Il
2 settembre era caduta la linea Hindenburg sul Fronte occidentale. Il
peso degli americani cominciava a farsi sentire. Se la Germania era
ormai agli spasimi finali, compreso il più grave della fame, l'Austria
non stava meglio. Mentre la Bulgaria a fine mese firmava la resa dal
Comando Supremo Italiano usciva il piano di attacco finale con la data
di attacco in bianco. L'11 ottobre, nonostante l'esercito fosse pronto,
di passare all'azione non si parlava. La situazione nel governo si
faceva incandescente. Si temeva che, come nel 1866, la vittoria venisse
dai nostri alleati che avrebbero poi continuato a trattarci come gli
ultimi della classe. La decisione venne infine presa: si attaccava il
17 ottobre. Lo stesso giorno Carlo I d'Austria firmava il proclama della
trasformazione dell'impero in stato federale (come era allora la
Germania) ed anche Trieste e gli italiani, pur non riconosciuti
nazionalità avevano uno statuto speciale. Gli studi idrografici sul
Piave, anche ad autunno avanzato, ci permettevano di gestire un
passaggio improvvisato su ponti di barche in condizioni estreme. Proprio in quei giorni però
le cataratte del cielo sembrarono aprirsi per congiurare sulla nostra
offensiva finale. L'operazione era rimandata di una settimana. Il 22,
a nostra insaputa, Croati e Ungheresi si erano ammutinati. Cinque giorni
dopo a offensiva iniziata su 51 reggimenti imperiali, 13 rifiutarono di
marciare dalle retrovie verso il fronte. La spagnola, oltre che fra la
truppa nelle loro fila, aveva spazzato via l'intera vecchia classe di
Ufficiali Superiori. I Generali Alleati del fronte occidentale stimavano
che la guerra durasse ancora 3/4 mesi. Alle
tre del mattino del 24 l'artiglieria italiana diede la sveglia agli
austriaci. Queste sotto, a grandi linee, le direttrici di attacco delle armate
dallo Stelvio-Tonale al Piave (la 2a
armata dopo Caporetto per scaramanzia non venne ricostituita).
La
prima a muoversi fu la IV di Giardino coi corpi di De Bono, Lombardi e
Montanari affiancata dalla VI, XIIa (francesi) e X di Lord Cavan
(Inglesi). Il XXIII Reparto d'assalto
Fiamme Cremisi mosse sul Pertica conquistato e perso più volte,
mentre il IX impegnava l'Asolone. La
XII aveva entro l'alba conquistato diverse isole (Grave) del Piave con l'aiuto
degli Inglesi. Gli Austriaci, per parare l'attacco sul Grappa,
sottrassero truppe alla pianura e alla fascia prealpina, facendo il
gioco degli Italiani che avevano programmato l'attacco principale dal
Montello. La piena del Piave non permetteva ancora di gettare gli 11
ponti(passerelle) previsti. La sera del 26 iniziarono i lavori. L'VIIIa
poteva ora far passare su passerelle il Corpo d'Armata d'Assalto (Grazioli),
punta di lancia dell'offensiva, con le divisioni di Zoppi e De Marchi.
|
|
I
Armata Direttrice Val d'Astico Trento Gen. Pecori Giraldi |
|
III
Armata Dir. Basso Piave Emanule
Filiberto Duca d'Aosta |
IV
Armata Grappa Gen. Giardino |
VI
Armata Dir. Egna Trento Gen. Montuori |
VII
Armata Dir. Bolzano Mezzolombardo Gen.
Tassoni |
VIII
Armata Dir. Ponte della Priula Gen.
E.
Caviglia |
IX
Armata Riserva Gen. Morrone |
X
Armata Dir. Grave Papadopoli Frederic
Lambart Lord Cavan |
XII
Armata francese Gen. Jean Cesar Graziani |
moto dal sito
http://www.zenobionline.com/home.html |
http://www.cronologia.it/storia/a1918r.htm
l’ultima battaglia |
Le Grave di Papadopoli a nord di Treviso e le altre verso Nord erano
considerate il luogo ideale per gettare ponti. Isola
dei Morti (Vita di Ettore Marchand)- Moriago:
Porta della Vittoria ed anche Via degli Arditi così venne chiamata
l'isola ghiaiosa (Grave) del Piave di fronte al Montello. Subito
dopo mezzanotte del 26 gli arditi qui riuscirono ad attraversare il Piave.
Il LXXII piombava sulle trincee di Ca Mira e di Boaria e alle 3 era
stata superata la linea dei Molini. Con le luci dell'alba, Moriago era
liberata. La mattina del 28 tutti i ponti erano distrutti e i soldati
che erano passati restarono isolati. L'impossibilità di far passare il
resto dell'VIII indusse Caviglia a chiedere i ponti quasi intatti
della X armata di Lord Cavan. Quelli del 18° Corpo
ripercorsero la sponda opposta combattendo in direzione del proprio
fronte mentre la crisi degli isolati a Pederobba e Nervesa giungeva la
culmine. Alle 16,30 anche l'onda di piena era
passata e le formazioni tornarono sotto, infilandosi nelle nuove
passerelle del Genio. Caviglia questa volta riuscì a raggiungere Vaccari
sull'altra sponda. La XIIa sui suoi ponti fece passare i francesi e gli Italiani che
presero Valdobbiadene. La Xa a sud muoveva su Cimadolmo. La
pioggia aumentava e la sera del 28 il Genio pontieri lavorò per
riattivare i ponti spazzati dalla piena o dal fuoco nemico. Mentre l'artiglieria austriaca
continuava a martellare le passerelle e il fronte, 4 divisioni austriache
si erano ormai ammutinate. A Pola 15.000 marinai (di nazionalità
italiana e slava) avevano fatto altrettanto. Il 29, i Lancieri di Firenze,
il III ciclisti di Tosti e la compagnia BersaglierI motociclisti
(mitraglieri) del Tenente Bertone entravano a Vittorio (Veneto
viene aggiunto nel 1923). La notizia trasmessa al napoletano Diaz, lo
lasciò interdetto. "ma
addò c… sta chisto Vittorio ?"
il diario dell'entrata a Vittorio
http://www.tragol.it/flaminio/flaminio-1/19-29.htm
. Riferisce Montanelli che l'episodio sia avvenuto a Padova, anzi ad
Abano sede del C.S.. Col nome di Vittorio si identificava infatti
l’unione di due borghi, Ceneda (patria di Da Ponte) e Serravalle ma
questo solo dopo l’annessione del Veneto all’Italia nel 1866 in onore
del sovrano. Per questo il fatto che Diaz cercasse sulla carta
semplicemente «Vittorio» è ancora più esilarante, perché sembrava
appunto alla ricerca di una persona 'dispersa' . Quanto al Bollettino
della Vittoria la paternità di Ojetti è piuttosto incerta e alcuni lo
attribuiscono addirittura a Ferruccio Parri o più semplicemente
all'ufficiale di servizio di turno in quel momento. Il 29 i nostri reparti avanzavano su Belluno per
tagliare le vie di ritirata al nemico e in tutti i settori compreso
quello della III Armata del Duca d'Aosta si passò alla offensiva finale.
Il 1 novembre Diaz diramò gli ultimi ordini. Oltre il Piave le
divisioni del Corpo di Cavalleria si lanciarono sui ponti del Livenza,
Tagliamento e Isonzo. La disfatta degli austriaci era ormai cosa fatta.
Bersaglieri e Cavalieri in due giorni arrivarono a Udine, il 3 a Trento.
Anche i fratelli De Carli, in missione segreta da Luglio, venivano
recuperati.
L’affondamento della Viribus
Unitis: Obiettivo dell’azione era il porto di Pola, contro i cui
molteplici sbarramenti protettivi si erano sempre infranti i tentativi di vari
ardimentosi italiani. L’impresa di Paolucci e Rossetti ebbe luogo nella
notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1918. Essi avevano programmato
di impiegare circa cinque ore per penetrare nel porto, minare la
corazzata Viribus Unitis, ammiraglia della flotta austriaca, e tornare
dal motoscafo che li attendeva. Dopo tre ore, però, i due, pur essendo
penetrati all’interno del porto, erano ancora lontani dal loro
obiettivo. Alle 4,3o circa dopo oltre sei ore in acqua, furono nei
pressi dello scafo della corazzata austriaca. Fissarono una carica regolata per
esplodere due ore dopo e diedero il via ai lavori per ancorare la
mignatta alla nave. Si stavano accingendo a piazzarne un’altra sotto
una seconda nave quando vennero scoperti da una sentinella. Inquadrati
dalla luce di uno dei tanti riflettori che illuminavano la base navale. Paolucci e Rossetti furono catturati e portati sulla tolda della Viribus
Unitis dove l'attività giornaliera dopo la sveglia era già iniziata. Intorno alle 6, avvertirono il comandante austriaco di
abbandonare la nave, perché presto sarebbe colata a picco. Alle 6.30 la
“mignatta” esplose e la corazzata, squarciata nel fondo, reclinò su un
lato e poi affondò in breve termine portandosi dietro lo stesso
comandante Vukovic. I due ufficiali riuscirono a gettarsi in mare
proprio all’ultimo momento, ma non poterono sfuggire ad una nuova
cattura. Condotti a Pola vennero imprigionati; pochi giorni dopo, però,
furono liberati poiché la città venne occupata dalle truppe italiane.
Alle 14,30 del 4 novembre nei pressi di Monfalcone un gruppo
di austriaci che sfidava la fine delle ostilità prevista per le 15 si fece sotto. Lo
scontro breve ma intenso si chiuse con una raffica che colpì a morte il
Sottotenente
Alberto Riva Villasanta figlio di
un Maggiore della Brigata Sassari morto ad
Asiago. Nel vecchio cimitero di Redipuglia, Colle S. Elia, le tombe de padre e del
figlio, affiancate, erano unite da una catenella. Alle 15 il fronte occupato era: Stelvio, Val Venosta, Val
di Sole, Passo della Mendola, Salorno Val d'Adige, Valsugana, Fiera di
Primiero, Pontebba, Cormons, Grado e Trieste.
|