l 24 marzo, al termine delle cinque giornate, un nucleo di
124 uomini esce da Milano per inseguire gli Austriaci. Li comanda
Luciano Manara, nato nel 1825 da agiata famiglia e sposato con Carmelita Fe, nipote di Giacomo Beccaria. Il gruppo, ingrossatosi con
l'arrivo di
giovani svizzeri Ticinesi
(Confederazione Elvetica)
della colonna Vicari-Simonetta
(Vicari Natale,volontario ticinese, avvocato e consigliere di Agno,
maggiore dell’artiglieria cantonale; nel marzo del 1848 organizzò una
colonna di carabinieri ticinesi con la quale prese parte alle operazioni
militari del marzo-aprile 1848, da Milano a Peschiera. Ai carabinieri
svizzeri si aggiunsero i volontari verbanesi agli ordini di Francesco
Simonetta di Intra, formando quella che è conosciuta come la Colonna
Mobile Vicari-Simonetta. Alla colonna si aggregò a Milano lo scultore
Vincenzo Vela. G. Rossi e E. Pometta - Storia del Cantone Ticino,
Armando Dadò Ed. Locarno 1980.), di Valtellinesi, Genovesi, dirige sulla sponda veneta
del
Garda (passando sopra e sotto), onde tagliare la strada a rinforzi eventualmente provenienti dal Brennero
nella Val Lagarina. Male armati, male comandati,
dovevano sopravvivere coi loro mezzi, poiché il Piemonte non era in
grado di assistere una tal massa di gente.
Scarseggiano ufficiali e sottufficiali. Si
ripescano vecchi ufficiali napoleonici segnati dagli anni (tecnica e
professionalità) e negli anni (fisico). Si rifiutano
a volte ufficiali e sottufficiali italiani che hanno disertato
dall'esercito austriaco. Interi reparti di soldati austriaci, come
polacchi e ungheresi si offrono infatti contro il nemico comune, ma
siamo sospettosi.
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Da sin.: Manara, Dandolo e Mameli |
Così Felice
Venosta negli appunti di quella campagna: Dal lago di Garda alle alture tirolesi erano
adunati 5.000 e più volontari milanesi, cacciatori bresciani, tirolesi
(trentini),
cremonesi, svizzeri, ticinesi, napoletani, francesi, polacchi
di Kamiensky, i quali si avevano a comandante
un colonnello federale, originario di Piemonte, per nome Allemandi (il
padre era
un fuoriuscito del 1821ex ufficiale di Napoleone e dei Savoia vedi
Link sopra). Le
varie legioni erano capitanate dal Borra di Brescia, ufficiale del già
esercito italiano, cui i molti anni non avevano punto scemate le forze;
dal Thannberg alsaziano arditissimo (Guide tirolesi); dal Tibaldi di
Cremona; dal Manara, dal Trotti, dallo svizzero Antonio Arcioni, idem
per il link, dal Torres, dal Beretta, dall'Anfossi, dal Longhena, e da altri generosi figli d'Italia.
I soldati, che a que' capi dovevano ubbidire, erano audaci tutti, ma
mancavano di disciplina, di fermezza ne' propositi. Il governo, come
accennammo, avevali quasi abbandonati, facendo loro mancare vesti,
munizioni e vettovaglie.
Il volontario si dice è il peggior
soldato perché vorrebbe fare sempre il Generale (Garibaldi docet).
Questi volontari avevano il compito d'invadere il Trentino e a questo
scopo dovevano operare d'accordo con altre due colonne, di cui una, di
corpi franchi e finanzieri era in Valtellina e allo Stelvio, l'altra, di
volontari e alcuni regolari, si trovava al Tonale, che non riuscirono
mai a passare. L' 11 aprile, 450 uomini della colonna MANARA, avendo
fatto un'azione diversiva verso Peschiera (Forte) che allora l'esercito sardo
cominciava ad investire; furono assaliti a Castelnuovo da due
battaglioni austriaci di fanteria, da uno squadrone di cavalleria e da
alcuni pezzi d'artiglieria al comando del generale TAXIS. I volontari,
colti alla sprovvista, si difesero accanitamente, ma, sopraffatti dal
numero, si ritirarono a Salò, dov'era il grosso del gruppo. Quattro
giorni dopo, la colonna dei volontari comandata dal ticinese ANTONIO
ARCIONI, unitasi a Tione nelle Giudicarie, con quella di VITTORIO
LONGHENA, assalì gli Austriaci alle Sarche, presso il castello di
Toblino, ma fu battuta. Trentuno volontari della compagnia bergamasca di
ANTONIO GASPERINI, che si erano spinti fino a Vezzano, poco lontano da
Trento, furono catturati dal generale VON ZOBEL e furono fucilati
proprio a Trento come disertori dell'esercito austriaco. La campagna non
era delle più brillanti.
L'Allemandi, che
vedeva quanto importante fosse di conservare i passi del Tirolo,
specialmente quello di Caffaro (lago d'Idro), sia per tagliare da quelle parti la
ritirata agli Austriaci, sia per impedire che vi ricevesse nuovi
rinforzi, chiedeva a Carlo Alberto quattro battaglioni di truppe
regolari con quattro pezzi d'artiglieria. Le sue istanze non erano
ascoltate; dopo lungo domandare, gli veniva detto che il governo
provvisorio di Milano, non volendo in quelle posizioni più oltre agire,
gli ordinava si apprestasse a portarsi a Brescia colle sue genti per
ricevervi una regolare riforma.
Qualcuno disse che su Brescia ci si fosse ritirato lui e per questo lo
esonerarono. Di aiuti non si parlava e non restava quindi che
concentrare le forze in attesa dello scontro finale. Il Governo
provvisorio di Milano esonerò l'Allemandi e diede il comando dei
volontari al piemontese GIACOMO DURANDO, fratello del generale che
comandava l'esercito pontificio.
Il Durando pose il suo quartier
generale a Rocca d'Anfo
(lago d'Idro)
e riordinò alla meglio il corpo dei volontari.… que' reggitori
della pubblica cosa decretavano l'abbandono del Tirolo, concedevano agio
al nemico di raccozzare nuovi armati al di là delle Alpi, lasciavano
indifesa la Venezia, scoperto il Friuli, libero il passo del lago di
Garda per Brescia. Incredibile cosa, ma pur vera.
All'alba del 22 maggio, gli austriaci scendevano verso Brescia per
tagliare la strada ai rivoluzionari e ai regolari attestati a sud del
lago di Garda. Una valorosa resistenza la fece la colonna Manara,
sostenuta dai pezzi del tenente Guerini, ma la colonna dell'Arcioni e
quella dell'Anfossi, prese dal panico, si diedero alla fuga. Il Durando,
che si trovava a Vestone, piombò con il suo Stato Maggiore e, giunto a
Sant'Antonio, perfino minacciandoli, fermò e riordinò i fuggiaschi,
mentre Luciano Manara muoveva da Salò con il suo battaglione e con le
guide tirolesi del Thannberg. Il nemico era stato fermato ma qui poi
rimasero inattivi per quasi tutto il resto della campagna perdendo non
solo l'entusiasmo dei primi giorni, ma anche quel po' di disciplina che
il generale Durando all'inizio era riuscito a riportare fra di loro.
Si contano ormai 8.000 uomini nella
"divisione", ma
l'organizzazione e la disciplina rimane precaria e incerta. La "Divisione Lombarda" come
ormai viene chiamata si smembra ed è posta di riserva ai regolari
piemontesi. Dopo l'armistizio seguito alla sconfitta di Custoza, si apre
nell'esercito sardo
la caccia ai responsabili e, escluso il Re che non poteva essere
accusato, non si trova nessuno a cui addossare la responsabilità del
disastro. Agli
ordini del ministero della guerra non c'era nessun comandante designato
alla completa conduzione delle operazioni. Risultato: una banda di
dilettanti contro un esercito piccolo ma capace. L'esercito piemontese nei
mesi che seguirono triplicò. I Sergenti diventarono Capitani, i
Capitani Generali. Si cercò all'estero il comandante in capo
individuandolo nello
Chrzanowsky
,
polacco studioso di cose militari all'oscuro della situazione italiana. Gli fu affiancato nel febbraio '49, come capo di stato maggiore,
Alessandro La Marmora per compensare lo staff tutto straniero di cui si
circondava il polacco. Furono esclusi dal comando tutti i generali che
avevano avuto una parte di rilievo negativa nella prima fase della
guerra. Tutti i Lombardi,
che non poterono ritornare in Lombardia in base alle condizioni armistiziali (perdono e non confisca dei beni), furono riuniti di nuovo
in divisione sotto
il comando del gen.
Ramorino così strutturati.
1a
Brigata
19°-20°
reggimento di fanteria
Legione
Bersaglieri di Luciano Manara
Legione
Polacca
Legione
Ungherese |
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Gli
Austriaci passano il Ticino a Pavia |
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2a
Brigata
21°-22°
regg. di Fanteria
Bersaglieri
trentini e studenti
Guardia
Nazionale
Corpo
Valtellinesi di Guicciardi e Bergamaschi |
Guardia
nazionale lombarda |
|
Alla ripresa delle ostilità nel 1849, in
quelle condizioni organiche (comandanti e sottoposti) in attuazione del piano offensivo,
la divisione occupava la pancia più protesa verso il Piemonte dello schieramento a mezzaluna ideato dallo Chrzanowsky
(andava dalle alpi agli appennini !!!, neanche avesse 200.000 uomini). Sulle
le ali si sarebbe sviluppata la nostra manovra avvolgente. Il piano, pur
audace, non tiene però conto dei contropiani austriaci. Le comunicazioni
fra i reparti, su centinaia di chilometri di distanza, sono infatti inesistenti, con ordini emanati giorni prima
dell'inizio delle ostilità e/o operazioni. Le divisioni da 5 erano salite a 7 su 15
brigate con oltre 119 reggimenti !!! che facevano anche più dei 200.00
detti ma che non valevano la metà degli austriaci. Furono immessi in ruolo 2.000
ufficiali e 4.000 sottufficiali.
La posizione difensiva di Cava, di fronte a
Pavia, viene lasciata, dal Gen. Ramorino, a Manara e al 21° fanteria per portare
il grosso di Ramorino sulla destra del Po, a Sud in contrasto con gli ordini ricevuti. Il
concentramento Austriaco su Pavia e l'attacco in forze a mezzodì del
20 marzo, impegnano i soldati di Cava che, pur resistendo all'interno del
paese, non riescono a
sbarrare la strada per Mortara, sulla quale il grosso degli Austriaci
sfila. Il 21 Ramorino viene destituito dal comando e
sostituito da
Manfredo
Fanti, generale di Brigata. Se una possibilità
c'e di rovesciare la situazione, questa consiste nel fare attraversare
il Po ai resti della Divisione Lombarda e della 5a disposta verso
Piacenza. La manovra di retroguardia auspicata non risulta ancora
iniziata quando la sera del 24, sulla base di frammentarie notizie
sull'esito incerto della battaglia di Novara, incomincia il ritiro delle
truppe verso Alessandria.
L'abdicazione di Carlo Alberto pone fine alla
guerra ed in pochi giorni il destino della divisione è segnato. Il Gen.
Gerolamo Ramorino sarà poi accusato di alto tradimento, processato e
fucilato il 22 maggio (vedi link sopra). Il
nervosismo della sconfitta, la fine d'ogni illusione unitaria, l'incerto
futuro costituzionale, l'impossibilità di ritornare in patria si
diffonde fra i soldati e la stessa popolazione provocando scontri,
saccheggi. Quello che resta della divisione viene instradato verso
Bobbio (Piacenza) e la Liguria, dove a loro scelta i lombardi possono
decidere di restare nell'esercito, restare da civili in Piemonte o
andare in altri stati. Quest'ultima scelta include anche la guerra a
Roma nelle fila Repubblicane. Per tale soluzione il gen. La Marmora si
occupa personalmente del reperimento di due battelli
(i
vapori "Nuovo Colombo" e "Giulio II"). Manara e i suoi,
imbarcati nella notte del 22 aprile, sono seguiti cinque giorni dopo dai
bersaglieri trentini. Altre spedizioni, intercettate da navi francesi
vengono ricondotte in Liguria. Quel che resta della legione si sbanda e
alla spicciolata prende varie destinazioni, compreso l'emigrazione.
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