Gerolamo Ramorino (Genova, 1792 - Torino, 22.5.1849)


Arruolatosi giovanissimo nell'esercito francese, partecipò alla campagna d'Austria del 1809 e a quella di Russia del 1812, divenendo capitano d'artiglieria. Ritiratosi dall'esercito in seguito alla Restaurazione, partecipò alla rivoluzione piemontese del 1821. Riparò quindi in Francia, partecipando nel 1830-31 alla rivolta polacca contro la Russia e divenendo in questa occasione generale (39 anni). Nel 1833 Mazzini era convinto, da sussurri che gli provenivano da varie parti d’Italia, che una insurrezione spontanea (popolare) stava per aver luogo partendo dal Regno di Napoli. Quando questo non avvenne Mazzini ripiegò su un piano di riserva che prevedeva l’invasione della Savoia da parte di una brigata internazionale comandata da Ramorino. 
 

Così un autore: Gerolamo Ramorino, a revolutionary fighter popular with the Poles, after a vain and expensive effort to recruit soldiers amongst immigrant communities in France, finally arrived (on foot) at the scene of operations with a contingent composed of himself, two other generals, an adjutant, and a doctor. When in February of 1834(3) a few hundred men nonetheless went ahead with the "invasion," the not surprising result was miserable failure

Gli uomini messi assieme, dopo una dispendiosa ricerca, erano poco più di duecento. La spedizione fallì anche perché il governo di Torino scoprì per tempo l'infiltrazione della stampa clandestina mazziniana. Ci furono delazioni con processi e condanne a morte eseguite che scompaginarono la Giovine Italia. Qualche autore ha anche ipotizzato che il costo elevato dell’operazione, rapportato al numero di uomini raccolti dipenda anche dal Ramorino stesso che se ne giocò una buona parte ai tavoli da gioco di Parigi. La polizia bloccò tutto a fine gennaio del '34.

" Gazzetta di Genova - 4 febbraio 1834.
Da più mesi il Governo di S. M. sapeva che la propaganda rivoluzionaria ordiva un repentino assalto in Savoia, e che i fuorusciti polacchi riparati nel Cantone di Berna dovevano pigliarvi parte, con buon numero di profughi italiani recatisi a tal fine in Svizzera. Sapeva essersi radunati nei Cantoni di Vaud e di Ginevra alcune migliaia di schioppi, e fatte provvigioni di divise e di suppellettili militari. Ebbe certo anche notizia che l'invasione stata procrastinata più volte, ma che era stata definitivamente fissata per il giorno 27 gennaio; che i fuoriusciti italiani con i loro ausiliari dovevano convenire in Vevey per sbarcare sulle coste del Chiablese, e per tale scopo si erano già noleggiate molte barche; che i polacchi avevano lasciato il Cantone di Berna il 26. Il Governatore di Savoia avvisò subito in modo di premunirsi per questa folle e colpevole aggressione; infatti, i polacchi si trovarono sulla sponda svizzera del Lago al giorno prefissato, ma i loro compagni, appreso che erano state prese delle energiche misure dalla parte savoiarda, non solo ricusarono di imbarcarsi, ma negarono di consegnare ai polacchi le armi del deposito fatto in Vevey e di permettere loro l'imbarco sui navicelli noleggiati. Allora questi marciarono su Nyon, dove s'imbarcarono; ma invece di venire a riva sulle sponde del Chiablese, approdarono sul territorio ginevrino a due miglia dal confine della Savoia. Il governo cantonale, informato della cosa, aveva fatto prender le armi alle milizie, ed il 1° febbraio corrente il sindaco della guardia notificò al Comandante di Saint-Julien l'arresto ed il disarmo di quella masnada di circa 300 uomini, che aveva pigliato terra alle falde di Bellerive presso Ginevra".
Mentre falliva il moto della Savoia, a Genova Giuseppe Garibaldi tentò l'ammutinamento della flotta sarda, ma dovette fuggire dopo aver compreso che il complotto era stato scoperto. Nel processo che seguì, Garibaldi e Mazzini furono condannati a morte in contumacia. Ramorino ripara quindi in Spagna e di lui non si sente più parlare fino al '48 quando si offre, dopo la concessione dello statuto Albertino, al comando di Stato maggiore dell’Esercito piemontese. Le sue credenziali (ma di pratica militare era completamente digiuno, i suoi erano gradi presi sul campo quando un esercito non ha più vie di scampo) sono sponsorizzate dai liberali. Nel 1849, nonostante non abbia mai vinto una battaglia, gli viene affidato il comando della 5° divisione con l'incarico di impedire l'avanzata austriaca e di coprire lo sbocco a Pavia. La Divisione Ramorino, rimase sulla destra del Po contravvenendo agli ordini ricevuti da Lamarmora e Czarnowsky. La sua divisione rimasta isolata agevolò il passaggio degli Austriaci, contribuendo in tal modo alla sconfitta di Novara. Processato per disobbedienza davanti al nemico fu condannato a morte e fucilato nel maggio 1849 (lui stesso diede gli ordini). 
Mazzini e il generale Ramorino (1 Febbraio 1833) (foto a fiancoBSMC)
        

Da  http://www.ilterritorio.com/Soprannaturale/soprannaturale_012.htm 
 

Correva il 24 (o 25) di marzo dell'anno 1849, verso sera quando una misteriosa carrozza entrò in Arona dalla strada per Novara, lungo quello che è l'attuale corso Repubblica. Nell'attuale piazzetta Garibaldi, nonostante l'ora e il cattivo tempo, sostava una piccola folla ansiosa di notizie: il 23 marzo proprio a Novara l'esercito piemontese si era scontrato con quello austriaco subendo una completa disfatta. Ad Arona erano giunte fino ad allora solo voci confuse e quella carrozza non poteva dunque passare inosservata: veniva da Novara, e per di più al suo interno ospitava alcuni militari in divisa, due o tre a seconda delle versioni. Uno di loro esibiva addirittura i gradi di generale, e qualcuno credette di riconoscerlo: poteva trattarsi di Gerolamo Ramorino, comandante di una divisione dell'esercito reale. Che ci faceva ad Arona? La voce corse, giunse alle orecchie delle autorità locali, che ordinarono alla guardia nazionale (corpo paramilitare che veniva reclutato in ogni municipio in caso di guerra) dapprima di circondare per precauzione l'albergo della Posta, dove i misteriosi ufficiali avevano preso alloggio, poi di trarli in arresto. Il generale si qualificò proprio come Gerolamo Ramorino. Giustificò la propria presenza in città esibendo ordini superiori che già a un primo esame si rivelarono apocrifi. Il 26 marzo giunse a prelevarlo un'imponente scorta militare che lo condusse alla cittadella di Torino, dove venne processato per direttissima con la grave accusa di aver causato la disfatta di Novara disobbedendo alle consegne. Allo scoppio delle ostilità, pochi giorni prima, in effetti Ramorino con la sua divisione era stato inviato sul Ticino nei pressi di Cava Manara, con l'ordine di presidiare la frontiera con il Lombardo-Veneto. Ambizioso e avventato, aveva invece sconfinato in Lombardia a caccia dell'esercito austriaco, che invece si presentò in forze proprio nel punto da lui lasciato scoperto e poté tranquillamente transitare verso Novara. Dire che la sua disubbidienza avesse causato la sconfitta del Piemonte era un'esagerazione: anche se non si fosse mosso avrebbe potuto fare ben poco per bloccare un nemico ben più numeroso. Ma Ramorino era il capro espiatorio ideale, il "mostro" da dare in pasto all'opinione pubblica che reclamava un colpevole per il disastro e il tutt'altro che immacolato stato maggiore piemontese fu lesto nello scaricare sulle sue spalle anche le proprie colpe. Alle accuse di insubordinazione si aggiungeva un altro sospetto: che ci faceva Ramorino ad Arona? Oltre che un indisciplinato era anche un disertore? A sentir lui, dopo la battaglia di Novara aveva perso i contatti con il comando supremo, e lo stava disperatamente cercando. Ma Arona era davvero troppo fuori mano per potergli credere. Molto probabilmente la sua meta era la non lontana Svizzera, cioè la salvezza da una commissione d'inchiesta sul suo operato a Cava Manara. Alcuni testimoni aronesi, tra cui un milite della guardia nazionale, riferirono anzi che mentre Ramorino si trovava all'albergo della Posta, prospiciente il lago, una barca non identificata si era avvicinata a riva: a bordo c'era solo il timoniere e una specie di grossa botte, dalla quale improvvisamente erano usciti due uomini. Scorgendo i soldati schierati intorno all'albergo l'equipaggio del misterioso vascello aveva però fatto bruscamente dietrofront, e non si riuscì mai a stabilire se si trattasse di semplici contrabbandieri, di cui il lago Maggiore allora pullulava, o di complici venuti a prelevare Ramorino. Il generale venne comunque riconosciuto colpevole, condannato a morte e fucilato a Torino il 22 maggio di quello stesso 1849: morì eroicamente, comandando lui stesso il plotone di esecuzione. 
 

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