La spalla Svizzera al Risorgimento

La Svizzera dei Savoia, la Svizzera di Napoleone Bonaparte, i Bersaglieri di Vicari, i grigionesi e l'arte pasticcera, il link Natale Palli - I personaggi: Filippo Buonarroti, Giulio Carcano, Vincenzo Vela, Antonio Arcioni, Tadeusz Kosciuszko, Emilio Morosini, Allemandi Benedetto Cesare e Michele Napoleone, Pellegrino Rossi, Giacinto Provana di Collegno, Ettore Perrone di S. Martino

L'approfondimento di questo testo nasce dalla lettura di un volumetto di Giovan Battista Biondetti (Volontari Ticinesi nel Risorgimento,1942), di cui si riportano in corsivo giallo alcuni passi. Altre notizie desunte in rete (e biografiche) portano ad una miglior conoscenza degli avvenimenti, delle persone agenti nella I guerra d'indipendenza italiana del 1848 e della recente storia della Confederazione Elvetica. Poiché su alcune notizie permane una quota di incertezza è ben accetto, e gli verrà riconosciuto, chiunque volesse fornire correzioni e maggiori e più precisi dettagli.

 

     

Il Dr. E. Weinmann nella pubblicazione “La partecipazione del Ticino al Risorgimento Italiano e la neutralità Svizzera del 1848 scrive a pag.7: La partecipazione del Ticino al Risorgimento Italiano può essere compresa solo se oltre ai dati del XIX Secolo si tiene presente che la partecipazione va ricercata nella preparazione spirituale dei precedenti secoli scaturita dalla storia comune col resto d’Italia di cui egli ne seguì l’eguale sorte politica. I Ticinesi parteciparono, innanzi tutto, all’evoluzione del sentimento nazionale italiano“.

Ma parlare solo del nostro risorgimento senza far prima riferimento alle vicende interne della vicina Confederazione, nella sua interezza e complessità, o nel particolare del Ticino (Baliaggio (colonia) fino al 1803), non aiuterebbe a capire la storia di quello che la gente comune identifica ormai da sempre come il paese degli orologi e il "paese senza guerre " . Guerre ad altri forse no, ma fra loro e per altri quante se ne vuole (tra il 1400 e il 1848 più di due milioni di svizzeri combatterono come mercenari in guerre straniere). Avevano infatti reggimenti svizzeri professionali (mercenari)  i Savoia *, i Borboni delle due Sicilie, i francesi** e non ultima la guardia in divisa michelangiolesca che a Roma oggi conoscono tutti. Se molti avevano  nei secoli evitato di percorrere il "paese in mezzo alle montagne" era per la certezza di entrare in una valle ma non di uscirne http://www.aczivido.net/zivido/battaglialibri/esch01.php .

 

“ Noi vogliamo anche avere il diritto di parlare bene dell’Italia, anzi, quando i nostri doveri militari verso la Confederazione ce lo consentano, anche quello di andare a combattere per l’Italia, come fecero Antonio Arcioni, i Carloni, i Pedrazzi, i Bezzi, gli Imperatori, i Vela, i Salvioni. Questo noi vogliamo ed abbiamo il diritto di pretendere. Noi stimiamo che il vero patriottismo dei Ticinesi è di essere prima Ticinesi e poi Svizzeri”. Emilio Bossi Consigliere Nazionale al Parlamento elvetico

*LA SVIZZERA DEI SAVOIA    
Nel 1793, sulla scia della tradizione degli arruolamenti in essere fin dal 1577, furono formati i reggimenti  svizzeri dai nomi dei comandanti, Bachmann (Nicholas B. an der Letz), Zimmermann ( Christian Emanuel Z.) e Peyer-Imhof (Jean Conrad Peyer-I). Tutti e tre i reggimenti comprendevano 1160 uomini, su 8 compagnie di fucilieri e 2 di granatieri. Dopo l'armistizio del 1796 furono contratti a un solo battaglione di 608 uomini e nel 1798 (quando Napoleone decide di cancellare il Regno continentale dei Savoia) passarono al servizio della Repubblica Francese, formando le due Legioni Elvetiche in Italia. Con la Restaurazione (1814) solo uno rimase in vita il Grisone Christ de Santz II, al comando del colonnello Jean Rodolphe. Il reggimento fu però sciolto il 28 aprile 1816 mentre la Guardia Svizzera (o i 100 svizzeri della guardia) al servizio personale del Re Savoiardo sopravvisse fino al 1831. Gli ultimi suoi capitani furono Joseph François Marie Belmont del Vallese dal 1814 al 1829 e Grégoire de Kalbermatten, sempre Vallese, fino alla fine. La presenza dei Savoia sul territorio Svizzero risale alla fine del 1100 con il possesso di una piccola parte del Vaud (sopra il lago Lemano) estesa poi a tutto il Vaud, a Ginevra stessa (conti di Ginevra, dei Savoia il castello di Chillon) e al Basso Vallese (sotto il Rodano) e Chiablese. Tutti territori persi nel 1603 o successivamente come il Basso Vallese. All'interno delle guerre di religione scatenatesi in Svizzera dopo la controriforma del XVI secolo ('500) i cattolici Savoia giocano le loro armi migliori per una espansione nel confinante territorio diviso fra protestanti e cattolici e fra Stati forti e stati deboli della confederazione. La situazione nella Svizzera romanda è molto confusa e i Savoia vorrebbero approfittarne per costituire un vasto dominio comprendente tutto il territorio tra il Lemano (Ginevra) e la Sarine. Nel 1530 l'assedio a Ginevra da parte del duca di Savoia scatena la reazione di Berna che viene in suo soccorso. Tutto sembra finire li come un tentativo mancato ma 5 anni dopo il duca di Savoia riordina il blocco della città. I calvinisti di Ginevra resistono e in loro aiuto arriva di nuovo la protestante Berna. Concilio di Trento (1545 - 1563). la Chiesa cattolica vuole arginare la diffusione del protestantesimo (rappresentato in Italia dai valdesi, da qui gli attriti durati secoli). Il principale artefice di questo rinnovamento cattolico ( o controriforma) in Svizzera è l'arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo (1538/1584). Nello stesso periodo il papa nomina un ambasciatore presso i cantoni svizzeri (è del periodo Borromiano la cacciata da tutto il Ticino (diocesi di Como) dei Riformati cosa che causerà la perdita di una intera classe dirigente e imprenditoriale in particolare da Locarno (1555) che andrà ad arricchire Zurigo e ad impoverire per secoli la regione). L'ordine dei Gesuiti, molto attivo durante la Controriforma, si stabilisce a Lucerna nel 1574, a Friburgo nel 1580, a Porrentruy nel 1591, a Sion del 1636 e a Soletta nel 1668. I cantoni cattolici per vie pacifiche costringono Berna a restituire ai Savoia i soli territori cattolici a sud del Lemano ( Savoia baroni del Vaud e del Faucigny) e il Pays de Gex nel 1564.   http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/ducatosavoia.htm  

   

“Confusio hominum divinitus servata”

Alla vigilia della rivoluzione francese il "Corpo" politico Elvetico era formato dai seguenti elementi:
- I XIII Cantoni, da indicare secondo elaborate regole di precedenza (prima le città, poi le campagne, senza dimenticare i mezzi cantoni)

- Schwyz (1313), governo democratico (DEM), cattolici (CATT)
- Berna (1353), governo aristocratico (ARIST)
- Unterwalden (1313),  (DEM), (CATT)
- Uri (1313) e Val Leventina (1441), (DEM), (CATT)
- Lucerna (1332), (ARIST) (CATT)
- Zurigo (1351), (ARIST)
- Zug (1368),  (DEM), (CATT)
- Glarona (1351), (DEM), misti
- Basilea (1501), (ARIST)
- Friburgo (1481), (ARIST), (CATT)
- Soletta (1481), (ARIST), (CATT)
- Sciaffusa (1501), (ARIST)
- Appenzell (1513), (DEM)

- gli Alleati: l’Abate di S.Gallo, la città di S.Gallo, le tre Leghe Grigie, il. VALLESE (dove il potere era diviso a metà tra il Vescovo di Sion e i 7 decanati), le città di Bienne e Mulhouse, che inviavano i loro delegati alla Dieta;
- figuravano tra gli alleati anche una serie di piccole città e valli che erano in condizione di semi-protettorato e non mandavano delegati. Non mandava delegati neppure il principato di Neuchatel che riconosceva il re di Prussia per suo sovrano, né la città di Ginevra che non era ammessa nel Corpo Elvetico per l’opposizione dei Cantoni cattolici
- c’erano infine i paesi "sottoposti"o baliaggi (vere e proprie colonie) di uno o  più Cantoni (baliaggio d'Argovia e Turgovia, del Vaud e della valle del Reno, i baliaggi italiani, ecc..) che non potevano inviare loro delegati alla Dieta e tra questi l'attuale Canton Ticino (in parte) dal 1516 baliaggio di tutti gli altri. Solo nel 1803 la regione si costituisce in Cantone. 
il testo completo a http://www.vivant.it/pagine/le_conferenze/55.doc

L’AMMUTINAMENTO DEGLI SVIZZERI DI NAPOLI

Dell’Esercito napoletano facevano parte anche 4 Reggimenti Svizzeri, chiamati dai napoletani “Titò”, che dal 1825 presero il posto degli Austriaci. Erano truppe fedelissime e nelle quali Ferdinando II poneva la più completa fiducia. Il trattamento loro riservato era migliore di quello dei soldati napoletani. Erano indubbiamente dei privilegiati, ma costituivano un sicuro e solido puntello. I fatti tragici delle giornate del 1848 a Napoli, in Sicilia, in Calabria, confermarono l’assoluta fedeltà di queste truppe alla Corona. Successivamente, questo feeling si interruppe improvvisamente e sanguinosamente nel 1859, subito dopo la morte di Ferdinando II, in seguito all’ammutinamento del 1°; 2° e 3° Reggimento. La causa scatenante che determinò la rivolta e che causò decine di morti e centinaia di feriti, fu apparentemente causato dai nuovi accordi tra i Cantoni di arruolamento e la Corona Napoletana. Si stabiliva, infatti, che nelle bandiere dei reparti Svizzeri non dovevano più essere apposti gli emblemi dei Cantoni di reclutamento. Ma ai tragici accadimenti non furono estranee le oscure manovre di agenti sabaudi, tendenti a minare le basi dei nuclei più compatti della organizzazione militare borbonica. La prova evidente di tali sospetti sta nel fatto che nelle tasche degli svizzeri morti e feriti furono trovate un consistente numero di monete d’oro. La rivolta fu stroncata dall’intervento dei reparti Napoletani e dal 4° Reggimento svizzero estraneo ai fatti.

 

 **Il ciclone Napoleone che non aveva mancato di coinvolgere anche gli svizzeri, diceva di loro dopo aver tenuto a battesimo una impossibile repubblica unitaria: «La Svizzera non assomiglia a nessun altro Stato, sia per gli avvenimenti che vi sono successi, sia per la sua situazione geografica e topografica, sia per le diverse lingue, le diverse religioni e quell’estrema diversità di costumi esistente tra le varie parti del paese. La natura ha fatto il vostro Stato federativo. Volerla vincere non può essere da uomo saggio» Per le sue conquiste europee Napoleone non voleva quindi problemi alle spalle e, alla bisogna,  voleva avere al suo fianco quel (vivaio di soldati... ) “pépinière de soldats, les meilleures troupes, celles en qui vous pouvez avoir le plus de confiance, ce sont les Suisses. Elles sont braves et fidèles. E fu cosi che, mediatore Napoleone, venne stesa nel 1803 la carta base della Confederazione. L'autonomia dei cantoni venne rispettata e al governo centrale competevano solo questioni in materie di politica estera e militare

(ma altrettanti reggimenti erano con gli Inglesi come il De Meuron (India),  il De Roll (Sicilia Inglese) e il De Watteville (Canada)).

     
LA REPUBBLICA FRANCESE DEL VALLESE    
Era esclusa dalla restaurazione del 1803, spalleggiata dalla Francia, la Repubblica del Vallese creata da Napoleone per motivi strategici (per controllare i passi). In 1798 the French created the Helvetic Republic with Valais as one of its new cantons. When the Helvetic Republic proved an unworkable artificial creation, Napoleon mediated the restoration of the Swiss Confederation in 1803, but kept Valais out of the new polity in order to guarantee French control of the strategic mountain passes. In severing Valais from Switzerland, the 5 Dixains of lower Valais were joined (5+7) to it for a total of twelve (12) stars in the flag (six in each field). In 1810 France annexed Valais outright as the Department of Simplon*. Since the Act of Mediation of 1803 was a Napoleonic creation, it collapsed with him, and the Allies restored the pre-revolutionary Confederation in 1815 with the addition of three new cantons liberated from France (Baliaggi). Valais thus rejoined Switzerland. Il Vallese non era cantone e quando venne annesso per continguità si unì geograficamente al Piemonte (annessione dal 12/4/1801).  

Locarno: Madonna del Sasso

Il Patto federale del 1815 (congresso di Vienna) consacra quindi  l'esistenza di una Confederazione di 22 cantoni sovrani. Questi mettono in comune la volontà di difendere la loro indipendenza e di assicurare l'ordine interno del paese. Per il resto ognuno padrone a casa sua. La Dieta è una semplice conferenza di delegati: si ritorna in parte alla situazione preesistente (1798), da qui il nome di Restaurazione. Tutto filò liscio fino al 1845 quando motivi politico/religiosi, ma non solo (crisi economica), provocano una profonda frattura. Lucerna, Uri, Schwyz, Unterwalden, Zug, Friburgo e Vallese sottoscrivono una lega separata (il Sonderbund) per salvaguardare la propria sovranità che dicono violata. Due anni dopo, 1847, la Dieta a maggioranza liberale e radicale, dichiara il Sonderbund incompatibile col Patto del 1815. I cattolici rifiutano di accettare tale decisione. Dopo il fallimento di riconciliazioni la Dieta decide di sciogliere la Lega con le armi. Il generale Guillaume-Henri Dufour guida l'esercito federale che, dopo una breve campagna, costringe il Sonderbund alla capitolazione. E tutto questo succedeva mentre in Italia Mazzini andava diffondendo le sue idee libertarie, rivoluzionarie o comuniste come disse qualcuno.  

A sx granatiere svizzero napoleonico del 1° reggimento e fuciliere del 2° e 3°

     

Affrancatosi da poco dal servaggio (baliaggio) ultramontano (1803), in quegli anni l’Alto Ticino (ndr. Ticino svizzero)  palpita d’amore italiano e per l’Italia si trasforma in un vasto campo d’azione ove i patrioti vengono accolti con amore dai fratelli di stirpe e protetti contro l’Austria. I patrioti Italiani si erano attaccati, non avendo di meglio, alla parvenza di indipendenza creata col Regno d’Italia, voluto da Napoleone. Questo spirito di indipendenza italiana, esaltato dai poeti, aveva trovato la più vasta eco nel Ticino. Le satire del Parini contro l’austriacante classe dirigente del tempo, avevano avuto nell’Alto Ticino eco vivissima, poiché anche da noi i servi dei landvogt che per trecento anni avevano, in combutta coi padroni, sfruttato il paese, erano affetti dalle stesse manie che il poeta staffilava in versi mordaci. Le tragedie dell’Alfieri avevano suscitato gli entusiasmi del popolo. Ugo Foscolo, con le lettere di Jacopo Ortis, aveva di colpo affascinato il cuore dei giovani. Foscolo fu fra i primi italiani che ripararono nell’Alto Ticino. Le poesie di Leopardi, il solitario di Recanati, avevano commosso il cuore delle donne ticinesi e più di una lagrima aveva bagnato i versi del poeta, mentre nel cuore dei giovani il pessimismo leopardiano aveva rinsaldato l’odio allo straniero. Alessandro Manzoni coi Promessi Sposi aveva conquistato il popolo. Nelle persecuzioni narrate dal capo scuola del romanticismo italiano i Ticinesi ritrovarono descritte le loro miserie a1 tempi degli odiati balivi. ”Le mie prigioni” di Silvio Pellico erano lette avidamente fin nelle sperdute casupole delle nostre più remote vallate. I versi infuocati del Berchet, declamati a gran voce dai giovani studenti, accendevano gli entusiasmi, mentre la satira mordace del Giusti faceva maggiormente fremere i cuori dei Ticinesi per la causa italiana. (G.B. Biondetti Volontari Ticinesi .....)

 

da "gli svizzeri in Italia": Già nel XVII - XVIII (1700) sec. si erano formate alcune piccole colonie di svizzeri nell’Italia settentrionale, costituite principalmente da artisti (Borromini) e artigiani occupati nel settore vetrario, in quello tessile e nel campo delle costruzioni (propalatori del sistema della fornace Hoffmann) ma non solo. Un settore particolare, che avrebbe riscosso molto successo anche nei secoli successivi, era quello alimentare, legato alla produzione di pasticceria e dei liquori. Tra questi tanti erano i "poveri" Grigionesi che avevano anche il monopolio del mercato del ghiaccio da tavola (in stecche).

http://www.swissinfo.ch/ita/specials/swiss-italian_migrations/the_land_of_emigranti/index/Pasticceri_grigionesi:_storie_demigrazione_e_successo.html?cid=7338142 

Per anni, sembrerà strano, erano gli svizzeri ad emigrare verso la ricca Lombardia, verso gli impianti serici della Brianza e del Biellese e al resto della penisola, per impiantare fabbriche. Si potrebbero fare molti esempi di famiglie arcinote e tutt'ora attive in attività industriali, ma sarebbe pubblicità impropria (solo nel mio paese ne conosco almeno 3 avviate da Svizzeri di cui 2 nei liquori con marchio sopravvissuto). Si può riconoscere anche a Mantova (Ducato di Milano) uno di questi casi nella "tipica" torta mantovana Helvetia dei pasticceri grigionesi Antonj, Adolf e Samson Putscher che si installano a fine '700 in piazza del Purgo (ora Marconi) in quella che doveva essere la "Bottega del Caffè" di Goldoni (origini modenesi) o caffè veneziano. Ma non erano i soli: si calcola che le famiglie di pasticceri svizzeri presenti in città fossero 54. Dei  Putscher si segnala la presenza fino al 1923. Dalla Serenissima, l’uso della bevanda s’era già diffuso e a questo locale mantovano si sarebbe quindi ispirato il Goldoni che qui dette la sua "prima" il 2 maggio 1750. Protagonisti di questa migrazione particolare erano quindi i protestanti Grigionesi che fin dal Medioevo dalla val Poschiavo, val Bregaglia (Castasegna, Stampa), Mesolcina, Engadina calavano stagionalmente per offrire la loro manodopera, di preferenza nelle città del nord Italia. Intorno al 1570, grazie ad un trattato che pattuiva privilegi speciali e reciproci tra la Repubblica di Venezia e i Grigioni - allora Libero Stato delle Tre Leghe - il flusso migratorio venne convogliato soprattutto verso la città lagunare dove gli emigranti elvetici godevano del privilegio di poter praticare il commercio ed esercitare una professione anche se protestanti. I Grigionesi iniziarono a lavorare a Venezia prima come venditori ambulanti poi come gestori di caffetterie (su 42 pasticcerie e caffè cittadini ben 38 erano nelle loro mani). La stipula d'un trattato tra i grigionesi e i cattolici austriaci a favore di Milano e a detrimento di Venezia aveva però causato nel 1766 la loro cacciata provocandone la diaspora in tutta Europa, a Nord fino a S. Pietroburgo. (Nella prima metà dell’Ottocento i ticinesi in Italia erano circa diecimila e più di diecimila emigravano ogni anno nei diversi paesi europei. Nel 1858 i ticinesi iscritti all’ambasciata di Parigi erano quasi ottomila. La corsa all’oro australiano è cominciata alcuni anni dopo quella dell’oro californiano (1851). La scoperta dell’oro nello stato di Victoria ha spinto decine di migliaia di europei e di cinesi in Australia. I primi ticinesi emigrati in Australia fanno rapidamente fortuna e ciò induce molti altri a intraprendere un viaggio che durava fino a 5 mesi ed era pericoloso. http://it.wikipedia.org/wiki/Emigrazione_ticinese )
I Pomatti di Castasegna produssero a Königsberg l'omonimo marzapane mentre Il  leggendario Café Chinois di S. Pietroburgo frequentato da artisti come Puškin, Dostoevskij e Gogol', fu aperto da Salomon Wolf e Tobias Branger di Davos (e c'è chi ha fatto un conto arrivando a circa 10.000 pasticcieri in oltre mille città). Sempre nelle immediate vicinanze di  Königsberg a Tilsit nota a lato i casari svizzeri chiamati dallo zar per sviluppare l'industria del latte si impadronirono delle esperienze locali riportando poi in patria il segreto del Formaggio Tilsiter (proviene dai Cantoni di Turgovia, San Gallo e Zurigo).

Nelle americhe il caso più noto è quello di Nueva Helvecia, o Colonia Suiza in Uruguay (1861), dove si produce una derivazione dello Sbrinz (formaggio a pasta dura come il Parmigiano) commercializzato ("ahimè") come Regianito o Parmesan. A Sud i grigionesi si spinsero fino a Palermo. La famiglia Caflisch, per esempio, aprirà decine di caffè, torrefazioni, negozi di coloniali a Napoli, Brindisi, Palermo (aperto intorno al 1890 da Christian Caflisch di Trin ai suoi tavoli si dice Tomasi di Lampedusa scrivesse "Il Gattopardo") e introdurrà (nel 1914) anche Alessandro Caviezel e Ulrico Greuter a Catania. da Giovanna Meyer Sabino +39 340 89 26 858 - g.meyer@librisabino.ch  La presenza elvetica nell’Italia del Sud - Per ritornare al tessile e al regno delle Due Sicilie, dove gli svizzeri già erano militarmente preponderanti, ricordiamo la possibilità di coltivare in loco canapa e cotone, le facilitazioni doganali concesse, l’offerta gratuita di conventi e monasteri dove installare la produzione e alloggiare le maestranze (come nel caso dello stabilimento degli Egg a Piedimonte d’Alife). V'era poi la possibilità di avere manodopera locale a buon mercato (e in certi casi gratuita, quando si trattava dei ricoverati degli alberghi dei poveri!). Unite alle conoscenze tecniche e alla capacità organizzativa gli svizzeri diedero vita ad “un’avventura” imprenditoriale unica nel suo genere. Nell’arco di un secolo sorsero per opera delle famiglie svizzere Egg, Wenner (Manifatture Cotoniere Meridionali), Freytag, Meyer, Escher, Zueblin, Vonwyller stabilimenti di grandi dimensioni nel Matese, a Fratte, Scafati, Angri, Nocera, Poggioreale tanto da rendere risibile il vantaggio del Nord.

 

The coffee trade gained increasing importance in the town’s economic life and was fedby the flow of immigrants of various nationalities. The first cafés were opened in Trieste at the end of the XIX century by Swiss immigrants from the then very poor canton of Grigioni,who were expelled from Venice for ‘unfair competition’. The oldest historic cafés in the city, including the famous Caffè San Marco, owe their origins to these original roasting pioneers. 

Oltre ai nomi già citati, i Castelmur di Castasegna a Marsiglia, i Klanguti a Genova e i Mayer e i Kübler a Modena, gli Aichta poi Meinrad Stekli a Pontremoli (1842) che aprono locali sotto sigle diverse come "Drogheria degli Svizzeri", "Caffè degli Svizzeri", "Pasticceria Svizzera", "Forno Svizzero" ma anche un Vanvittel che si mette a fabbricare pasta, meglio nota oggi come Voiello.

Il flusso migratorio si invertì con la crisi conseguente alla malattia del baco da seta per il settore tessile e con l'inizio dei grandi trafori alpini che assoldarono anche operai italiani a fine '800. Il fratello di mio nonno venne ingaggiato per il Sempione. L'emigrazione cessò del tutto dopo la guerra.

 nota Tilsit, che ora è diventata la città russa di Sovetsk nell’exclave russa di Kaliningrad (base militare sovietica) ex Königsberg, è anche la località dove Napoleone firmò la pace con Russi e Prussiani nel 1807 dando vita al Granducato di Varsavia

http://cronologia.leonardo.it/mondo28q.htm      
C'era una persona che non era comunque indifferente alla diatriba religiosa svizzera e questi era : Johann Joseph Franz Karl Radetzky, Governatore austriaco in Lombardia, che aveva ricevuto l'ordine di spalleggiare i cattolici. I problemi religiosi con gli Svizzeri risalivano a moltissimi anni addietro e un punto di frizione era il Grigionese con cui gli Asburgo avevano i confini. Il Bundestag retico dei Grigioni (non era nella confederazione) dominava dal 1512 anche la Valtellina (Val Poschiavo e val Chiavenna fino a una massima espansione che arrivava al lago d'Iseo), terre queste a maggioranza cattolica e Vienna, col "Capitolato di Milano" del 1639, tollerava allora anche la presenza dei "Riformati" a fianco dei cattolici . La rivoluzione francese e la proclamazione d'indipendenza del Consiglio Generale del libero popolo valtellinese del 19 giugno 1797 fanno confluire le vallate cattoliche nella repubblica Cisalpina. Un successivo scontro armato ( 1799), che vede vittoriose le armi Grigionesi e Asburgiche coalizzate questa volta sopra il credo religioso contro Napoleone, apre le porte al "riconoscimento" internazionale e alla adesione dei Grigioni alla confederazione elvetica (1803). Il Congresso di Vienna (1814/15) lascia però la Valtellina sotto il Vicereame asburgico del Lombardo-Veneto e la Val Bregaglia tagliata dal confine religioso non più a fondovalle, Chiavenna, ma a Castasegna. Fu anche per questo che all'epoca delle 5 giornate di Milano qualcuno, di la dai monti, aveva con gli Asburgo conti in sospeso.  Le spie di Radetzky sono però sempre presenti. Già in passato profughi italiani erano riparati in Svizzera, soprattutto a Ginevra e nel Ticino, tra gli altri Pellegrino Rossi ***(1815); Santorre di Santarosa (1821) e nel 1806 Filippo Buonarroti  ultimo discendente di Michelangelo e, in più occasioni, Giuseppe Mazzini.  

Molti svizzeri, che rimasero nella regione che li aveva accolti, e molti giovani che qui venivano a studiare (Università di Pavia) condivisero poi con il popolo italiano le gioie e i dolori del Risorgimento. Indiscutibile simbolo di questo rapporto è la “Tipografia Elvetica” che si trovava nel piccolo villaggio di Capolago, nel distretto di Mendrisio (non lontano da Como), in cui venivano stampati fogli e opuscoli sovversivi da introdurre di nascosto in Italia. Il governo di Vienna chiese al governo svizzero la chiusura della tipografia e l’espulsione dei rifugiati. Dalla semplice richiesta passò presto alla mobilitazione e alle minacce di invasione del paese.  Ma dove si riunivano i "cospiratori" e chi erano i loro mecenati ?.

     
- FILIPPO BUONARROTI era nato a Pisa l’11 novembre 1761. Allo scoppio della rivoluzione francese lascia Firenze per dare corpo alle idee di Rousseau e sceglie la Corsica, primo territorio francese a disposizione, dove fonda il “Giornale patriottico di Corsica”, ispirato alle correnti più democratiche della cultura francese. Cittadino francese dal 1793, agente rivoluzionario in missione in Italia ad Oneglia, cade in disgrazia dopo il colpo di Stato del Termidoro contro Robespierre. Suo compagno di trama era quel François-Noël Babeuf - noto anche come Gracco Babeuf arrestato e ghigliottinato nel 1797 (per il suo ruolo nella congiura degli Eguali  nota a fianco Verranno poi definiti comunisti termine inusuale a quel tempo ma che indicava comunione dei beni). Buonarroti verrà costretto da allora a una vita d'esilio. A Ginevra, dove soggiornerà quasi ininterrottamente dal 1806 al 1814, fonda la setta segreta dei Filadelfi per ricucire i legami con le logge massoniche italiane. Intanto ad Innsbruck studenti trentini fondano nel 1793 un club giacobino diretto dagli illuminati e costituito da giovani italiani, tedeschi e svizzeri dei Grigioni e del Canton Ticino. Costoro, tramite Poschiavo e la Valtellina, avevano contatti con Milano, Pavia e Modena, spingendosi sino in Corsica, come confermano gli articoli della Spezieria sondriese. La partecipazione comune di tedeschi, grigionesi ed Italiani aveva gli stessi fini di società nazionali, indipendenti, con programmi di radicale egualitarismo. Le società segrete (Sublimi maestri perfetti, ….) si spinsero poi sino a Napoli e in Toscana, per generare da lì altre società segrete iniziatiche. Lo saranno infatti la Carboneria o l'Adelfia o Filadelfia di Filippo Buonarroti , le quali sosterranno  un programma anarchico, comunista ed egualitario.  Nel 1828 pubblicò a Bruxelles "La conspiration pour l’égalité, dite de Babeuf". I movimenti cospirativi europei rimasero però nella maggior parte estranei al comunismo buonarrotiano e legati piuttosto a un orientamento costituzionale moderato. Allontanatosi intorno al 1834 anche dai mazziniani, Buonarroti morìrà in esilio a Parigi il 17 settembre 1837 abbandonato da tutti.  la nascita della carboneria http://www.triplov.com/Venda_das_Raparigas/carbonaria_italiana/daniele_failli/origini.htm    

Filippo Buonarroti

 Francois Babeuf e Filippo Buonarroti già superavano le posizioni stesse della Montagna, reclamando non solo l'eguaglianza politica, ma altresì quella economica. Essi affermavano cioè che i lavoratori, costituenti l'enorme maggioranza del popolo erano sfruttati da una minoranza di capitalisti: proponevano perciò l'abolizione della proprietà privata e la gestione dei mezzi di produzione da parte dello Stato che ne avrebbe diviso il ricavato fra tutti i cittadini in ragione dei loro bisogni. Da dove abbia preso Marx è quindi evidente

     
GIULIO CARCANO (a destra) nasce a Milano il 4 agosto 1812 da Vincenzo e Carolina Stagnoli. La sua famiglia appartiene ad antica nobiltà cittadina gli Imbonati (La nonna materna è Marianna Imbonati, sorella di Carlo: di qui la frequentazione, sin dai primi anni con i Manzoni). Dal 1824 al 1830 studia al Collegio Longone di Porta Nuova poi si iscrive all’Università di Pavia dove conseguirà con il massimo dei voti la laurea in Diritto civile e canonico. Seguendo l’esempio del padre, entra nell’amministrazione austriaca e nel 1844 è nominato vice-bibliotecario a Brera. Già da tempo aveva mostrato una spiccata attitudine alla produzione letteraria, componendo poesie (una prima raccolta viene pubblicata nel 1841), testi teatrali e una novella in ottava, "Ida della Torre" (1834), è il suo primo successo (nonostante i tagli apportati dalla censura). Nel 1838 inizia la collaborazione alla Rivista europea. Nel ’39 esce Angiola Maria, seguita, nel 1843 dai Racconti semplici. Nel frattempo comincia a frequentare gli ambienti più impegnati nella lotta risorgimentale, come la casa dei fratelli Porro e il salotto di Clara Maffei, dove conosce, nel 1842, Giuseppe Verdi, con il quale stringe una lunga amicizia. Nel ’48 si sposa con la cugina Giulia Fontana; durante le Cinque Giornate collabora con il Governo provvisorio e viene inviato a Parigi per chiedere l’aiuto francese. Al ritorno degli austriaci è costretto all’esilio,che trascorre spostandosi tra Piemonte e Canton Ticino. Nel 1850 cadono le preclusioni e può ritornare a Milano dove però gli sono preclusi gli uffici pubblici: è quindi costretto a dedicarsi all’insegnamento privato, che lo lascia però insoddisfatto, fino al ’59. Nell’anno che lo vede fare ritorno a Milano esce anche Damiano: storia di una povera famiglia, uno dei primi esempi di romanzo sociale, seguito nel ’52 dalla novella Nunziata e nel ’53 dal racconto campagnolo Selmo e Fiorenza e da Dodici novelle. La liberazione di Milano lo vede nuovo protagonista della vita sociale e concorre nel 1876 per il seggio da Senatore. Dopo altre pubblicazioni (tra cui nel 1874 per l’editore Hoepli un’edizione completa delle opere di Shakespeare, di cui è traduttore) la sua salute peggiora ed è costretto al ritiro sul Lago Maggiore a Lesa dove lo coglie la morte nel 1884 (30/8) accanto alla moglie e alla figlia  

Giulio Carcano

     
Ma ritorniamo alle pagine di Biondetti. Fra le case patrizie del tempo che più hanno contribuito alla diffusione dell’amore all’Italia notiamo specialmente quelle Ciani e Morosini. Si noti: Villa Ciani sorge sulla piazza ove era il Castello di Lugano. Se si pensa a quello che fu Villa Ciani durante il trentennio che va dal 1832 sino alla proclamazione del Regno, pare di veder passare l’ombra di Mazzini, mentre ancor risuona nella vasta casa patrizia l’eco della sua invocazione “Ho fede nell’avvenire d’Italia”. Invocazione ch’egli lanciava ai giovani additando loro dalla terra italiana dell’Alto Ticino la grandezza futura della Patria. Qui convenivano da ogni parte d’Italia, allorquando Mazzini arrivava a Lugano, i maggiorenti del partito d’azione rivoluzionario a prendere la parola di ordine del capo. Villa Ciani apriva le porte ospitale ai fiorentini Adriano Lemmi, Federico Campanella, Pietro Ciconi, ai genovesi Antonio Mosto, Bartolomeo Savi, Felice Dagnino, ai lombardi Missori, Bezzi, Gaspare Stampa, Giuseppe Marcora, e a Menotti, Garibaldi e Benedetto Cairoli, che portavano la ventata . irruente dell’epopea garibaldina. Dall’eremo di Cassarate scendeva quel grande pensatore che fu Carlo Cattaneo ( http://www.popso.ch/common/documents/cattaneo_ita_3.pdf  ). Il Conte Grillenzoni, l’amico intimo di Mazzini accompagnava il Maestro alla sontuosa dimora dei patrizi ticinesi, ove tutti i patrioti si riunivano animati da un’unica inflessibile volontà: liberare l’Italia; bruciati da un unico amore: Roma. Giacomo e Filippo Ciani furono gli infaticabili tessitori di questa mirabile tela dell’unità italiana. Famiglia di patrioti lombardi, i due fratelli coi loro nipoti Camperio e Gabrini non ebbero altro ideale che quello di servire in silenzio l’Italia. Furono in tutte le lotte, parteciparono a tutte le insurrezioni. Giuseppe nacque nel 1776 e Filippo nel 1778 da Carlo Ciani oriundo di Leontica e da Maria Zacconi, milanese. A contatto con uomini dell’aristocrazia intellettuale milanese, fra cui primeggiavano i Belgioioso, i Beccaria, i Bocci, i Verri, gli Arese, gli Arconti, i fratel1i Ciani si legarono di particolare amicizia con Federico Gonfalonieri. Pur partigiani di Napoleone ne restarono delusi e rifiutarono di ricoprire le alte cariche che la Gallia offriva loro. Allorché nel 1814 crollò il Regno d’Italia, i due ticinesi accorsero a Parigi col Conte Confalonieri e col Conte Porro, per chiedere all’Imperatore d’Austria “che volesse mantenere la parola solennemente data, di accordare alla Lombardia la libera costituzione e garantirne l’indipendenza”. La risposta “ Le LL.SS. sappiano che poiché le mie armi vittoriose hanno conquistato l’Italia, non può esservi questione né di costituzione, né di indipendenza “.  

Volontario lombardo

     
VINCENZO VELA ( Ligornetto, Ticino 1820-91) : Nato, nel 1820  in una famiglia di umili condizioni, Vincenzo Vela iniziò, giovanissimo, a lavorare come scalpellino nelle cave di Besazio. Nel 1832, si trasferì a Milano, dove fu impegnato, sempre come scalpellino, presso la Fabbrica del Duomo. Al contempo seguì i corsi dello scultore Benedetto Cacciatori e del pittore Luigi Sabatelli all’Accademia di Brera. Qui fu influenzato dal naturalismo di Lorenzo Bartolini (Preghiera del mattino 1846, Milano, Ospedale Maggiore). Recatosi a Roma nel 1847, conobbe Pietro Tenerani, massimo esponente del Purismo nella scultura che lo condusse allo studio dei classici ( Michelangelo e Bernini). L'anno dopo era sulle barricate durante le Cinque Giornate di Milano e rifiutò poi la cattedra all’Accademia di Brera che gli fu offerta dal governo austriaco. Nel 1852 si trasferì a Torino dove divenne docente all’Accademia Albertina, incarico che mantenne fino al 1867, quando decise di rientrare definitivamente a Ligornetto.  Nell’ambito della copiosa produzione celebrativa e ufficiale, è da ricordare, per la sua sobrietà, il monumento all’esercito sardo a Torino (1857) e il suggestivo e celeberrimo Napoleone morente (Parigi, Louvre), presentato e premiato all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1867. Vela si convertì, nel clima postunitario all’umanitarismo: le vittime del lavoro (1883 Galleria Nazionale d’Arte Moderna-Roma) sono un esempio significativo con il loro stile tormentato e pittoresco di verismo sociale per l'apertura del tunnel del Gottardo. Un bellissimo museo ha sede http://www.museo-vela.ch/i/i_museum.htm nella sua villa  natale. Vela si spense nella città natale, il 3 ottobre 1891.  

Vincenzo Vela

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Carbonari con Filippo Buonarroti essi divengono presto i principali propagatori della nuova idea. Col Confalonieri fondano il Partito dei Federati e allorché nel 1821 Santorre di Santarosa issa in Alessandria il tricolore, Giacomo Ciani a nome del Confalonieri, ammalato, gli reca la parola della prudenza, mentre l’eroe di Sfacteria si apprestava a passare il Ticino esortato dai Patrioti Lombardi. Rientrato a Milano riferì al Confalonieri. Allorché l’Austria si impadronì delle carte che il Buonarroti aveva affidato al Landriani per la diffusione in Italia Giacomo fu segretamente avvertito. Esortò allora il Confalonieri a fuggire con lui; ma come noto quest’ultimo non seguì il consiglio dell’amico e patì poi il martirio dello Spielberg. Insieme con Ottaviano Massetti, pure sospettato, Giacomo Ciani lasciava furtivamente Milano e riparava a Ginevra, raggiunto dal fratello Filippo. Incominciava allora per i due Ticinesi la vita dell’esilio, che doveva portarli raminghi per l’Europa, ovunque lavorando per la Causa Italiana, da Parigi a Londra, ove giunsero nel maggio del 1823. Ma le notizie d’Italia facevano presagire che presto si sarebbe passati all’azione, e i due fratelli. sul finire del 1829, decisero di portarsi il più vicino possibile al campo della lotta. Da tempo erano in relazione con gli uomini ticinesi più eminenti dell’epoca e favorivano finanziariamente il movimento rivoluzionario ticinese che auspicava un governo benevolo al movimento nazionale italiano. Il piano per avere nel Canton Ticino un governo favorevole all’unità italiana, è stato ideato dai fratelli Ciani, che si ripromettevano di potersi servire dell’Alto Ticino quale punto di appoggio per la prossima insurrezione nazionale. Bellinzona è la città che li accoglie, e per anni essi alternano la loro residenza fra la Turrita e Lugano. A Bellinzona, Giacomo Ciani fonda la prima scuola ticinese di orientamento professionale. Intuita l’importanza della stampa, si trasformano in tipografi, e diventano i principali sostenitori del Ruggia, che da farmacista si era improvvisato tipografo. Furono i Ciani a trasformare la tipografia Ruggia in quella tipografia della Svizzera Italiana, che, con la famosa Tipografia Elvetica di Capolago, creò ‘la scuola preparatoria del pensiero italiano. Allorché nel 1833 fu decretata la seconda spedizione di Savoia, vi presero parte. Filippo Ciani, nella seduta della fine del giugno del 1833, nonostante fosse contrario alla spedizione, esclamò: “Ebbene facciamo anche questo sproposito”. Si noti che i due fratelli erano già in età avanzata, eppure per l’Italia non esitarono a scambiare la penna col moschetto. A questa seduta, una delle più importanti del movimento nazionale italiano, parteciparono oltre ai fiduciari italiani anche i ticinesi colonnello Luvini, che la Principessa Belgioioso soleva chiamare Mio Tribuno, Stefano Franscini segretario di Stato, Pietro Peri, Carlo Lurati, G. B. Fogliandi, G. B. Pioda, il colonnello Rusca, Carlo Battaglini e Giuseppe Ruggia. I Ciani fondarono anche la società dei Carabinieri Ticinesi (Arcioni) per avere delle milizie pronte ad essere lanciate nel combattimento allorché suonerà l’ora della riscossa nazionale. La vita dei fratelli Ciani non fu delle più facili. Strettamente osservati dalle spie austriache e odiati dai reazionari al soldo dell’Austria, essi conobbero ore nere. Allorché, qualche anno, dopo la reazione trionfò, vennero espulsi dall’Alto Ticino e occorse organizzare una nuova rivoluzione per continuare l’opera del Risorgimento italiano. Dal 1839 in poi, sino alla proclamazione del Regno d’Italia, Villa Ciani diventa il vero quartiere generale del movimento nazionale italiano: vi convengono gli emissari di ogni parte d’Italia, mentre i Ciani intrattengono un fitto carteggio con Mazzini, Garibaldi. e Camillo Benso di Cavour.  

ANTONIO ARCIONI
11/4/1811 Corzoneso (TI) Svizzera, 21/11/1859 Leontica:

figlio di Giacomo, proprietario terriero. Entrato al servizio della Spagna nel 1834, combatté contro le truppe carliste; fu insignito di alte onorificenze militari e nel 1844 tornò in patria con il grado di capitano. Nella guerra del Sonderbund comandò una compagnia di cacciatori ticinesi presso Airolo. Repubblicano, nella primavera del 1848 sostenne la rivolta antiaustriaca dei Lombardi con un corpo di circa 1500 volontari, riuscendo a portarsi a ca. 30 km da Trento. Contrasti con il suo superiore lo spinsero a tornare nella valle di Blenio alla fine di aprile del 1848. Con 200 volontari, nell'autunno dello stesso anno intraprese dal Ticino un'avanzata, nel tentativo, peraltro infruttuoso, di raggiungere il lago di Como attraverso la val d'Intelvi. Comandante della Legione dell'emigrazione italiana, nella primavera del 1849 partecipò alla difesa di Roma con la Legione a suo nome. Tornato nel Ticino, si dedicò al commercio del legno. Divenne in seguito  istruttore cantonale delle milizie ticinesi, poi comandante della piazza d'armi di Bellinzona e infine deputato liberale al Gran Consiglio (1855).

L’altra casa, ove all’Italia fu eretto un altare d’amore, di passione e di gloria immortale, è Villa Morosini di Lugano. Casa patrizia appartenente ad una delle più antiche famiglie, i Conti Morosini di Vezia (Giovanni Battista Morosini 1782 - 1874). Fra le sue mura, che ospitarono sovente, fino ai giorni nostri, Principi Sabaudi e diversi personaggi di spicco della cultura italiana del XIX secolo, come politici, intellettuali, musicisti ed artisti come Giuseppe Verdi, Boito, i poeti Maffei, Carcano e Fogazzaro, il pittore Hayez e, non ultimo, Giuseppe Garibaldi, aleggia l’ombra del più fulgido eroe che vanti il Ticino: Emilio Morosini, ultimo discendente d’una schiatta che dell’Italia aveva fatta la sua passione e che volle tramandare per linea femminile ai Conti Negroni Prati - Morosini la tradizione d’onore e d’amore. Attorno a questi due grandi centri d’italianità, altri (casa Airoldi, Villa Tanzina etc...) se ne erano disseminati dal Gottardo a Chiasso .

Le personalità di spicco citate che trovarono ospitalità a Vezia (ora Villa Negroni-Prati) Koschiuskoerano legate da un rapporto speciale con Emilia von Zeltner-Morosini (figlia di Franz Xavier von Zeltner, sindaco di Soletta e nipote di Peter Josef Zeltner, compagno di Kosciuzko a Parigi negli anni della Rivoluzione francese) madre di Emilio Morosini. Villa Morosini, eretta attorno alla metà del 700 è ora proprietà del comune di Lugano e sede del Centro di Studi Bancari dal 1989. Nella cappella (mausoleo) fatta erigere dalla famiglia Morosini (sec. XVIII) si conservò per anni il corpo del ventenne patriota Emilio Morosini (1831-1849), caduto con Enrico Dandolo e Luciano Manara per la difesa della Repubblica romana nel 1849. Qui si custodì anche, imbalsamato e chiuso in una teca d’argento fino al 1895, il cuore di Tadeusz Kosciuszko-(a destra) eroe nazionale polacco, morto nel 1817 a Soletta, lasciato in testamento alla giovane Emilia. Emilia, figlia di Francesco Saverio von Zeltner, landvogt di Lugano nel biennio 1793-1794, andò poi a nozze nel 1819 (due anni dopo la morte di Kosciuszko con Giovan Battista Morosini: Il Cuore segue Emilia da Soletta a Vezia, poi a Varese e in seguito torna con lei a Vezia nel 1872. Esso venne successivamente traslato al museo polacco nel Castello di Rapperswil). EMILIO MOROSINI morì a soli 19 anni dopo aver dedicato tutto se stesso al servizio della causa italiana. Emilio frequentò le scuole ginnasiali di Brera, infine il liceo. Nel marzo del ’48 Emilio, i due Dandolo e Manara, armati di doppiette e fucili, furono tra i protagonisti dello scontro che a Milano oppose i patrioti agli austriaci. I quattro dopo l’esito della seconda parte della I guerra d'indipendenza, risposero all’appello di Mazzini che chiamava a raccolta i giovani per difendere la Repubblica romana.

 

Andrzej Tadeusz Bonawentura-KOSCIUSZKO,(Mereszowszczyzna (Bielorussia), 4 febbraio 1746 – Solothurn, 15 ottobre 1817), è stato un generale e ingegnere polacco, che combatté per l'indipendenza della Polonia e degli Stati Uniti. Era il quarto figlio di Ludwik Tadeusz e di Tekla Ratomska. Nel 1755 Tadeusz, assieme al fratello minore Giuseppe iniziarono a frequentare il Collegio degli Scolopi a Lubieszów. Poiché erede del piccolo feudo di famiglia doveva essere Giuseppe, Tadeusz scelse la carriera militare. Nel 1765, per iniziativa del re Stanisław August Poniatowski, sorse la Nobile Accademia del Corpo dei Cadetti. 6 ottobre 1769 Kościuszko, assieme a Józef Orłowski,collega di studio all'Accademia Militare, partì per Parigi, con una borsa di studio reale .A Parigi frequentarono l'Accademia di Belle Arti. Dopo un certo tempo Kościuszko comprese che la carriera di pittore non faceva per lui. Voleva arricchire le sue conoscenze di ingegneria. Non poteva però prendere in considerazione di iscriversi ad una delle scuole militari parigine, in quanto straniero e non avendo fondi sufficienti. Studiò come autodidatta e frequentava privatamente i corsi dei professori delle scuole militari. Nel 1774 (due anni dopo la prima spartizione della Polonia attuata da Austria, Russia e Prussia), tornò in patria. Non trovò lavoro nell'Esercito Polacco, ridotto ad appena 10.000 unità.

Nel luglio 1784 salutati gli amici, ritornò in Polonia dve la situazione non era delle migliori. Kościuszko seguiva con attenzione gli avvenimenti interni. Quando venne deciso di aumentare il contingente dell'Esercito Si venne a creare per Kościuszko la possibilità di una carriera militare nei ranghi della Republica. Il 12 ottobre 1789 ottenne la nomina a maggior generale dell'esercito della Corona con firma reale. Il grado così ottenuto gli permetteva di por fine ai problemi economici che l'avevano perseguitato negli ultimi anni grazie all'elevato stipendio di 12.000 złoty all'anno. Gli sforzi polacchi tendenti a rinforzare la Patria provocarono l'insofferenza di Russia e Prussia ed anche di parte dell'aristocrazia polacca legata alle potenze confinanti. All'inizio del maggio 1792 venne conclusa la riorganizzazione dell'esercito polacco. Il re nominò Comandante dell'Esercito della Corona, composto da 17.000 effettivi, il principed Józef Poniatowski. Comandante di una delle 3 divisioni che componevano l'Esercito della Corona, fu nominato Tadeusz Kościuszko. Il 18 maggio l'esercito russo, composto da circa 100.000 soldati, entrò nel territorio della Republica Polacca costringendo i pochi polacchi a ritirarsi sul Bug. Durante la ritirata si svolse, il 18 maggio, la vittoriosa battaglia di Zieleńce. A ricordo di questa battaglia il re creò una nuova decorazione al valore chiamata Croce al Valore Virtuti Militari. Al primo posto fra i decorati c'è appunto lui Tadeusz Kościuszko. Dopo le battaglie sulla linea del Bug, durante le quali vennero respinte truppe russe 3 volte più numerose, si formò l'opinione sulle elevate capacità di condottiero di Kościuszko, il cui risultato fu la sua nomina a generale di brigata, firmata il 1º agosto 1792. Prima che questa nomina arrivasse arrivò l'ordine di cessare tutte le attività contro le truppe russe. da sx Washington, Dekalb, Steuben, Pulaski, Kosciuszko, Lafayette, MuhlenbergIl 26 agosto l'Assemblea Costituente Nazionale della Francia rivoluzionaria gli concedeva il titolo di Cittadino Francese. Si trattava di un riconoscimento della sua attività e delle sue lotte per gli ideali di libertà. Cercò anche di ottenere l'aiuto della Francia per una insurrezione in progetto ma non ottenne nessuna promessa concreta. Lo sviluppo degli avvenimenti in patria sembrava confermare l'ancora nebuloso concetto di insurrezione. Il 13 gennaio 1793 la Prussia firma con la Russia un accordo relativo alla seconda spartizione della Polonia. La Polonia diventa ora un paese di appena 200.000 km² e con 4 milioni di abitanti. Tornato a Dresda, proveniente da Parigi, nel giugno 1793 Kościuszko elaborò il concetto di organizzare una insurrezione nazionale. Nel frattempo la situazione in patria volgeva al peggio. Nei primi giorni di marzo le autorità russe di occupazione scoprirono l'organizzazione rivoluzionaria di Varsavia. In questo scenario Kościuszko si decise di far partire l'insurrezione nonostante che le sue istruzioni non fossero state portate a termine dagli altri compagni. Kościuszko mobilitò le proprie forze a Varsavia e il 10 ottobre diede inizio alla battaglia di Maciejowice. Nonostante i piani di Kościuszko, le unità russe combatterono insieme e vinsero la battaglia; Kościuszko stesso fu ferito durante i combattimenti e fu fatto prigioniero dai russi. Nel 1796 lo zar Paolo I liberò Kościuszko, che accettò di giurare fedeltà in cambio della liberazione di 20.000 polacchi. Negli anni 1798-1815 abitò a Brevile vicino a Parigi da Piotr Zeltner e prese parte all'organizzazione delle Legioni Polacche in Italia. Nel 1799 il (17 ottobre ed il 6 novembre) incontrò Napoleone. Kościuszko era contrario di legare la questione polacca a Napoleone, del quale non si fidava. Nel 1799 prese parte alla costituzione in patria dell' Unione dei Repubblicani Polacchi. Nel 1800 pubblicò uno studio dal titolo „Se i polacchi possono riottenere l'indipendenza”.  Le informazioni sugli ultimi anni di vita sono spesso confuse e contrastanti, ma certamente prima della fine dell'era Napoleonica andò in Svizzera dall'amico Peter Josef Zeltner, già comandante della guardia svizzera in Francia, a Soletta. Qui trascorse gli ultimi anni di vita morendovi il 15 ottobre 1817. Nel 1818 le spoglie di Tadeusz Kościuszko vennero portate in Polonia e sepolte nella cripta di San Leonardo della Cattedrale del Wawel. Negli USA una contea dello stato dell' Indiana porta il suo nome, esiste anche una cittadina chiamata Kosciusko nello stato del Mississippi. Una statua di Tadeusz Kosciuszko campeggia anche in Lafayette Square di fronte alla Casa Bianca a Washington e a Chicago

 

Partì quindi per Dresda per entrare nell'esercito dell'Elettore. I tentativi di entrare in servizio a Dresda non portarono ad alcun risultato per cui decise di ritornare a Parigi. A Parigi apprese della guerra scoppiata in America settentrionale, dove le colonie erano insorte contro l'Inghilterra per ottenere l'indipendenza. A Parigi si parlava dei primi successi degli americani aiutati dai francesi. E partì per arrivarvi nemmeno un mese dalla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. Kościuszko venne nominato ingegnere dell'esercito americano con l'incarico di fortificare Filadelfia. Nella primavera del 1777 Kościuszko venne mandato al nord, al confine con il Canada, sotto il comando del generale Horatio Gates. Per molti mesi Kościuszko si dedicò alla fortificazione di molti accampamenti sul fronte settentrionale. Si ritiene che le sue fortificazioni abbiano contribuito alla vittoria americana nella battaglia di Saratoga. Conferma dell'apprezzamento per le sue capacità fu l'incarico di costruire la fortezza di West Point sul fiume Hudson. Questa decisione fu sostenuta dal comandante in capo l'esercito americano George Washington. Kościuszko su sua richiesta venne inviato sul fronte meridionale. Anche qui le sue capacità di ingegnere furono decisive in molte vittorie. A riconoscimento dei suoi meriti, per decisione del Congresso Tadeusz Kościuszko venne promosso il 13 ottobre 1783 al grado di Generale di Brigata dell'esercito americano. <<<<<

Così nelle parole di un testimone la Morte di Morosini:    
Il 27 giugno si dovette abbandonare anche Casa Savorelli. Si stava avvicinando la fine, ormai tutti la sentivano, eppure nessuno dava segni di sgomento; passò il giorno 28, e il 29 era la festa di S. Pietro, fatta in sordina ma alla sera fu illuminata la cupola della Basilica per mostrare al nemico la serenità d'animo dei difensori di Roma. Poco prima della mezzanotte si rovesciò un violento acquazzone sulla città. Rumoreggiava il tuono del temporale e rumoreggiavano le artiglierie del nemico che a sua volta stava preparando il proprio temporale: l'ultimo attacco in piena notte, con tre forti colonne agli ordini del LESPINASSE. L'attacco fu sferrato alle due del mattino del 30. Primi ad essere assaliti furono, il bastione e la casa Merluzzo, presidiati da un piccolo distaccamento di bersaglieri al comando del tenente diciannovenne EMILIO MOROSINI; questi sebbene colti di sorpresa, fecero una disperata resistenza, ma, poi, sopraffatti dal numero abbandonarono il bastione e si dispersero. Quattro di loro però avevano visto cadere il Morosini ferito al ventre da una palla e da un colpo di baionetta, dopo una fiera mischia coi Francesi, e vollero salvarlo. "Messo su una barella - "così narrò poi EMILIO DANDOLO " - favoriti dalla confusione, si avviarono correndo verso Villa Spada. Ma questa era già circondata! S'imbatterono quindi nei Francesi che gridarono da lontano: - Chi vive? - Prigionieri, rispose Morosini con voce fioca. Ma i nemici, temendo forse un inganno, si avventarono con la baionetta spianata. Raccontò poi uno dei bersaglieri che portavano il ferito che, trovandosi circondati e minacciati nella vita dal nemico inferocito dalla battaglia, avevano deposto la barella e tentato di salvarsi fuggendo. Ma fu visto quel povero giovinetto di tenente, alzarsi ritto sulla barella insanguinata, e messo mano alla spada che gli giaceva a lato, continuare -lui che era già morente- a difender la propria vita, finché, colpito una seconda volta nel ventre, si accasciò di nuovo sulla stessa barella a versare dell'altro sangue. Commossi a così tanto e sventurato coraggio, i francesi lo raccolsero e lo portarono all'ambulanza di trincea. Molte narrazioni furono fatte sulla morte di questo giovane tenente. Questo solo posso io dire di sicuro: che visse altre 30 ore, rassegnato, pregando, parlando della sua famiglia e strappando le lacrime ai nemici stessi che accorrevano a frotte per vederlo come se fosse una meraviglia. Il mattino del primo luglio spirò serenamente senza soffrire". Con le spoglie di Emilio Morosini e di Enrico Dandolo (caduto a Villa Corsini), Manara via mare venne portato a Venezia, dove venne sepolto temporaneamente nella tomba di famiglia dei Morosini. Dopo continue insistenze e suppliche, nel 1853 l'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe I concesse il permesso di riportare il corpo dell'eroe a Barzanò (dove la famiglia aveva una villa) in forma "strettamente privata". (altre fonti parlano di un trasporto clandestino a Lugano via Genova, con inumazione provvisoria nella cappella Dandolo).  

Emilio Morosini

Il quadro del lutto di Emilia, commissionato nel 1852 ad Hayez  é esposto a Brera e costituisce l’inizio della proficua attività ritrattistica per la famiglia Morosini, ramo della nobile famiglia veneziana trasferitasi a Como e poi a Lugano nel XVII secolo.

La donna è vestita a lutto per la morte del figlio e il  nero contribuisce a sottolineare l’espressione dolente del pallido volto, malinconicamente afflitto dalla sventura familiare. Non possiamo pubblicarlo per il Copyright della  pinacoteca ambrosiana http://www.ambrosiana.it/ita/pinacoteca_sala_dett.asp?pagina=17&sala=19 

     

MICHELE NAPOLEONE ALLEMANDI (1807-1858 son of  Benedetto Cesare see below) was born in Ivrea, Italy, on June 13, 1807. On the fall ot the French Empire, his father, who had fought in the army of Napoleon, became an officer of the Royal Carabinieri in the Piedmontese army. Compromised in the uprisings of 1821, and exiled, he established himself at Basel, where his young son folIowed him. After a brief military career in Spain and Belgium, young Allemandi, up his return to Switzerland distinguished himself in the war of the Sonderbund, for which be won the rank of federal colonel.

BENEDETTO CESARE ALLEMANDI grand patriote italien proche de Mazzini. Après s'être engagé dans les armées de Napoléon, cet officier des carabiniers sardes (ufficiale piemontese dei carabinieri) pris une part très active au soulèvement de Turin en 1821. Puis, fidèle à son idéal, il fut contraint de mener une vie mouvementée de proscrit pour échapper aux persécutions d'un gouvernement piémontais sous protectorat autrichien. Il n'eut alors de cesse de lutter pour l'indépendance et l'unité de son pays en s'impliquant personnellement dans tous les projets d'insurrection et de rébellion. Le fils de Benedetto, Michele Napoleone Allemandi, (1807-1858) qui le suivit dans son exil, épousa toutes les causes pour lesquelles son père avait inlassablement lutté. Cet ancien colonel de l'armée fédérale suisse, qui s'était distingué durant la guerre du Sonderbund (1847) sous les ordres du général Dufour, se mit au service de la révolution lombarde contre le régime autrichien dès son déclenchement en mars 1848. Malgré ses antécédents républicains qui le rendaient suspect aux yeux du gouvernement du roi Charles-Albert, on lui confia le commandement de tous les corps de volontaires lombards, suisses et génois, et il reçut à cette occasion le grade de général de brigade de l'armée italienne. Après les deux défaites successives de l'armée piémontaise contre les troupes aguerries du feld-maréchal Radetzky (Custoza, juillet 1848, et Novare, mars 1849), Michele Napoleone Allemandi préféra s'exiler à nouveau en Suisse. Il y écrivit ses mémoires et mourut à Bâle en 1858. 

 

Benedetto Cesare Allemandi

     
Oltre ai Ciani, gareggiano nel lavorare per la causa italiana, il dr. Lurati, G. B. Fogliardi, Stefano Franscini ed il colonnello Luvini. L’Austria, col suo blocco delle frontiere, getta legna secca sull’ardente rogo dell’italianità dell’Alto Ticino. Anche la stampa partecipa: la bandiera più alta è sventolata dal “Repubblicano”. Tutto il Canton Ticino è una caldaia sotto pressione, dove il governo della Repubblica funziona come valvola di sicurezza, abilmente destreggiandosi, onde tenere testa ai rimbrotti che piovono da Berna e alle minacce di Radetzki. Ma ormai i tempi sono maturi: Il sollevamento di Palermo è il preludio dell’imminente conflitto. La caduta di Metternich provoca la liberazione di Venezia. E’ l’ora, si esclama per le piazze dell’Alto Ticino, ed il grido ”L’Austria crolla”, è su tutte le bocche. Poi la notizia degli scontri a Milano. Manzoni: “... il 18 marzo del ‘48, prima delle Cinque gloriose Giornate una colonna di volontari mosse da Lugano... e partecipò attivamente alle battaglie...”. Già al 19 Marzo gli esuli, condotti dal poeta Diego Piacentini, attraversano la frontiera di Chiasso con la bandiera al vento e armati arrivano in tempo a Como a prendere a fucilate l’odiato straniero. Arcioni alla testa di una colonna mette in fuga l’austriaco a villa Olmo in Como, mentre a marce forzate le colonne Vicari, Simonetta, Ciani, accorrono a Milano, come al tempo del Barbarossa, per vincere o morire. Il colonnello ticinese Antonio Arcioni, che aveva passato il confine con nove esuli italiani ebbe un primo scontro a fuoco con i Croati propri a Maslianico il 20 marzo 1848. Tornò per farsi medicare a Chiasso, rientrò, si imbarcò a Tavernola, sbarcò a Sant`Agostino e diede un utile contributo alla presa della Caserma San Francesco. Le armi in buona parte erano state tolte agli austriaci del reggimento boemo Probaska; numerosi ufficiali della milizia ticinese furono utilissimi per inquadrare tale milizia improvvisata. A Milano, durante le 5 Giornate, numerosi Ticinesi combattono frammisti ai Milanesi. Al ponte di Porta Orientale, Giuseppe Broggi muore sfracellato da una cannonata austriaca. Emilio Morosini, il biondo Eroe, si copre di gloria a fianco degli inseparabili Manara e dei fratelli Dandolo. Vincenzo Vela abbandona il magico scalpello per imbracciare la carabina.  

BERSAGLIERI DI VICARI

(a sx sotto)- La colonna Vicari, forte di circa 300 uomini del circolo di Agno, presso Lugano, attraversò la Frontiera ticinese a Ponte Tresa in completo assetto di guerra con la propria bandiera ancor oggi gelosamente conservata dalla fam. Gilardi di Gentilino.  Incorporati nell’esercito piemontese, presero parte all’assedio di Peschiera ed il 30 Maggio attaccarono uno dei bastioni principali conquistandolo e piantandovi la propria bandiera. Re Carlo Alberto, cui era stato segnalato il coraggioso comportamento del colonnello Vicari e dei suoi ticinesi, lo chiamò a sè, la sera del memorabile fatto d’armi e gli strinse la mano, offrendogli il grado di colonnello nell’esercito piemontese. La colonna del colonnello Francesco Simonetta, di circa un centinaio di uomini provenienti dal Locarnese e dal Bellinzonese, si copre di gloria a Custoza e a Somma Campagna, ove il tenente Francesco Carloni muore inneggiando all’Italia: raccoglie il suo ultimo sospiro Vincenzo Vela. Il maggiore Fogliardi rivaleggia in disperato coraggio coi più ardimentosi. L’alfiere Pietro Cossa a Somma Campagna, in un momento critico, risolve favorevolmente la situazione avviandosi a passo di corsa, tutto solo contro l’attaccante austriaco, trascinando con l’esempio i suoi alla vittoria.

G.B. Biondetti (Volontari Ticinesi nel Risorgimento)

   
Uomini di Vicari a  sinistra

(ndr: il  piumetto portato a destra sono chiara ispirazione ai bersaglieri. Pur ispirandosi come copricapo agli Jaeger (cacciatori o bersaglieri) austriaci non portano le piume a sinistra e non poteva essere altrimenti per non confondersi. Il primo copricapo dei bersaglieri del resto era molto simile a questo).

Il 6/4/1848 Paolo Racchia, inviato sabaudo e maggior generale, intervenne, forse di propria iniziativa, presso la Dieta federale per sondare la possibilità di un accordo militare o alleanza. Vista la situazione ancora instabile del Paese elvetico, appena uscito da una guerra civile, e la volontà di non infrangere la neutralità dichiarata, la maggioranza della Dieta Elvetica respinse però tale proposta. A metà aprile e agli inizi di luglio del 1848, attraverso altri canali il generale Guillaume-Henri Dufour venne contattato dai Piemontesi, che gli chiesero d'assumere il comando supremo del Regno di Sardegna contro gli Austriaci. Dufour si limitò alla stesura di due memoriali (25 luglio, 2 agosto 1848) indirizzati al ministro (sabaudo) lombardo della guerra, Giacinto Provana di Collegno. Carlo Moos

 

 

 
***PELLEGRINO ROSSI (1777-1848): Rossi  nacque a Carrara e dopo gli studi a Pavia e Bologna divenne professore di legge nel 1812. Dopo la caduta di Murat (1815), scappò in Francia e in seguito a Ginevra, dove iniziò a insegnare giurisprudenza: il successo  gli valse la naturalizzazione elvetica e nel 1820 fu eletto deputato al Consiglio del Cantone e membro della dieta. Primo professore cattolico nella riformatissima accademia di Ginevra, vi introdusse l'insegnamento della economia politica e della storia svizzera. A Rossi fu affidato il compito di tracciare le linee di una costituzione, nota come il Patto Rossi. Questo Patto, con il quale cerca di conciliare l'autonomia cantonale con le esigenze di uno Stato federale (troppo in avanti sui tempi), fu però rifiutato dalla maggioranza della dieta. Stabilitosi in Francia nel 1848, fu mandato a Roma come Ambasciatore. Rimasto a Roma, dopo i fatti del '48 in Francia, divenne Ministro dell'Interno con Papa Pio IX. Le sue vedute conservatrici lo portarono ad essere il bersaglio dei rivoluzionari: venne infatti ucciso sul Colle Vaticano nello stesso anno. Fu l'inizio della serie di eventi che portarono alla proclamazione della Repubblica Romana.  

     
Varese all’inizio del 1848 era una piccola cittadina industriale. Gli austriaci vi tenevano due compagnie comandate dal colonnello Kopal, la cui residenza era casa Robbioni, l’ attuale municipio, per difendere le provenienze da Piemonte e Svizzera. A due giorni dalla insurrezione Kopal fece fagotto. Il comitato civico insediatosi decise di mandare a Milano 800 uomini. Ma sentiamo dal racconto di un testimone, Carcano, come si sarebbero svolti i fatti.

"Chi li avesse veduti que' dieci o dodici giovanetti, quando nel durar dell'estate del 1847, nel recinto d'un bel giardino, da alte ombre protetto, si riunivano ogni dì, con perigliosa impazienza, per addestrarsi all'uso delle armi e al rigore degli ordini militari, avrebbe detto che attendevano la battaglia al domani. Il lieto e audace drappello era tutto di giovani scolari, amici tra loro; non uno che passasse i diciott'anni; spigliati, vigorosi, spiranti dagli occhi la serenità, il coraggio dell'anima; non compresi che da un pensiero, quello di essere i primi alla grande prova, si stringevano le destre, al ritrovarsi, all'accomiatarsi, come si volessero dire l'un all'altro: E quando il giorno aspettato verrà?[…] Non sapevano come, né quando, ma pur sentivano che qualche cosa doveva presto succedere; il nome d'Italia e il suo antico sospiro alla libertà era già nell'aria. Era nel cuore di tutti".

Così scriveva Giulio Carcano il più anziano di tutti mentore e testimone del solenne giuramento di dedicare la vita alla resurrezione della Patria. I loro nomi fanno tremare chi conosce le loro imprese: i fratelli Emilio (1830-1859) ed Enrico (1827-1849) Dandolo, Luciano Manara (1825-1849), Emilio Morosini (1831-1849) Francesco Daverio (1815-1849). La visione di Carcano è alquanto allegorica e virtuale nel descrivere un orto fuori mano dove ci si esercitava con le armi. Le spie austriache avevano lunghe orecchie e occhi e poi prima o poi bisognava sparare. Non sappiamo nemmeno se e per quale motivo questi fossero tutti li in quel momento. Di certo più tardi vengono contrabbandate armi dalla sponda piemontese come dice Giovanni Visconti Venosta nel libro: "Ricordi di Gioventù (Cose vedute o sapute: 1847-1860)

 

GIACINTO PROVANA DI COLLEGNO

 (1794-1856) Ufficiale d'artiglieria con Napoleone,  fece le campagne del 1812/13 e '14. Alla Restaurazione ritornò nell’esercito sardo guadagnandosi  la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia nella breve campagna del 1815.  Compromesso coi moti del 1821, fu esule in Spagna, Portogallo e Grecia. Si stabili poi in Francia e quindi in Toscana, dedicandosi a studi militari. Nel marzo del 1848 rientrò nell’esercito sabaudo con il grado di maggior generale. Con il grado di tenente generale fu Ministro della Guerra, fino a luglio '48, nel Governo provvisorio di Lombardia. Ministro di Sardegna a Parigi nel 1852, assunse poco dopo il comando della Divisione Militare di Genova.

 

" Tra quella folla agitata (stiamo parlando già dei disordini del marzo 1848) parecchi erano gli armati con fucili da caccia; alcuni avevano delle carabine o qualche fucile militare introdotto dal Piemonte. Tra quegli armati riconobbi parecchi giovani miei amici, o di mia conoscenza, tra i quali Lodovico Trotti, i fratelli Mancini, Emilio Morosini, i fratelli Dandolo, Luciano Manara, Carlo De Cristoforis (1824), e mio cugino Minonzio, che diventò poi, quasi vent'anni dopo, colonnello e capo di stato maggiore del generale Cialdini. Questi giovani, in unione con altri, sotto la guida di Luciano Manara, avevano fatto venir secretamente dei fucili dal Piemonte, e durante l'inverno si erano esercitati tutt'insieme e di nascosto al maneggio delle armi ed avevano preparate munizioni e cartucce. Molti venivano dal Varesino e Morosini addirittura dalla Svizzera (ma lo danno per residente a Villa Recalcati in Varese), benchè si sappia che per motivi di studio i Ticinesi facoltosi frequentavano scuole italiane in particolare l’università di Pavia. I nobili e borghesi del suddetto gruppo varesino, insieme ad altri giovani altrettanto romantici e temerari, divennero presto il "reggimento dei bersaglieri lombardi", tutti volontari ed eroici ragazzi a cui si aggiunse il sacrificio del ligure Mameli.Giovanni Visconti Venosta

 

ETTORE PERRONE DI S. MARTINO

(1789-1849) Combattente nelle armate napoleoniche, più volte ferito, meritò a Wagram la Legion d’Onore. Passato nell’esercito sardo partecipò ai moti del 1821 e fu condannato a morte. Riuscì a riparare in Francia dove riprese il servizio militare raggiungendo il grado di generale di brigata. Nel 1848 fu al servizio del Governo Provvisorio di Lombardia. Rientrato in Piemonte fu Ministro degli Esteri dal 19 agosto 1848 nel governo del marchese Cesare Alfieri di Sostegno e poi Presidente del Consiglio dall'11 ottobre al 16 dicembre 1848. Comandante l'anno dopo della 3a divisione a Novara, morì eroicamente sul Campo. Medaglia d'oro.

     
Il racconto della campagna militare di quei mesi del '48 si fa impreciso, man mano che ci si distacca dalle divisioni di linea del Regno sardo. Sarà stata una assenza-manchevolezza dei vertici politico-militari, un disinteresse del governo provvisorio poi degli storici che non erano per nulla interessati  a vicende minori ma il risultato di un diffuso "confusionismo" nei ruoli a seconda dei reduci, commentatori più o meno interessati, non cambia. Riportiamo quindi quella che è la versione preminente, sui volontari lombardi ticinesi e la legione Manara  che se ne distacca organicamente. Aggiungiamo anche le vicende misconosciute di Garibaldi in Brianza che includono un passaggio in Svizzera e lo schieramento di una altro piccolo reparto che andava sotto il nome di “Bersaglieri Pavesi” di Angelo Bassini (Pavia 1815 - 1889 a destra), patriota poi colonnello dei Mille e Angelo Pigurina "Portoghese".

Fra i vari personaggi che costituivano la cerchia guerresca del biondo Eroe c’era anche questo Pigurina cagliaritano (1815) già compagno di moti mazziniani (Savoia 1834) ed esule come lui in Sudamerica. Nel 1848 pure lui era ritornato ed era qui sul lago (nel combattimento di Luino (Beccaccia)) coi Bersaglieri Pavesi del 2° corpo (grado di maggiore) dove trovarono la morte Benedetto Franzini, Lanza Urbano Pietro, Emilio Marangone, Angelo Sora ed altri ricordati nel monumento eretto a Garibaldi. Portoghese sarà poi ferito a Roma (3 giugno 1849) e di lui si seppe solo che era ritornato in Sud America dove morì, a 63 anni, il 19 agosto 1878. qui un profilo più articolato nel capitolo "il ritorno di Garibaldi"

 

Col. Bassini Angelo

     
Così Felice Venosta negli appunti di quella campagna: Dal lago di Garda alle alture tirolesi (trentino) erano adunati 5.000 e più volontari milanesi, cacciatori bresciani, tirolesi (italiani di Trento), cremonesi, svizzeri, ticinesi, napoletani, francesi, polacchi di Kamiensky, i quali si avevano a comandante un colonnello federale (svizzero), originario di Piemonte, per nome Allemandi (vedi a fianco). Le varie legioni erano capitanate dal Borra di Brescia, ufficiale del già esercito italiano, cui i molti anni non avevano punto scemate le forze; dal Thannberg alsaziano arditissimo (Guide tirolesi); dal Tibaldi di Cremona; dal Manara, dal Trotti, dallo svizzero Antonio Arcioni, dal Torres, dal Beretta, dall'Anfossi, dal Longhena, e da altri generosi figli d'Italia. I soldati, che a que' capi dovevano ubbidire, erano audaci tutti, ma mancavano di disciplina, di fermezza ne' propositi. Il governo, come accennammo, avevali quasi abbandonati, facendo loro mancare vesti, munizioni e vet-tovaglie. (ndr: il volontario si dice è il peggior soldato perché vorrebbe fare sempre il Generale (Garibaldi docet)). Questi volontari avevano il compito d'invadere il Trentino e a questo scopo dovevano operare d'accordo con altre due colonne, di cui una, di corpi franchi e finanzieri era in Valtellina e allo Stelvio, l'altra, di volontari e alcuni regolari, si trovava al Tonale, che non riuscirono mai a passare. L' 11 aprile, 450 uomini della colonna MANARA, avendo fatto un'azione diversiva verso Peschiera che allora l'esercito sardo cominciava ad investire, furono assaliti a Castelnuovo da due battaglioni austriaci di fanteria, da uno squadrone di cavalleria e da alcuni pezzi d'artiglieria al comando del generale TAXIS. I volontari, colti alla sprovvista, si difesero accanitamente, ma, sopraffatti dal numero, si ritirarono a Salò, dov'era il grosso del gruppo. Quattro giorni dopo, la colonna di volontari comandata dal ticinese ANTONIO ARCIONI, unitasi a Tione nelle Giudicarie, con quella di VITTORIO LONGHENA, assalì gli Austriaci alle Sarche, presso il castello di Toblino (espugnato il 14/4), ma fu poi battuta. Trentuno volontari della compagnia bergamasca di ANTONIO GASPERINI, che si erano spinti fino a Vezzano, poco lontano da Trento, furono catturati dal generale VON ZOBEL e furono fucilati proprio a Trento come disertori dell'esercito austriaco. La campagna non era delle più brillanti.    

per saperne di più  http://web.ticino.com/david-delco/  storia della svizzera

 

Tamber o Thannberg  Ernesto. D'origine Francese, combatté durante le 5 Giornate di Milano. Al comando dei volontari in Trentino, si adoperò per avviare e sviluppare cordiali rapporti con le popolazioni dove si svolgevano le operazioni. Passò poi nell’esercito sardo al comando del 20° reggimento fanteria. Nel 1849 comandò una brigata della Divisione Lombarda; fu dispensato dal servizio nel settembre dello stesso anno.

 

Alessandro Manzoni: “.. il 18 marzo del ‘48, prima delle 5 gloriose Giornate una colonna di volontari mosse da Lugano... e partecipò attivamente alle battaglie...”. Fallita l’insurrezione, “... la rabbiosa reazione dell’Austria che nel settembre dichiarò un blocco il quale costrinse duemila ticinesi a rimpatriare dalla Lombardia...”.

L'Allemandi, che vedeva quanto importante fosse di conservare i passi del Tirolo, specialmente quello di Caffaro, sia per tagliare da quelle parti la ritirata agli Austriaci, sia per impedire che vi ricevesse nuovi rinforzi, chiedeva a Carlo Alberto quattro battaglioni di truppe regolari con quattro pezzi d'artiglieria. Le sue istanze non erano ascoltate; dopo lungo domandare, gli veniva detto che il governo provvisorio di Milano, non volendo in quelle posizioni più oltre agire, gli ordinava si apprestasse a portarsi a Brescia colle sue genti per ricevervi una regolare riforma. Qualcuno disse che su Brescia ci si fosse ritirato lui e per questo lo esonerarono. Di aiuti non si parlava e non restava quindi che concentrare le forze in attesa dello scontro finale. Il Governo provvisorio di Milano diede il comando dei volontari al piemontese GIACOMO DURANDO, fratello del generale che comandava l'esercito pontificio e futuro Ministro della Guerra nel 1855.

 

Il Durando pose il suo quartier generale a Rocca d'Anfo e riordinò alla meglio il corpo dei volontari.…

.... que' reggitori della pubblica cosa decretavano l'abbandono del Tirolo, concedevano agio al nemico di raccozzare nuovi armati al di là delle Alpi, lasciavano indifesa la Venezia, scoperto il Friuli, libero il passo del lago di Garda per Brescia. Incredibile cosa, ma pur vera. All'alba del 22 maggio, gli austriaci scendevano verso Brescia per tagliare la strada ai rivoluzionari e ai regolari attestati a sud del lago di Garda. Una valorosa resistenza la fece la colonna Manara, sostenuta dai pezzi del tenente Guerini, ma la colonna dell'Arcioni e quella dell'Anfossi, prese dal panico, si diedero alla fuga. Il Durando, che si trovava a Vestone, piombò con il suo Stato Maggiore e, giunto a Sant'Antonio, perfino minacciandoli, fermò e riordinò i fuggiaschi, mentre Luciano Manara muoveva da Salò con il suo battaglione e con le guide tirolesi del Thannberg. Il nemico era stato fermato ma qui poi rimasero inattivi per quasi tutto il resto della campagna perdendo non solo l'entusiasmo dei primi giorni, ma anche quel po' di disciplina che il generale Durando all'inizio era riuscito a riportare fra di loro.

 

Da Felice Venosta …passi da La battaglia di  Novara  Sconfitti a Custoza e in fuga da Milano, ai piemontesi non resta che chiedere l’armistizio. Non potevano ripassare il Ticino quei corpi (volontari e Garibaldi) che avevano preso la strada della Brianza e che si trovavano nella zona dei Laghi. - Privi di vestimenti, di pane, di denaro, que’ valorosi in parte si dispersero raminghi, in parte, capitanati da Griffini, poterono, per la via dei monti, condursi a mala pena fuori dal passo d’Aprica, ove chi li comandava lasciava i cannoni, consegnando poscia ai Grigioni (svizzeri) uomini ed armi. Soltanto il generale Giuseppe Garibaldi volle sino all’estremo combattere. Dopo la battaglia di Custoza, i volontari capitanati da lui, i quali sommavano a 5.000, erano dal Comitato di Pubblica Difesa chiamati a Milano.

 

In seguito alla caduta di Milano dell'agosto del 1848 molti rivoluzionari si rifugiarono oltre confine seguiti a breve da quasi 2000 ticinesi espulsi dalla Lombardia. Essi furono all'origine di contrasti in alcuni casi drammatici tra il Consiglio federale appena entrato in carica (novembre 1848) e Milano e Vienna, dato che Mazzini in Svizzera continuava a pianificare nuove azioni armate. Le cose non migliorarono coi tentativi insurrezionali falliti dell’autunno ’48 dell'Arcioni. Nel 1851 le Autorità federali emanarono una circolare in cui si revocava il diritto d’asilo ai rifugiati politici. I rapporti rimasero tesi per tutti gli anni '50, vista anche l'esistenza di contrasti sul piano religioso (espulsione di cappuccini prevalentemente lombardi dal Ticino nel 1852). Per quest'ultimo problema diocesano, attraverso la soppressione delle giurisdizioni episcopali estere sul territorio elvetico nel 1859 le autorità federali, sancirono la separazione delle parrocchie ticinesi dalla diocesi di Como e dall'arcidiocesi di Milano !!!. Il tentativo insurrezionale del 6/2/1853 a Milano, represso nel sangue, acuì poi ulteriormente le tensioni. Il Consiglio federale svizzero cercò di calmare la situazione negoziando con l'Austria sul piano diplomatico, inviando ripetutamente commissari federali in Ticino e imponendo la chiusura della Tipografia elvetica, ciò che privò Carlo Cattaneo e i federalisti italiani del loro più importante canale editoriale.

Da Milano capitolata, Garibaldi si dirige su Como con la cavalleria austriaca alle calcagna.  Alla nuova conta i volontari si sono ridotti a 2.000 e a S. Fermo a 500. Di ingaggiare battaglia non se ne parlava. Bisognava passare per la sponda piemontese.
- Ingrossatosi di nuovo il corpo coi disertori, il 14 agosto 1848, Garibaldi era ad Arona dove chiedeva al Municipio la somma di 10,000 lire, e ne aveva sette con venti sacchi di riso, un migliaio e più di razioni di pane; indi tratteneva i due piroscafi, il San Carlo e il Verbano e nove barche. Salito sul Verbano co’ suoi ufficiali, dava l’ordine della partenza, facendo rimorchiare dalle due macchine i barconi carichi di armati, di munizioni e di vettovaglie. Lungo le rive del Lago veniva dalle popolazioni salutato coi più vivi applausi che mai. Le truppe sbarcavano verso le ore nove di sera a Luvino (Luino). Garibaldi era da più giorni malato di febbre terzana; e quello era il giorno del tremito. Egli nullameno disponeva gli avamposti sulla strada di Germignaga e sul lato opposto del paese. In sull’annottare, mentre aveva chiuso gli occhi al sonno, era avvisato che circa settecento Austriaci appressavansi alla borgata. Senza porre tempo in mezzo, balzava dal giaciglio, poneva in agguato cento uomini dietro una siepe tra la casa Crivelli e l’albergo della Beccaccia; altri cento mandava su di un colle che domina la strada di Varese; il resto lasciava come corpo di riscossa sulla ripa del Lago.
 

L’agguato riuscì. Il capitano Vecchi e il maggiore Angelo Bassini con una compagnia di bersaglieri pavesi correvano all’assalto, sfondavano l’uscio di sotto, e nell’ebbrezza del trionfo, a quanti entro trovavano, facevano pagar caro gli stupri, le rapine, le devastazioni d’ogni sorta tollerate da Radetzky durante i mesi di guerra. La tregua firmata prevedeva la cessazione di ogni combattimento e il Duca di Genova arrivò per chiederne a Garibaldi il rispetto dell’armistizio.
- ordinavagli di rispettare i trattati fatti coll’Austria e di rientrare immantinente nel territorio sabaudo; dicevagli che in caso di rifiuto, avrebbe prese tali misure da impedire a lui e ai suoi l’entrata negli Stati Sardi. Il generale rispondeva che non riconosceva punto l’armistizio Salasco; che era un soldato d’Italia e che avrebbe combattuto sino all’estremo.
Gli Austriaci, stavano ben attenti a non incappare di nuovo nelle camicie rosse e nei piumetti. Forse, sperando in aiuti che non arrivavano, anche Garibaldi fu alfine costretto a deporre il brando. Si era, per ritardare i tempi, inventata una tattica partigiana che tornerà utile  cento anni dopo. Un numeroso corpo austriaco con cannoni giungeva il 26 agosto a Morazzone.
- Le bombe, le granate, i razzi, che cadevano sui tetti, che ardevano le case; le strida de’ terrieri, i lamenti de’ feriti, gli urli de’ combattenti; il trarre degli schioppi e de’ cannoni; il frastuono delle campane a martello; la luce sinistra degli incendi; le fumanti rovine, tutto ciò compiva tale uno spettacolo che solo l’immaginazione di Dante avrebbe saputo adeguatamente ritrarre. L’onore dell’italico vessillo era salvo; onde Garibaldi ordinava a’ suoi che, per vario cammino, si riducessero a Stabio, ultimo paese di confine con quello di Svizzera italiana. Garibaldi giungeva quindi in Lugano con ventinove individui, avendo seco la bandiera forata da una palla di cannone. Il nobile suo tentativo aveva così fine, senz’essere stato un istante coadiuvato dagli abitatori delle terre in cui erasi effettuato. Tutti gli altri si erano persi.

Circa un mese e mezzo dopo il rientro degli Austriaci in Provincia, sul finire del mese di ottobre, un moto insurrezionale scoppiò in Val d’Intelvi ad opera dei mazziniani Andrea Brenta, Giuseppe Piazzoli, don Francesco Cavalli. Il Brenta con una piccola banda attaccò un drappello austriaco ma fu fatto prigioniero. Processato e condannato a morte, venne fucilato sugli spalti della chiesa di San Carpoforo in Como, il 14 giungo 1849. Con lui caddero Giovan Battista Vittori di Saltrio (vicino a Viggiù), Andrea Andretti di San Fedele, Andrea Mezzera di Bellano, lo svizzero Sebastiano Leventini di Nante (in Val Leventina presso Airolo, in Ticino). Qualche giorno più tardi furono giustiziati anche Giovanni Stazzonelli di Montagno e Lazzaro Ricchi di Badia. Contemporaneamente, il 31 ottobre Francesco Daverio si imbarcò a Locarno assieme ad altri patrioti armati, ed a sera sbarcò a Germignaga.. Portatosi nella vicina Luino costituì una altisonante “Giunta nazionale d’insurrezione”, ma, ben presto, da Varese avanzarono due colonne austriache. L’arruolamento della guardia nazionale andò deserto e fu inevitabile riprendere la via del lago destinazione Piemonte.

 

«Les meilleures troupes, celles en qui vous pouvez avoir le plus de confiance, ce sont les Suisses.Elles sont braves et fidèles» Napoléon 
*È nel lontano 1496 che Carlo VIII di Francia affidò la propria sicurezza personale ad un gruppo di soldati svizzeri di élite, denominato i «Cent hommes de guerre suisses». Il fatto che Carlo VIII abbia preferito per questo incarico dei soldati svizzeri a dei connazionali o ad altre unità straniere disponibili e che i suoi successori abbiano confermato questa scelta durante ben tre secoli, la dice lunga sulla affidabilità e sulla reputazione, di cui godevano le milizie elvetiche a quei tempi.il Guicciardini: «Sono gli svizzeri uomini per natura feroci e rusticani…Hanno fatto grande il nome di questa gente, tanto orrida e inculta, l’unione e la gloria delle armi, colla quale, per la ferocia naturale e per la disciplina delle ordinanze, non solamente hanno difeso il paese loro, ma esercitato fuori dal paese con somma laude…».Bruno J. R. Nicolaus

Se non per l’Italia per la resuscitata Repubblica di Venezia si battè invece il turgoviese Johannes Debrunner, arruolato da Daniele Manin, che comandò un centinaio di uomini. Malgrado il divieto di combattere per potenze straniere senza il consenso del Consiglio federale, stabilito dall'Assemblea federale in seguito ai cosiddetti fatti di Perugia (repressione violenta della rivolta scoppiata nella città umbra da parte della Guardia pontificia), volontari svizzeri parteciparono agli scontri, soprattutto nel 1860 sotto il comando di Giuseppe Garibaldi. Tra di essi figurò anche Wilhelm Rüstow, prussiano di nascita, svizzero d'adozione, che in qualità di capo di Stato maggiore di una divisione prese parte alla spedizione nell'Italia meridionale e comandò la riserva in occasione della battaglia del Volturno (1.10.1860).

In un paragrafo del libro di Biondetti si fa riferimento all'ultimo svizzero in ordine di tempo che si batte sui campi di battaglia italiani: Compagno d'avventure di D'annunzio non viene mai da questo chiamato svizzero. La definizione  in questo caso va corretta e spiegata. Vai a carneade Natale Palli.

 

IN QVEST'OSSARIO DI ROMA SONO I RESTI MORTALI DEL 25ENNE GINEVRINO BARTOLOMEO ROZAT CAPITANO DEI BERSAGLIERI DI MANARA COMBATTENTE PER L'ITALIA NEGLI ANNI 1848 E 1849. DAL TRENTINO A PALESTRINA A VELLETRI E VILLA CORSINI  GRAVEMENTE FERITO IL 9 GIVGNO SVGLI SPALTI DI SAN PANCRAZIO TRE GIORNI DOPO ESALAVA LA SVA GRANDE ANIMA NEL SACRO NOME D'ITALIA.

Non ne abbiamo parlato ma c’erano anche il bernese Johann Christian Ott, alla guida di una colonna composta prevalentemente da Vodesi (Vaud) e Ginevrini attiva nel Trentino e in Valtellina. Coi mille di Garibaldi Natale Imperatori, nato a Lugano il 13 maggio 1830, ivi residente, cartolaio. Per condanna politica pronunziata contro di lui in Francia nel febbraio 1864, egli venne escluso dall'onore di fregiarsi della medaglia e dal diritto a pensione, VAGNER Carlo, nato a Meilen (Zurigo) il 15 agosto 1837, riportò varie ferite nella campagna dei Mille. Nel 1866 a Bezzecca (Trento) con Garibaldi, Andreazzi Emilio, Francesco Stabile di Lugano, Storni di Bidogno, Torriani di Mendrisio, Maderni di Capolago, Molo di Bellinzona e Giannotti di Ambrì che con la mano fracassata continuava a sparare sul nemico nel duro combattimento di Ponte sul Caffaro e BARTOLOMEO ROZAT come recita la sua iscrizione funebre al cimitero protestante in Roma.

 

SVIZZERA ITALIANA PER SAPERNE DI PIU'
http://www.marzorati.org/svizzera/ticino.html
http://www.marzorati.org/svizzera/ti_storia.html 

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