Speciale in Medioriente

ISRAELE E PALESTINA
le ragioni del conflitto,
le ragioni della pace

Lunga storia di un conflitto

Le vicende di una terra contesa, cuore di tre religioni

Scambi di accuse e scontri sanguinosi minacciano ancora una volta gli sforzi del processo di pace in Medio Oriente. Palestinesi e israeliani si accusano a vicenda per il nuovo ciclo di violenze seguite alla visita, il 28 settembre, del leader dell'opposizione israeliana Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee a Gerusalemme est.

Quel che può sembrare una questione minore a un esterno rappresenta ben di più a molti di quanti vivono in questa instabile regione. Affannati nella ricerca di una forma di coesistenza tra i due popoli, il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Ariel Sharon, risultato vincitore delle elezioni di febbraio, devono fare i conti non solo le attuali pressioni politiche ma anche la lunga storia del conflitto.

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Questo lungo conflitto affonda le sue radici ben prima che il leader sionista Ben Gurion dichiarasse l'indipendenza di Israele il 14 maggio 1948, dopo la decisione delle Nazioni Unite di dividere la Palestina di uno Stato arabo e in uno Stato ebraico

Per millenni, infatti, la regione che si stende tra il Giordano a Est, il mar Mediterraneo a Ovest, il Libano a Nord e il Sinai a Sud è stata infatti teatro di duri conflitti. Benché la regione fosse conosciuta con il nome di Palestina per duemila anni, nessuno di coloro che la governarono attraverso i secoli dopo i romani la considerò come una entità amministrativa separata.

Nella tradizione ebraica, il popolo di Israele discende dai patriarchi biblici: Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma le radici del conflitto attuale sono da ricercare nel movimento sionista che alla fine del XIX secolo cominciò a pensare di colonizzare una patria ebraica in Palestina, che sin dal 1516 faceva parte dell'Impero ottomano.

Negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale, i sionisti crearono decine di colonie in Palestina, in mezzo a una popolazione in gran parte araba e musulmana. Nello stesso tempo cominciava a emergere un nazionalismo arabo che si opponeva al dominio ottomano e molti leader arabi desideravano porre termine all'immigrazione ebraica e all'acquisizione di terra da parte degli ebrei.

Il mandato britannico

La lotta si intensificò alla fine della guerra quando l'occupazione militare britannica della Palestina fu trasformata in un mandato, successivamente ratificato dalla Lega delle Nazioni. Nei testi giuridici che diedero vita al mandato venne inclusa la cosiddetta Dichiarazione di Balfour, dal nome del ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour, che nel 1917 diede il proprio appoggio all'idea di un focolare ebraico in Palestina (ma non - precisava - a spese degli arabi palestinesi).

I britannici avevano anche promesso agli arabi che li avrebbero aiutati a creare propri Stati indipendenti, in cambio dell'appoggio ottenuto nella guerra contro i turchi. Nacque però un equivoco che avrebbe avuto pesanti conseguenze nei decenni avvenire: gli arabi pensavano che la Palestina sarebbe diventata uno di quegli Stati indipendenti. I britannici risposero che questo non era il loro intendimento, ma non dissero neppure che intendevano farla diventare uno Stato ebraico. Si limitarono a indicare la possibilità che il focolare ebraico esistesse all'interno della Palestina. Nel 1921 i britannici gettarono le fondamenta per uno stato arabo separato. Riservarono all'uso esclusivo degli arabi i territori a oriente del fiume Giordano - quella che allora si chiamava la Transgiordania, che rappresentava i tre quarti del territorio sottoposto al mandato - e ne assegnarono la guida alla famiglia hashemita. Nota ora con il nome di Giordania, la regione ottenne la piena indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1946. Negli anni Trenta le tensioni nel resto del mandato palestinese continuavano a mettere a dura prova la resistenza dei britannici che nel 1937 dichiararono la legge marziale. Nello stesso anno una commissione britannica suggerì che il resto della Palestina fosse diviso tra uno Stato arabo, uno ebraico e Gerusalemme che avrebbe dovuto restare sotto il dominio britannico. I sionisti accettarono la proposta, anche se controvoglia. Gli arabi invece la rifiutarono, temendo di essere cacciati a forza dal territorio dove avrebbe dovuto sorgere lo Stato ebraico. Con la Seconda guerra mondiale che si profilava all'orizzonte, il governo di Londra capì che doveva guadagnarsi le simpatie arabe e mise da parte la proposta. Dopo la guerra i sopravvissuti dell'Olocausto e altri profughi ebrei si riversarono in Palestina e l'idea della suddivisione fu ripresa, questa volta dalle Nazioni Unite. Nel novembre 1946 l'Onu votò in favore della fine del mandato britannico e per la divisione della Palestina in uno Stato arabo e in uno ebraico, con Gerusalemme dichiarata città internazionale.

Nonostante tutto

Gli ebrei in Palestina e altrove accettarono la divisione prontamente. La reazione dei loro vicini arabi fu negativa. Cercando di evitare la creazione di qualsiasi entità ebraica nella regione rifiutarono la proposta e, in quella che sarebbe diventata solo la prima di una lunga serie di guerre, gli eserciti di Libano, Siria, Giordania, Egitto e Iraq invasero il nuovo Paese con l'intento dichiarato di distruggerlo. Nonostante tutto, però, gli israeliani resistettero e a luglio del 1949 avevano respinto l'invasione, erano entrati nelle Nazioni Unite ed erano stati riconosciuti da 50 Paesi. Una serie di armistizi con Egitto, Giordania, Siria e Libano, sottoscritti nel 1949, Israele stabilì confini simili a quelli della Palestina sotto il mandato britannico. La Giordania manteneva il controllo della Cisgiordania e della parte orientale di Gerusalemme. Le guerre successive furono scatenate volta a volta da una o dall'altra parte: Israele nel 1956 e nel 1982, gli arabi nel 1973. Ma la guerra più drammatica fu quella del 1967, detta dei Sei giorni. In risposta a quelli che riteneva i preparativi di un attacco da parte di Egitto, Siria e Giordania, Israele lanciò un attacco preventivo contro tutti e tre i suoi vicini, ottenendo incredibili vittorie su tutti e tre i fronti e conquistando alla fine il Sinai dall'Egitto, Gerusalemme Est e la Cisgiordania dalla Giordania, le alture del Golan dalla Siria.

Il processo di pace

Nel 1979, Israele restituì il Sinai all'Egitto in seguito a un trattato di pace che mise formalmente fine allo stato di guerra in atto tra i due Paesi per trent'anni. In cambio l'Egitto riconobbe il diritto all'esistenza di Israele. Nel 1993 Israele e i palestinesi si accordarono per il reciproco riconoscimento e per un limitato autogoverno palestinese. L'accordo prevedeva anche trattative per arrivare a un trattato permanente che risolvesse il problema della Cisgiordania e di Gaza. Per questi accordi Yitzhak Rabin, Shimon Peres e Yasser Arafat ottennero nel 1994 il premio Nobel per la pace. Le trattative attuali tra israeliani e palestinesi si basano, per l'appunto, sugli accordi del 1993. Nel 1994 fu firmato un trattato di pace tra Israele e la Giordania, con il quale il regno hashemita ottenne il controllo die luoghi santi musulmani a Gerusalemme. Re Hussein di Giordania aveva già rinunciato alla sovranità sulla Cisgiordania in favore dei palestinesi. Oltre ai palestinesi, solo la Siria tra i vicini di Israele deve ancora raggiungere un accordo. Su quel fronte i problemi riguardano le alture del Golan e l'accesso al Lago di Tiberiade.

L'eredità di Rabin

Un problema per Ehud Barak durante il negoziato e' stato il ricordo del suo predecessore Yitzhak Rabin che ha pagato con la morte, per mano di un estremista israeliano di destra, la sua volontà di riconciliazione. Era stato infatti Rabin, primo ministro tra il 1974 e il 1977, poi ancora tra il 1992 e il 1995, che cominciò a ritirare le truppe dal Libano del sud, firmò il trattato di pace con la Giordania e si mostrò disposto a intavolare una discussione con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat. Una serie di rivolte palestinesi a partire dal 1987 aveva convinto Rabin che l'occupazione di Gaza e della Cisgiordania non era nell'interesse israeliano a lungo termine. L'elezione di Ariel Sharon ha ora modificato il quadro politico. Il governo isareliano sente la pressione della maggioranza dell'opinione pubblica israeliana, che e' contraria a concessioni eccessive ai palestinesi. La linea politica moderata di Sharon è - se paragonata a quella di Barak - piu' in sintonia con quella di un altro premier, Benjamin Netanyahu. Netanyahu è stato primo ministro dal 1996 al 1999, quando perse le elezioni. La sua posizione inflessibile non era riuscita a far muovere in avanti il processo di pace e aveva indotto il presidente siriano Hafez Assad a bloccare le trattative con gli israeliani nel 1996.

I particolari della trattativa

Le trattative più recenti - prima a Camp David, ora a Taba - hanno avuto lo scopo di fare un salto in avanti rispetto all'ultimo accordo, raggiunto da Netanyahu e da Arafat nel 1998 a Wye, nel Maryland, con la mediazione di Bill Clinton e di re Hussein di Giordania. In quella sede i palestinesi accettarono di cancellare dalla loro Carta nazionale le espressioni che parlavano della distruzione dello Stato di Israele, mentre gli israeliani accettarono di cedere un altro 13 per cento della Cisgiordania ai palestinesi. Ma i dettagli più importanti e più difficili erano rimasti da risolvere: la definizione dei nuovi confini tra Israele e il futuro stato palestinese, lo status di Gerusalemme, il problema dei profughi palestinesi che hanno abbandonato Israele nel '48 e l'accesso alle limitate risorse idriche della regione. Barak e Arafat sono stati entrambi sottoposti a forti pressioni interne per non fare concessioni alla controparte su questi punti: ma è proprio dal compromesso sui punti più caldi che dovrà emergere un assetto stabile per la regione.

A un lato del tavolo negoziale siede il sempreverde Arafat, che è riuscito a sopravvivere a tutto: dagli attentati, agli incidenti aerei. Egli è anche riuscito a sopravvivere alla maggior parte dei suoi coetanei: re Hussein di Giordania, il presidente siriano Assad o Anwar Sadat, il presidente egiziano assassinato nel 1981 per essere stato il primo leader arabo a far la pace con Israele. Sul lato opposto non siede il militare israeliano più decorato, Barak, eletto a capo del governo nel maggio del 1999 ma poi sconfitto nel febbraio del 2001. Al suo psoto c'e' Ariel Sharon, leader della destra israeliana, anche egli ex militare, che subito ha promesso che "Gerusalemme non verra' mai ceduta" e che "il negoziato di pace ripartira' solo quando i palestinesi avranno rinunciato all'uso della violenza"... ora stiamo vedendo i frutti del suo "integralismo".

 

Indice
Introduzione Storia
La pace dal basso Nodi del conflitto e proposte di pace
Il ritorno dei profughi palestinesi Curiosità
Cronologia Sharon il boia