LE ULTIME OPERAZIONI DELLA MARINA

L'AFFONDAMENTO DELLA "VIRIBUS UNITIS"

Raffaele Paolucci nasce a Roma il 1° giugno 1892 da famiglia di origini abruzzesi (Orsogna: padre Nicola e Rachele de Crecchio madre). Allo scoppio della guerra, non ancora laureato, presta servizio in una compagnia di sanità col grado di Sergente. Conseguita la laurea in medicina il 19 luglio 1916, a Napoli viene promosso ufficiale (aspirante o sottotenente medico di complemento). E in questo momento che l’aspirante Paolucci entra nel corpo dei Bersaglieri, per la precisione l’8° in servizio nel Cadore. Lui appassionato di mare si ritrova come dirà la figlia Ippolita in "Raffaele Paolucci: un marinaio in Dolomiti" in tutt’altro ambiente. Dopo il breve periodo in trincea ritorna agli ospedali militari di Napoli e in seguito di Venezia dove diventa medico di bordo sulla nave Emanuele Filiberto (era stato promosso tenente). Sebbene la sua specialità lo esonerasse da azioni belliche, progettò di penetrare a nuoto (lui buon nuotatore) in porti nemici per minare corazzate austriache; per questo iniziò un allenamento che durò diversi mesi. Mise intanto su carta le sue idee, prevedendo un ordigno esplosivo ad orologeria munito di due camere d'aria a poppa e a prua per consentire il galleggiamento dello stesso. Si allenava con una botte di legno (vino) percorrendo via via distanze sempre maggiori fino a raggiungere gli 8 km, quanti bastavano per poter raggiungere gli ormeggi nemici e tornare indietro. Purtroppo però essendo medico e non disponendo di materiali e risorse fu costretto a limitarsi alla fase di progetto sotto gli occhi del suo superiore che lo vedeva un po’ “strano”. Il colpo di fulmine come si dovrebbe chiamare scoccò quando nel luglio 1918 gli fu presentato il 37enne genovese capitano del Genio Navale Raffaele Rossetti, lui sì pratico di “mignatta”, autopropulse. Ufficiale di carriera e grande studioso nonchè ricercatore di nuove tecnologie, era mosso dallo stesso incrollabile desiderio. A metà del 1918 aveva realizzato due prototipi direttamente derivati dai siluri, della lunghezza di 8m alimentati ad aria compressa, come del resto erano le torpedini in quel periodo.

- Da Marina Difesa: - La Torpedine Semovente Rossetti (Mignatta) venne realizzata in due esemplari (S.1 - S.2) nell'arsenale di Venezia tra la primavera e l'estate del 1918 su progetto del Cap. Del Genio Navale Raffaele ROSSETTI. Simile ad un siluro, era lunga 8 metri ed il corpo cilindrico aveva un diametro di 600 mm; era mossa dalla macchina ad aria fredda di costruzione "Schneider" (40 hp) cui erano state calettate due eliche quadripala. L'aria compressa contenuta nel serbatoio, posto all'incirca al centro dell'arma, alla pressione di 205 ATA, veniva ridotto alla pressione di 130-150 ATA e consentiva una autonomia di circa 10 miglia alla velocità di 2/3 nodi. L'apparecchio era dotato di due cariche di alto esplosivo, di forma cilindrica in lamierino di acciaio, contenti ciascuna 175 kg di tritolo e dotate di spolette ad orologeria con una regolazione massima di 6 ore. Le due cariche erano sistemate una dopo l'altra a proravia del corpo centrale e quella anteriore era provvista di una specie di ogiva troncoconica per facilitare l'avanzamento in acqua del mezzo. Il corpo centrale, rivestito di doghette di legno fermate da numerose cerchiature in rame, conteneva il grosso serbatoio dell'aria compressa.
A poppavia del corpo centrale, era collegata una sezione troncoconica che conteneva la macchina e una piccola cassa esauribile, a mezzo d'aria compressa, per il controllo dell'assetto longitudinale. L'apparecchio era sprovvisto di timone: per modificare la direzione di marcia i due operatori dovevano provvedere ad aumentare la resistenza all'avanzamento sul lato verso cui volevano accostare, protendendo in fuori braccia e gambe. Unico comando per la propulsione era la chiave della valvola di registro per aprire, chiudere o regolare l'afflusso dell'aria compressa dal serbatoio alla macchina. Un congegno di autodistruzione, costituito da una piccola carica con congegno ad ologeria, era sistemata nella sezione poppiera. Gli operatori potevano sedere a cavalcioni del semovente, uno dietro l'altro, ma in tale configurazione, quando in moto, l'apparecchio assumeva un assetto alquanto appoppato e il secondo uomo si trovava immerso sin quasi al collo. Per questa ragione, gli operatori preferivano farsi trascinare dal semovente stando in acqua sui due lati, trattenedosi ad apposite maniglie fissate al corpo centrale. Per il collegamento delle cariche al bersaglio era previsto un sistema a calamita o elettromagnetico, da cui il nome di "Mignatta", anche se nel corso dell'azione che portò all'affondamento della Viribus Unitis, la carica venne assicurata anche con uno spezzone di cima.

 

 Per l’impresa di Pola verrà decorato con la medaglia d’oro: Data e motivo del conferimento: 10- 11- 1918 M.P.S.

Portò geniale contributo nell’ideare un mirabile ordigno di guerra marittima.Volle a se riservato l’altissimo onore di impiegarlo e, con l’audacia dei forti,con un solo compagno, penetrò di notte nel munito porto di Pola. Con mirabile freddezza attese il momento propizio e verso l’alba affondò la nave ammiraglia della flotta austro-ungarica. Pola, 1° novembre 1918.

   
 

     

     
Finita la guerra col grado di Capitano Paolucci tornò alla vita civile iniziando una densa attività scientifica e una rapida carriera politica. Il Re lo nominò Conte di Valmaggiore. Libero Docente di Patologia Chirurgica nel 1924, egli fu chiamato il "chirurgo dei poveri" fin dal 1925, quando diresse l’Ospedale di Lanciano. Fu incaricato di Patologia Chirurgica all’Università di Bari dal 1926 al 1930, direttore della Clinica Chirurgica a Parma dal 1930 al 1932, a Bologna dal 1933 al 1938 e a Roma dal 1939 in poi come direttore dell’Istituto di Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Roma ”La Sapienza”. Nel frattempo era stato eletto deputato, carica che tenne fino al 1943 (fu anche Vice Presidente della Camera). Tornò ad indossare la divisa nel 1935, durante il conflitto italo-etiopico, quando fu richiamato alle armi alla direzione di una Ambulanza Speciale Chirurgica della C. R. I e promosso prima Colonnello Medico, per meriti speciali, il 18 giugno 1936 e poi, nello stesso anno, a Maggiore Generale Medico.
Sorsero allora come in seguito polemiche sul diverso trattamento dei due protagonisti, polemiche alimentate dalla appartenenza politica diametralmente opposta. L’ing. Rossetti, contrario a Mussolini, andò in esilio e da radio Barcellona svolse propaganda antifascista durante la guerra civile spagnola. Per questa “colpa” i fascisti gli tolsero abusivamente la medaglia d’oro. Il nome di Rossetti piano piano scomparve.
Al termine del II conflitto Paolucci tornò in parlamento (1953) come senatore del Partito Nazionale Monarchico, in rappresentanza dell’Abruzzo e Molise. Paolucci, pur dedicandosi completamente alla scienza non mancò di tener fede ai suoi impegni politici. Fu, infatti, il primo a battersi per una Università in Abruzzo. Si calcola che, complessivamente, secondo la stima di Fernando Galluppi, gli interventi chirurgici da lui eseguiti furono oltre trentamila. Nel campo medico fu il coraggioso iniziatore della chirurgia polmonare, pubblicò numerosi lavori scientifici oltre a diversi volumi di tecnica chirurgica. Si spense a Roma il 4 settembre 1958, nella sua casa in Via Torlonia, a seguito di un infarto del miocardio. Per sua volontà fu sepolto ad Orsogna nel Parco delle Rimembranze, dove riposa tuttora.
 

MAS 15-21

PREMESSA ALL’IMPRESA DI POLA    
Per la piega che aveva preso il conflitto a Carlo I d'Austria non restavano molte alternative. Il suo progetto di concedere la corona ad altre nazionalità, oltre la ungherese, si scontrava però con la frammentazione e l’esclusione comunque di molti. La vecchia idea della terza gamba dell’impero con gli slavi del Sud (includeva si Sloveni e Croati cattolici, ma anche Serbi ortodossi fino a prova contraria nemici tutt’ora in guerra) tralasciava gli italiani per ovvi motivi, ma anche cechi, polacchi, rumeni, bosniaci, galiziani, ruteni etc. Alla fine d’ottobre del ’18 (17 ?) Carlo (il pio) firma il proclama della trasformazione dell'impero in stato federale. Nello stesso proclama la parte navale (Ammiraglio Miklós Horthy), ora ricadente territorialmente sotto la Jugoslavia, veniva ceduta al Consiglio Nazionale degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi [definito poi stato degli …..] e composto da: Anton Korošec, Svetozar Pribičević e Ante Pavelić che nominava Janko Vuković (imbarcato sulla Viribus Unitis) Contrammiraglio e Comandante in Capo della marina del “Nuovo Stato” che nasceva misconosciuto alla comunità internazionale delegata a stabilire le modalità e le clausole del dopo conflitto (in parte già concordate all’atto delle alleanze come nel caso dell’Italia o escluse per quanto segrete stipulate fra gli altri e il nuovo soggetto entrato, gli Usa).
Delle rivendicazioni Jugoslave non potevamo dire noi e gli altri di non sapere nulla se Vittorio E. Orlando il 10/4/1918 così diceva "...la Jugoslavia rappresenta un interesse vitale per l'Italia. Noi ci impegneremo a fare guerra all'Austria in difesa dei popoli Sloveni, Croati e Bosniaci" (i serbi che avevano il loro regno li difendevamo già, in pratica noi difendevamo tutti ma non noi).…
In adriatico poi c’erano già stati ammutinamenti come quello di Cattaro filobolscevico. Il 31 ottobre arrivò alla base navale di Pola, il Comandante in Capo della marina austro-ungarica Horthy che passò le funzioni a Janko Vuković dalle 5 del pomeriggio dopo l'ultimo ammaina bandiera.
Nella seconda metà del 1918 il canale d’Otranto viene chiuso con un’opera colossale per il suo tempo, una rete minata con 1200 torpedini e lunga 66 chilometri, attivamente sorvegliata. Il 9 giugno la corazzata “Szent Istvàn” o Santo Stefano esce da Pola con la compagna “Tegetthoff” per un’azione di sfondamento dello sbarramento che non riuscirà. (Pochi mesi prima è stata silurata da un MAS anche la corazzata costiera “Wien” alla fonda nella rada tra Muggia e Trieste). All'altezza dell'Isola di Premuda, Rizzo e Aonzo, MAS 15 e 21, per una serie di coincidenze fortunate, incrociano infatti il convoglio. Le corazzate viaggiano al centro e per colpirle bisogna oltrepassare i cacciatorpedinieri, che viaggiano in formazione stretta. Scoperto dal Caccia Velebit, che mette i motori al massimo, Rizzo lancia il suo carico di morte e colpisce la Santo Stefano che affonda in breve.
 

La Marina Austriaca fino a quel momento disponeva di 4 Dreadnought - La Viribus Unitis corazzata della Classe Tegetthoff, varata nel 1914, la Tegetthoff stessa, la Szent Istvan (qui affondata) e la Prinz Eugen). Erano piccole ma moderne ed efficienti corazzate lunghe 153m; dislocamento 21600 tonnellate; velocità massima 20.5 nodi; dodici cannoni da 305mm, più dodici da 150mm e venti da 66mm; quattro lanciasiluri; equipaggio 1097 uomini.
Di 3 SEMI-DREADNOUGHTS: RADETZKY class, ERZHERZOG FRANZ FERDINAND, RADETZKY, ZRINYI, 14,500t, 20 knots, 4-30.5cm/8-24cm/20-10cm, 890 crew, 1910/11
E 6 PRE-DREADNOUGHT: HABSBURG class, ARPAD, BABENBERG, HABSBURG, 3 ships - 8,230t, 18 knots, 3-24cm/12-15cm, 625 crew, launched 1900-02
ERZHERZOG KARL class, ERZHERZOG FERDINAND MAX, ERZHERZOG FRIEDRICH, ERZHERZOG KARL, 3 ships - 10,500t, 19 knots, 4-24cm/12-19cm, 750 crew, launched 1903-05

     

S 2

     
Brani tratti e rielaborati da La Vittoria in Adriatico di Maffio Maffi    
L'IMPRESA  

- Parla  Rossetti: Mentre procedevamo lentamente in senso parallelo alla fila delle grandi navi per arrivare all'ammiraglia, ch'era l'ultima, si verifica un incidente che per poco non interrompe e compromette tutta l'operazione, rendendo inutili i nostri sforzi. Ci accorgiamo infatti che, senza una causa apparente, l'apparecchio affondava a poco a poco, specie nella parte poppiera, dov'io mi trovavo. Impressionato dalla constatazione, cerco di contrastare all'affondamento incrociando le gambe al di sotto della poppa, accelerando il moto delle eliche, aprendo la valvoletta destinata ad immettere aria nella camera d'assetto poppiero. Tutto è inutile. Si continua ad affondare. Dopo breve, ma affannosa ricerca, riscontro che la valvola d'allagamento della camera di poppa è aperta, nè so spiegarmi il perchè. Richiudo la valvola, rimetto aria nella camera d'assetto: ed ecco che finalmente il galleggiante ritorna nelle condizioni normali. Non esito a dichiarare che è stato questo, senza confronto, il momento più angoscioso ed emozionante di tutta la missione.  Navighiamo sempre lentamente, ma regolarmente, fino alle 4,30, quando ci troviamo in fondo alla formazione navale, esattamente di prora alla Viribus Unitis. Arresto il motore a cento metri dalla nave ammiraglia, mi porto all'estremità dell'apparecchio e metto in attivazione la prima arma , una torpedine a tempo a orologeria che la farà esplodere solo all'ora ed al minuto per cui l'avremo caricata. Il punto al quale mi sono avvicinato si trovava nell'intervallo fra il secondo e il terzo cannone da 150, a cominciare dalla poppa ; in corrispondenza al locale caldaie; posizione convenientissima per ottenere un sicuro effetto d'affondamento. Sono le 5 e a bordo c’è la sveglia. Ancora qualche minuto poi la bomba è sistemata e regolata sulle 6,30.  A 50 metri Paolucci attende con il siluro rimasto con una mignatta. Rimmettono in moto ma  il rumore o la schiuma li disvelano e si vedono puntare da un proiettore che fa da guida a una imbarcazione in arrivo. Liberano attivato il natante che va a percorrere la piccola darsena di Vergarola, ed affonda in prossimità del grosso piroscafo Wien che verrà poi trascinato dall’esplosione. Il motoscafo ci raggiunge, trascura l'apparecchio che s’allontana e ci raccoglie a bordo. Sono le 5.45. Veniamo riconosciuti come italiani ma noi fatichiamo a  riconoscere loro. Sui berretti dei presenti nuovi distintivi: iugoslavi. Domandiamo di parlare al comandante, per una comunicazione importante ed urgente. Sono le 6, quando veniamo ricevuti. Gli comunico che la nave corre un grave, immediato pericolo ma non specifico.

Il Comandante Rossetti e l’ufficiale medico Paolucci dopo mesi di allenamento sono i predestinati all’impresa. La sera del 31 ottobre, quando ancora non si ha certezza dell’imminente crollo degli austriaci, i due ufficiali lasciano Venezia a bordo di un cacciatorpediniere diretto verso Pola con il mas e il siluro “mignatta” adattato per l’impresa di sabotaggio alla flotta ancorata nel munitissimo porto di Pola. Ci han già provato con altri mezzi (il grillo in basso a destra), ma gli sbarramenti plurimi e la sorveglianza hanno mandato a monte le azioni. Il mas, che viene calato al largo con il siluro al traino, si avvia nella notte senza luna e sotto una dirompente pioggia verso l’imboccatura della baia. I due ufficiali indossano tute nere e quando sono a distanza di sicurezza si accomodano a cavallo del siluro per un buon tratto dirigendo la prua a mezza strada tra il fanale del posto di vedetta di Capo Compare e il fanale di Punta Cristo. Alle 22,30 raggiunsero l'ostruzione esterna che serve da protezione della diga Al primo sbarramento debbono scendere e con tecniche diverse si preparano a superare via via tutti gli altri ostacoli raddoppiati dopo l’ultima incursione.
Alle 23,15 i due ufficiali, che hanno con sè orologi a quadrante luminoso e seguono con calma esatta la successione delle manovre nel tempo, rimettono a marcia lenta il motore e si dirigono verso la fila interna delle ostruzioni, approfittando dei tratti sommersi. Mille occhi vigilano oltre alla normale attività notturna fatta di personale di vedette di bordo o battelli che rientrano od escono. Debbono mettere in azione, a tutta forza, il motore, a costo d'essere scoperti, per vincere la corrente, ritornare all'apertura della diga, avvicinarsi allo sbarramento galleggiante che la chiude. Accertatisi che questa barriera non è completata da reti subacquee, decidono di far passare l'apparecchio sotto l'ostruzione, mentre ambedue la traversano al di sopra. Finalmente sono nell'interno della baia, in acque libere, senza più ostacoli ! generali. Già distinguono, le prime grandi navi da battaglia alla fonda e le tre dreadnoughts. I portellini di murata delle cabine non sono oscurati. Sono enormi, mostruose, sono corazzate di piastre massicce, hanno a bordo più cannoni d'una fortezza, più munizioni d'un proiettificio, più mitragliere d'un reggimento e stanno in un covo formidabile. Se va male, ma male bene possono raggiungere la costa verso Parenzo a Fontane dove c’è una zona franca sconosciuta al nemico e utilizzata dagli italiani per lo spionaggio. Secondo il convenuto, una nostra motobarca avrebbe dovuto attenderli nelle notti dal 2 al 7 novembre
Pola

Ne segue un trambusto durante il quale in un fuggi fuggi generale i due si ritrovano in acqua apparentemente liberi. Vengono ripescati e questa volta nel dubbio che abbiano raccontato fandonie vengono minacciati di reclusione nelle stive profonde.  Ormai sono le 6,30 e la mignatta esplode. Questa volta li caricano su una imbarcazione e li portano a bordo dell'Habsburg . Nel chiudere il presente rapporto, sento il dovere di mettere in evidenza il contegno del dottor Paolucci. Ottimo per tutta l'impresa, ebbe particolare rilievo ed importanza nelle due esplorazioni compiute da solo, a nuoto, fin sotto il posto di vedetta della diga di Pola, e nei 40 minuti durante i quali dovette attendermi con l'apparecchio, mentre ero sotto il fianco della nave a collocare l'arma esplodente (uno dei cilindri).

The initially small Austrian submarine force was unable to play a role outside the Adriatic, and by early 1915 the Germans were sending U-boats into the Mediterranean, in part to attack the Allied fleet off the Dardanelles. As Italy had declared war on Austro-Hungary but not Germany, the German boats operated under the Austrian ensign and were temporarily commissioned into the Austrian Navy. Once Germany and Italy had gone to war in August 1916, German U-boats operated under their own flag.

la vicenda in Inglese http://www.worldwar1.com/sfvu.htm

IL RACCONTO DI RAFFAELE PAOLUCCI

« Quando l'ingegnere (Rossetti: erano molto formali fra di loro) mi lascia, sono le 4.50. Io debbo aspettarlo alla distanza di pochi metri, incrociando più al largo. Ma la corrente mi porta via, mi sospinge lontano, mi trascina in prossimità d'un'altra nave da guerra di piccole dimensioni, mi volta l'apparecchio. Faccio sforzi disperati per raddrizzarlo: non ci riesco. Sto per correre il rischio di andare a sbattere contro la nave, quando, con la forza dell'esasperazione, penso di tuffarmi sott'acqua : potrò così esercitare una maggior resistenza, tirando sulla prua con una corda. Dopo cinque minuti di tuffi e di brevi inspirazioni, riesco a dare una direzione conveniente all'apparecchio. Allora lo rimetto in moto e dirigo piano verso la Viribus Unitis.... Le 5.15. Sono dunque passati venticinque minuti da che l'ing. Rossetti s'è distaccato da me. Come mai non si vede ? E' stato forse sorpreso ? Forse è prigioniero, sulla corazzata ? No, perché in questa caso avrei scorto qualche lume, avrei inteso qualche voce, avrei dovuto notare un segno d'allarme... Invece, nulla. Avrà attaccato la torpedine, sarà ritornato e, non trovandomi, avrà pensato ch'io l'abbia abbandonato?. Oppure s'è sentito male ? Intanto, sulla nave ammiraglia, squilla la sveglia. Uomini vanno e vengono sulla coperta. Veggo la sentinella di guardia camminare sul barcarizzo, vale a dire nei pressi del punto in cui forse l'ingegnere lavora ancora... Io, all'oscuro, vedo; ma i marinai sono nella luce : non possono avvistarmi... Mentre filo contro il fianco della nave, ecco profilarsi sull'acqua la sagoma d'un fiasco che galleggia.

 
   

E' l'ingegnere ! Il mio cuore non ha mai sussultato per una gioia più grande. Ma l'alba si fa più chiara; l'alba e il desiderio di arrivare alla costa e darci presto alla campagna, ci fanno accelerare la corsa... All'improvviso, dalla coffa della « dreadnought », un riflettore c'illumina in pieno. « Siamo scoperti ! ». Grande, terribile, ci appare in quel momento l'impegno d'onore assunto verso il nostro Comando : « Distruggere l'apparecchio ad ogni costo ». E' un giuramento. E, mentre aspettiamo che una scarica di mitraglia ci colpisca, saldiamo il nostro debito d'onore: l'ingegnere apre le valvole d'immersione; io attivo la seconda torpedine e metto in moto l'apparecchio. Questo, camminando e sommergendosi, va in seguito ad arenarsi in un'insenatura lontana dov'è alla fonda insieme ad alcune vecchie navi da battaglia v’è il piroscafo Wien che colerà a picco poco dopo l'affondamento della Viribus Unitis…. Ci prendono e ci conducono a bordo. Ci spiegano che da poche ore l'Ammiraglio austroungarico è andato via, che quasi tutti i tedeschi, e gli ungheresi e i boemi e gl'italiani della Viribus Unitis partiranno nella giornata, che la flotta è stata ceduta alla Jugoslavia!.Viene svegliato il comandante Vukovic, ora capo della flotta. Noi siamo sorpresi per quanto abbiamo udito ed indecisi sul modo di comportarci. Sappiamo bene che non è in nostra facoltà mutar l'ordine ricevuto dal nostro Comando, né lo vorremmo ; ma nella nostra mente si fa strada la possibilità di risparmiare un gran numero di vite umane, confessando che la nave dovrà perire ; forse, dichiarando la verità, potremo salvarci anche noi. Decidiamo dunque d'avvertire il Comandante. — Viribus Unitis, si salvi chi può ! Gl'italiani hanno messo bombe nella nave ! Udiamo i tonfi dei corpi che si gettano in mare. Ascendiamo anche noi le scalette che conducono in coperta e ci gettiamo in mare. Ma, senza costume, al nuovo rigore dell'acqua gelida dove siamo già stati immersi per otto ore, con una gamba impegnata in un lembo del costume di cui non sono arrivato in tempo a sbarazzarmi, mi sento andar giù : sto per affogare e bevo acqua, quando l'ingegnere — che è ancora vestito — sopraggiunge, mi sostiene, mi aiuta e mi toglie dal capo l'elmetto di' acciaio che, nel trambusto, avevo dimenticato di togliere. ….. Mi getto per primo a nuoto verso il battello. Mentre sto per raggiungerlo, vedo un ciuffo di capelli a fior d'acqua. Lo tiro su : è un marinaio italiano, non ricordo se di Pisino o di Rovigno. Tento d'aggrapparmi all'imbarcazione, ma uno di quelli che v'è sopra grida agli altri che io non debbo montare a bordo. E fa per colpirmi sulle mani col remo. Io afferro il suo remo e mi ci attacco. Lui sta per prendere un altro remo, quando il marinaio italiano, salito sulla lancia, mi tende una mano. Intanto l'ingegnere ci raggiunge e s'imbarca con me sul battello. Ci voltiamo a guardare la tragica scena : nel chiarore livido dell'alba, la grande massa della Viribus Unitis si sbanda. Intorno al colosso agonizzante, urla ed imprecazioni ; un agitarsi d'uomini e di cose. Sulla nostra barca che s'allontana, il marinaio italiano, che ho poco fa tirato per i capelli, grida con voce rauca, straziante, fra i singhiozzi : Nave mia, nave mia bella ! . barchino per attacchi notturni Grillo, superava le cateneAlle 6.40, dov'era la nave ammiraglia, l'acqua, richiusasi sul suo cadavere (Vukovic salta all’ultimo minuto e viene trascinato nel gorgo), bolle in un risucchio spumoso. La lancia che ci ha raccolto ci sbarca sopra una banchina dalla quale,  seminudi e stillanti acqua,  veniamo condotti a bordo della Habsburg. Ho le mani e i piedi gelidi, il fegato che mi duole per la congestione prodotta dalla stasi sanguigna. Un marinaio, appena sceso a terra, mi dà un pugno nella regione epatica. Sto per svenire; ma mi sostiene la presenza dell'ingegner Rossetti che, a testa alta, fiero come un romano antico, cammina avanti, fulminando con gli occhi i marinai che vorrebbero tenerlo per le braccia. A bordo dell'Habsburg, un medico mi tocca il polso. Mi dice : « Fünfzig », cinquanta (battiti). Ordina che mi portino un caffè caldo. L'ingegnere, che sta meglio di me, viene in mio aiuto e fa un po' di massaggio alle mie gambe intirizzite. Una bevanda nera, che chiamano caffè, ed una sigaretta mi ristorano alquanto.

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I sommergibili tedeschi presenti nelle basi di Cattaro e di Pola sono intanto scomparsi. Una delle clausole dell’armistizio prevede che ciascuna unità della flotta austro-ungarica segnali per radio attraverso la stazione ultrapotente di Pola la propria posizione. Ma non arriva nessun segnale. Le navi sono ora cadute in mano a comitati costituiti fuori dal consiglio. Quando arrivano a  Pola in effetti gli italiani trovano la città nel caos. Al picco la bandiera bianca, rossa e blu e i forti occupati da slavi dei disciolti reggimenti. Il porto non ha mai visto tante navi di differenti bandiere occupanti tutti gli ancoraggi, i moli e le banchine. Molte navi vengono trovate anche a Sebenico, per lo più mercantili, una ventina, alla fonda nel lago Proclan, e nelle Bocche di Cattaro, dove si contano 31 navi militari, 6 sommergibili, 10 piroscafi. I monitori fluviali si raccolgono invece tutti a Budapest.

La città di Pola vive ore di grandissima tensione tra manifestazioni disordinate, rumorose e contraddittorie anche tra gruppi di militari congedati delle varie nazionalità che attendono il rimpatrio reso difficile dal fatto che esiste una sola linea ferroviaria. La sorte delle navi militari viene però decisa a Parigi nel 1919. Segue la spartizione tra l’Italia e la Francia mentre l’Inghilterra e gli Stati Uniti rinunciano anche per il fatto che prevale l’avviso di avviare alla demolizione specialmente le corazzate. Le due superstiti Dreadnought “Tegetthoff” e “Prinz Eugen” vengono assegnate per tale fine all’Italia e alla Francia. Al consiglio nazionale del nuovo stato slavo poi  regno SHS (Serbi Croati Sloveni) vanno 8 torpediniere d’alto mare (che nel 1942 passeranno sotto bandiera italiana), 4 torpediniere modificate, 4 navi ausiliarie e alcune unità portuali. L’ex imperatore Carlo I°, fallito ogni tentativo di salvare la corona abbandona l’Austria in ferrovia il 23 marzo 1919 per la Svizzera.