ruggendo le grosse
granate da 210 e da 305, sollevando colonne gigantesche di terra, di
pietre e di schegge, spalancando crateri ove spesso, diradatosi il fumo,
l’occhio inebetito scorgeva membra stroncate contorcersi nell’ ultimo
spasimo orrendo. Coraggio, ragazzi, la strada è la nostra vita! E allora
sbucavano dalla terra i drappelli zappatori coi badili e i picconi: la
ferita era medicata, una chiazza di detriti pigiati coi piedi cicatrizzava
la via, sulla quale qualche attimo dopo riprendeva la faticosa spola degli
autocarri e delle corvées (sotto questo nome andavano gli addetti al
recupero cadaveri o pulizia del campo).
Prive di un tetto, scrive il generale Di Giorgio,
in pieno inverno, ad un’altitudine
che oscillava fra i 1400 e i 1700 metri, i difensori del Grappa rimasero
anche tre giorni di seguito senza rancio caldo, e i feriti aspettarono
talora due giorni prima di essere sgomberati. In quei drammatici giorni il
problema dei rifornimenti rappresentò la più grave preoccupazione del
comando: ma si dovette all’esistenza della strada Cadorna. il successo di
quella difesa alla quale fu attaccata come ad un filo, per un mese di
seguito, l‘esistenza del Paese.
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Dietro di se lasciavano però un mucchio di
cadaveri, dove (Beretta) i fieri siciliani della brigata Aosta (così li
chiamò il Bollettino del Comando Supremo) sostennero impavidi l’urto e
salvarono la posizione. Era chiaro oramai che il nemico mirava a
scardinare l’ala sinistra del nostro schieramento sul Grappa. Fu allora
mandato in linea un nuovo Corpo d’Armata, che si innestò fra il XVIII e il
IX: era il XXVII di Badoglio che, seriamente provato a Caporetto, dopo un
breve periodo di riordinamento nei pressi di Montebelluna, tornava al
fuoco sotto il comando ora di , Antonino di Giorgio (Il gen. Badoglio per
i “meriti” di Caporetto era stato nominato in quei giorni sottocapo di S.
M. dell’Esercito). La battaglia, che la strada di Romano Alto alimentava
infaticabilmente, ebbe fasi durissime. Il terreno fu difeso palmo a palmo,
rabbiosamente, a prezzo di sacrifici spaventosi. Due settimane occorsero
al nemico per impadronirsi di Col della Berretta (11 dicembre), che forse
avrebbe potuto resistere ancora se gli austriaci, impossessatisi il 4
dicembre del gruppo delle Melette di Gallio sull’altopiano, non avessero
avuto modo di sviluppare da quel massiccio una poderosa azione di fuoco
d’artiglieria, che prese di fianco e di rovescio le nostre linee sulla
sinistra del Brenta. Oramai il maresciallo Conrad poteva dare alla sua
manovra un più ampio sviluppo: mentre noi ci accanivamo a contrattaccare
le sue truppe sul Col della Berretta senza tuttavia riuscire a
riguadagnare la posizione, egli puntava decisamente contro la vetta del
Grappa, assalendo l’Asolone che ne è la propaggine occidentale. Il 13
dicembre il nemico poneva piede sulla cresta dell’Asolone: tragico giorno,
in cui parve che l’irreparabile stesse per avverarsi.
Arido, spelato, sul Grappa si era costruita la Strada, ma non le trincee
come diceva Paolo Caccia Dominioni nel suo diario:“Intanto si combatte
duro sul Grappa ……. i reparti stanno facendo prodigi, specialmente sul
Grappa, dove sono abbarbicati al terreno, senza trincee e senza
reticolati, attaccati a ogni pietrone e a ogni cespuglio. Non sono sistemi
di linee, che difendono settori, ma gruppi di uomini con pochi mezzi e
molto coraggio". Di apprestamenti difensivi allora non c’era, si può
dire, che l’intenzione: qualche elemento di trincèa, una strada e una
teleferica dalla cima del Monte a Madonna del Covolo sopra Crespano.
Niente reticolati, niente camminamenti, niente ricoveri. Nei primi giorni
le truppe dovettero battersi allo scoperto: le difese, apprestate in
seguito, furono scavate e allestite sotto il cannoneggiamento incessante
e, spesso, fra un assalto e l’altro. La scarsa potenzialità logistica
della strada di Romano Alto, che fin quasi alla metà di dicembre non
consentì l’incrocio dei veicoli, rese malagevoli i rifornimenti e
sottopose le truppe a sofferenze inaudite. Fra le numerose opere di difesa
costruite in caverna per postazioni delle artiglierie e delle
mitragliatrici e per ricovero delle truppe, quella che tutte sovrasta è la
grande Galleria Vittorio Emanuele II°. Essa è formata da un tronco
principale che, sviluppandosi sotto il costone di cresta, pone in
comunicazione il versante scendente a sud verso il Cason d'Ardosa con
l'estremo sperone nord. Da questa, che costituisce il corridoio centrale
lungo 1400 metri, si dipartono numerose diramazioni laterali che adducono
alle batterie ed agli appostamenti per le mitragliatrici. Lo sviluppo
complessivo della Galleria è di 5153 metri ed il suo armamento di 25
batterie. Dal 13 dicembre la mischia divampò per nove giorni senza una
sosta: solo il 22 il nemico, spossato e deluso, cominciò ad allentare la
pressione. La prima battaglia del Grappa era finita: e il Grappa era
ancora nostro. Ma la difesa di quel lembo del monte sacro, affidata al XXV
Il Corpo, era costata il logorio di tre divisioni — la 23, la 59 e la 51a,
il martirio di undici brigate Aosta, Trapani, Messina, Cuneo, Massa
Carrara, Modena, Abruzzi, Basilicata, Calabria, Acqui, Bari , di due
battaglioni della Gaeta, di un reggimento (il 240) della Pesaro, di un
battaglione del 7° bersaglieri, di dodici battaglioni d’alpini — Monte
Rosa, Val Natisone, Val Taglianiento, Val Brenta, Matajur, Monte Clapièr,
Pinerolo, Tolmezzo, Susa, Val d’Adige, Morbegno, Monte Berico; non meno di
80.000 uomini s’erano avvicendati nella strenua difesa, che parecchie
centinaia di batterie d’ogni calibro spalleggiavano dì e notte con
inesausto torrente di fuoco. |
6 dicembre 1917:
sull'altopiano dei 7 comuni intanto ..... Gli austriaci puntano ora sul
Sisemol oltre Gallio. La strada per Bassano è lunga ma se non si
incomincia non si finisce: La 4ª brigata. Bersaglieri (14° e 20° Rgt.).
(Col. di brigata Piola Caselli) schiera tra Valbella e Sisemol anche il 5º
bersaglieri (btg. 24, 46 e 14) di rinforzo. La forza si era molto ridotta
per le perdite autunnali. Sul Sisemol il 14º btg. 40 e 54, il 61 btg. sino
al paese di Bertigo. In riserva il 20º rgt. (btg. 71, 72, tra Bertigo e i
rovesci est-nordest del Sisemol). L'attacco parte ad ondate poco dopo le
13 con forza. Alle 16 gli austriaci investono l'anello del Sisemol da
nord-nordest. Nella notte si rinuncia al contrattacco e si sgombra
l’avamposto di Stenfle, troppo avanzato e in procinto di essere tagliato
fuori. Perdite complessive italiane 69 uff. e 2456 bersaglieri (fra morti,
feriti e prigionieri) su un totale di 86 uff. e 3000 soldati. Il monte
Sisemol, nonostante la resistenza della IV brigata bersaglieri è perso. La
linea italiana ora si porta indietro sui monti Echar, Valbella che
fronteggia il Sisemol e Col del Rosso costeggiando poi la Val Frenzela per
collegarsi a Rivalta in Val Brenta. Foza sta bruciando nell'incendio
appiccato al carburante da un reparto lanciafiamme (Caccia Dominioni). Da
Enego gli imperiali guardano giù verso il Grappa, verso la pianura ancora
lontana, ma a tiro di artiglieria.
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Sei mesi più
tardi il nome del Grappa doveva correre un’altra volta per la Penisola,
benedetto dagli italiani : Il 15 giugno del 1918, il nemico sferrò la
gigantesca offensiva, che doveva completare l’occupazione del Veneto e
distruggere il nostro esercito. La battaglia, la seconda del Grappa
divampò il mattino del 15 lungo tutto l’arco dall’Altopiano alle foci del
Piave, ma fu particolarmente accanita sul Grappa, chiave del nostro
sistema difensivo. Alle sei le notizie erano tutt’altro che liete. Si
sapeva — racconta il colonnello Gavotti, il cui nome è legato alla
monumentale Galleria Vittorio Emanuele da lui costruita — che il Pertica
s’era perduto sin dalle prime ore della notte e che la cresta Pertica-
Grappa era tutta nelle mani del nemico, il quale aveva voltato tre
mitragliatrici nostre e faceva fuoco a meno di 200 metri sullo sbocco
della galleria verso il Pertica. Il battaglione di difesa, sorpreso dal
bombardamento, era entrato nella galleria tumultuariamente e non avrebbe
potuto difenderla. La galleria poteva essere invasa da un momento
all’altro. Verso le ore dieci giungevano le notizie dalle vicine alture:
perso Col Moschin, perdute le prime trincee del Coston di fronte l’Asolone,
dal lato sinistro il Grappa si poteva dire completamente girato e tagliato
fuori da quasi tutte le sue strade. Verso le undici si spense
l’illuminazione. Furon accese le lanterne ad olio; ma l’oscurità quasi
completa accresceva l’ansia. La situazione si era andata facendo oltremodo
critica. Gli austriaci puntavano verso i Colli Alti, marciavano oramai
sulla strada di Solagna: il che voleva dire le prime pattuglie a Bassano
prima di sera. Furono gli arditi, stavolta, a decidere le sorti della
battaglia. Spediti in tutta fretta da Bassano, gli arditi del reparto
d’assalto salirono addirittura in autocarro incontro al nemico: presone
contatto, scesero dalle macchine e cominciarono a caricarlo, fermandolo,
incalzandolo poi, travolgendolo. La minacciosa falla era otturata: ma il
pericolo insisteva, poiché era prevedibile che l’avversario si sarebbe
ostinato negli attacchi. Questi infatti continuarono per altri nove
giorni, sino al 24 giugno:
Il Bollettino del Comando Supremo, annunciando che le truppe imperiali
avevano ripassato scornate e battute il Piave, additava alla riconoscenza
della Patria anche la valorosa Quarta Armata, che un’altra volta aveva
salvato il Grappa, e il suo condottiero, il generale Gaetano Giardino che
così si rivolgeva alle sue truppe.
“Alle
10 si era sul punto di essere perduti, a metà pomeriggio si era salvi, a
sera era già la vittoria. Nella dura battaglia del giorno 15 giugno voi
avete compiuto azioni da grandi soldati ed avete riportata sui nemico una
bella e grande vittoria, per il nemico sanguinosa. lo ve l'ho detto. Ora,
lo confessa anche il nemico nei suoi bollettini, riconoscendo la vostra
fiera resistenza e la furia vittoriosa dei vostri contrattacchi che lo
hanno ricacciato subito dai punti da principio conquistati. E, se lo dice
lui, voi potete essere tranquilli che lo avete bastonato di santa ragione
davvero! Ma è avvenuto qualche cosa di ancora più grande, che vi copre
d'onore! Il servizio d'ordine, stabilito a tergo delle nostre linee ci
segnala oggi, con la fede dei rapporti raccolti da tutti i settori, che,
durante l'infuriare delle artiglierie e delle fanterie nemiche nella lunga
battaglia, non ha avuto da prendere e da ricondurre sulle linee neppure un
uomo in tutta l'Armata! Figli miei, lo non posso che dirvi: Bravi! e
rilasciarvi questo diploma di onore. Vi addito tutti all'ammirazione ed
all'amore della Patria!". |
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Il 24 giugno le
truppe italiane passavano al contrattacco per tentare la riconquista di
Col del Miglio e del Roccolo, vitali per la nostra difesa, inutilmente.
L'azione era ritentata il 2 e poi il 4 luglio; il 37° fanteria riusciva ad
occupare la cima del Solarolo senza potersi affermare a causa di un
energico contrattacco avversario. Il 6 e 7 luglio nuovo assalto italiano
al Roccolo e Solarolo da parte dei fanti della brigata Massa Carrara,
stroncato dalle mitragliatrici austriache. Altro attacco il 15 luglio: a
sera il Roccolo rimaneva nelle nostre mani, mentre il Solarolo era
nuovamente terra di nessuno. Cessata la battaglia per esaurimento di
uomini e munizioni, il generale Giardino concedeva sul campo ai difensori
del Grappa: 368 medaglie d'argento e 272 di Bronzo.
Il 2 settembre 1918
era caduta la linea Hindenburg sul Fronte occidentale. Il peso degli
americani cominciava a farsi sentire. Se la Germania era ormai agli
spasimi finali, compreso il più grave della fame, l'Austria non stava
meglio. Mentre la Bulgaria a fine mese firmava la resa dal Comando Supremo
Italiano usciva il piano di attacco finale con la data di attacco in
bianco. L'11 ottobre, nonostante l'esercito fosse pronto, di passare
all'azione non si parlava. La situazione nel governo si faceva
incandescente. Si temeva che, come nel 1866, la vittoria venisse dai
nostri alleati che avrebbero poi continuato a trattarci come i paria
d'Europa.
La
decisione venne infine presa: si attaccava il 17 ottobre. Lo stesso giorno
Carlo I d'Austria firmava il proclama della trasformazione dell'impero in
stato federale ed anche Trieste e gli
italiani, pur non riconosciuti nazionalità avevano uno statuto speciale.
Gli studi idrografici sul Piave, anche ad autunno avanzato, ci
permettevano di gestire un passaggio improvvisato su ponti di barche in
condizioni estreme. Proprio in quei giorni però le cataratte del cielo
sembrarono aprirsi per congiurare sulla nostra offensiva finale.
L'operazione era rimandata di una settimana. Il 22, a nostra insaputa,
Croati e Ungheresi si erano ammutinati. Cinque giorni dopo, a offensiva
iniziata, su 51 reggimenti imperiali, 13 rifiutarono di marciare dalle
retrovie verso il fronte. La spagnola aveva spazzato via, oltre che la
truppa austrungarica, l'intera vecchia classe di Ufficiali Superiori. I
Generali Alleati del fronte occidentale stimavano che la guerra durasse
ancora 3/4 mesi. |
Il fronte dal Brenta
al Piave si era stabilizzato nell'estate del 18 senza grosse variazioni, sino al 24 ottobre,
quando iniziava l'ultima grande terza battaglia del Grappa. La mischia
riprese cruenta: il baluardo, contro il quale per due volte di seguito gli
austriaci avevano cozzato inutilmente, doveva servire da falso scopo,
trattenendo più battaglioni nemici che fosse possibile sulle sue pendici
settentrionali. Per
ottenere ciò, non c’era altro mezzo che di impegnare l’avversario, cioè
attaccarlo; e cominciò allora quella durissima battaglia che parve non
dare i primi giorni altro risultato che quello di sprecare vite umane. La
strenua difesa opposta e il precario stato psicologico degli Austroungarici, ebbe
il risultato inverso di far accorrere le ultime truppe disponibili
lasciando oltremodo sguarnito il fronte della pianura. Non appena il
Comando Supremo ebbe la certezza che l’armata austriaca del Grappa era
tutta inchiodata lassù e succhiava rinforzi dalle altre armate, esso
avventò le sue contro Valdobbiadene, Sernaglia e le Grave di Papadopoli,
forzò il Piave, deviò le colonne verso Vittorio, s’incuneò nel fronte del
nemico, lo spezzò in due: e la guerra era vinta.
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