Speciale in Medioriente
ISRAELE
E
PALESTINA
le
ragioni
del
conflitto,
le
ragioni
della
pace
Il
ritorno
dei
profughi
palestinesi:
posizioni
contro,
posizioni
a
favore
La
parte
palestinese
chiede
l'applicazione
della
risoluzione
194
adottata
dall’Assemblea
Generale
delle
Nazioni
Unite
l’11
dicembre
1948
che
prevede
indennizzi
per
i
profughi
palestinesi
del
1948
o
il
loro
diritto
al
ritorno
nei
luoghi
dove
risiedevano:
a
ogni
profugo
va
garantito
di
poter
scegliere
se
vuole
o
non
vuole
vivere
all'interno
dei
confini
d'Israele.
La
risoluzione,
al
paragrafo
11,
afferma
il
diritto
dei
profughi
palestinesi
a
ritornare
alle
loro
originali
residenze
e
paesi
dai
quali
furono
allontanati
durante
la
guerra.
Il
paragrafo
2
istituisce
presso
le
Nazioni
Unite
la
Commissione
di
Conciliazione
per
la
Palestina
–
UNCCP,
con
sede
a
Gerusalemme
-
per
l’implementazione
del
Diritto
al
Ritorno.
Questo
compito
doveva
essere
eseguito
dall’UNPRP
–
United
Nations
Relief
for
Palestine
Refugees,
ossia
Ente
di
Assistenza
dell’ONU
per
i
Profughi
Palestinesi,
sostituito
qualche
mese
dopo
dall’UNRWA.
L’atto
di
ammissione
di
Israele
a
membro
delle
Nazioni
Uniti
(Risoluzione
n°
273
dell’Assemblea
Generale,
11
Maggio
1949)
segue
di
qualche
mese
la
risoluzione
194
del
1948
e
impegnava
Israele
all’adempimento
della
Carta
dell’ONU
e
delle
sue
risoluzioni.
Da
allora,
la
risoluzione
194
è
stata
riaffermata
più
di
cento
volte
dall’Assemblea
Generale.
Tale
Risoluzione
è
stata
inclusa
in
risoluzioni
successive
quali
la
513
(1952),
2452
(1968)
e
2963
(1972)
ed
in
delibere
dell’Assemblea
Generale
sul
problema
dei
profughi,
ripreso
anche
dalla
Risoluzione
n°
3236
del
1974,
considerata
da
alcuni
la
"carta
dei
diritti
fondamentali
del
popolo
palestinese".
Contro:
"La
pretesa
impossibile
del
ritorno
in
Israele"
(Dall'editoriale
del
Jerusalem
Post
del
24
dicembre
2000)
Anche
se
venissero
risolte
tutte
le
questioni
territoriali
tra
israeliani
e
palestinesi,
compresa
la
sovranità
su
Gerusalemme
est,
la
questione
dei
profughi
resterebbe
quella
decisiva.
(…)
questa
infatti
è
l'unica
sulla
quale
un
cedimento
da
parte
israeliana
comporterebbe
la
distruzione
dello
stesso
Stato
d'Israele.
(...)
Fra
i
tanti
motivi,
ne
citiamo
solo
quattro.
Primo:
la
pretesa
palestinese
è
in
totale
contraddizione
con
l'intero
quadro
del
processo
di
pace,
che
si
fonda
sulla
supposta
accettazione
da
parte
araba
e
palestinese
della
spartizione
della
terra.
L'obiettivo
è
quello
di
creare
due
stati
per
due
popoli,
la
cui
futura
stabilità
si
basi
sulla
stabilità
degli
accordi
internazionali
e
sul
fatto
che
le
due
parti
si
dichiarino
soddisfatte
da
questi
accordi.
La
pretesa
palestinese
di
tenere
aperto
il
tema
del
"ritorno"
costituisce
una
ricetta
di
sicura
conflittualità.
E
appare
ancora
meno
credibile
se
si
pensa
che
gli
stessi
palestinesi
pretendono
la
rimozione
di
tutti
gli
ebrei
che
vivono
nelle
terre
del
futuro
Stato
palestinese
proprio
perché
ritengono
che
questa
presenza
costituirebbe
un
motivo
di
frizione
e
di
conflitto
che
minerebbe
la
stabilità
degli
accordi
di
pace.
Secondo
motivo,
forse
il
più
ovvio:
l'immigrazione
di
milioni
di
palestinesi
all'interno
di
Israele
altererebbe
irrimediabilmente
l'equilibrio
demografico
del
paese
al
punto
da
cancellarne
la
sua
stessa
natura
e
ragion
d'essere.
E
d'altra
parte
è
evidente
che
questo
è
proprio
l'obiettivo
a
cui
mirano
coloro
che
sostengono
la
proposta.
Terzo
motivo,
forse
il
più
importante:
i
palestinesi
che
entrerebbero
sarebbero
per
lo
più
proprio
quelli
che
si
oppongono
con
maggior
veemenza
all'esistenza
stessa
dello
Stato
d'Israele.
Tra
loro
vi
sarebbe
il
fior
fiore
di
quei
gruppi
palestinesi
che
già
in
questo
preciso
momento
ricorrono
attivamente
alla
violenza,
compreso
l'assassinio
di
cittadini
israeliani.
Tutto
fa
pensare
che
la
situazione
ipoteticamente
creata
dal
"ritorno"
non
farebbe
che
aumentare
violenze
e
spargimenti
di
sangue
fino
a
livelli
mai
visti
dal
1948
a
oggi.
Quarto
motivo:
i
palestinesi
non
hanno
nessuna
intenzione
di
fare
concessioni
per
compensare
una
così
grande
concessione
da
parte
israeliana.
In
effetti
la
pretesa
di
un
"ritorno"
all'interno
di
Israele
appare
ancora
più
grottesca
se
si
pensa
che
va
di
pari
passo
con
la
pretesa
che
Israele
si
ritiri
fino
all'ultimo
centimetro
entro
le
linee
del
1967,
compresa
la
divisione
di
Gerusalemme
est.
(...)
Se
i
palestinesi
vogliono
proprio
demolire
ogni
possibilità
di
soluzione
negoziata
insistendo
su
tutti
questi
punti,
nessuno
potrà
poi
sorprendersi
delle
conseguenze.
Questo
discorso
è
talmente
ovvio
che
non
dovrebbe
nemmeno
essere
necessario
ripeterlo.
(…)
Naturalmente
esistono
delle
soluzioni
ragionevoli,
se
Arafat
e
i
palestinesi
sono
disposti
ad
accettarle.
C'è
il
diritto
al
ritorno
nel
futuro
Stato
palestinese,
parallelo
alla
Legge
del
Ritorno
in
vigore
per
gli
ebrei
in
Israele.
Si
può
discutere
di
indennizzi
e
risarcimenti
economici,
in
conformità
alla
risoluzione
ONU.
Infine
si
può
anche
parlare
del
rientro
simbolico
di
un
limitato
numero
di
palestinesi,
nel
quadro
di
un
programma
di
ricongiungimenti
famigliari.
Ma
non
si
dovrebbe
coltivare
nessuna
illusione
che
si
possa
andare
oltre
queste
soluzioni.
A
favore:
"Il
Diritto
al
ritorno"(13
dicembre
2000
-
Dichiarazione
congiunta
delle
Iniziative
Palestinesi
per
il
Diritto
al
Ritorno
in
Libano,
Siria,
Giordania,
Palestina,
Canada-USA,
Londra
-
in
occasione
del
52imo
anniversario
della
Risoluzione
n°
194
(11
dicembre
1948)
della
Assemblea
Generale
delle
Nazioni
Unite.
Traduzione:
Susanne
Scheidt)
(…)
E’
un
paradosso,
quasi
un’ironia
della
sorte,
che
Israele
–
costituita
grazie
ad
una
delle
Risoluzioni
delle
Nazioni
Unite
–
abbia
rifiutato
l’implementazione
di
tutte
le
risoluzioni
emanate
dalla
medesima
Istanza
Internazionale,
soprattutto
la
Risoluzione
n°
194
adottata
52
anni
fa.
In
occasione
del
presente
anniversario
noi
ribadiamo:
Il diritto del popolo palestinese a fare ritorno alla sua patria ed a rientrare nei suoi sacrosanti diritti storici, basati sui principi di giustizia, validi ancora prima della loro codificazione nell’ambito del Diritto Internazionale. Pertanto ribadiamo che il nostro diritto al ritorno è basato non soltanto sulla Risoluzione ONU n° 194, ma anche sul nostro diritto storico sulla Palestina. In questo senso, il nostro diritto inalienabile non è negoziabile e non può essere soggetto a sondaggi d’opinione. Pertanto, qualsiasi invito sospetto alla collocazione dei profughi altrove, alla loro migrazione, il loro assorbimento e perfino inviti a stabilire compensazioni in alternativa al loro ritorno, si pongono in contraddizione con questo diritto storico.
I diritti dei profughi sono indivisibili. Questo principio è espresso nel quadro normativo internazionale dei diritti nazionali dei Palestinesi da un lato, come anche nell’unità del paese e dei suoi popoli nella Palestina occupata prima del 1948, nella West Bank e nella Striscia di Gaza nonché nelle diaspore vicine e distanti. Rifiutiamo perciò tassativamente qualsiasi formula di divisione di questa causa.
Qualsiasi formula che fosse adoperata nel tentativo di liquidare il ruolo del UNRWA – o riducendo gradualmente le sue prestazioni oppure trasferendole ad eventuali donatori od alle stesse Autorità Palestinesi, incontrerà la nostra più ferma opposizione. Ciò in considerazione del fatto che l’UNRWA sia espressione della responsabilità morale, legale e politica della Comunità Internazionale per avere creato il problema dei profughi palestinesi, come anche della responsabilità internazionale per tradurre in realtà l’implementazione del diritto dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case ed al rientro nelle loro proprietà di cui furono espropriati nel 1948. (…)
Considerando che il paragrafo (ID) della Convenzione di Ginevra del 1951 e il paragrafo 7 dello Statuto dell’Alta Commissione dell’ONU per i Profughi (UNHCR) siano spesso stati interpretati in senso da escludere profughi palestinesi dal programma di protezione internazionale messo a disposizione di altri profughi del mondo e considerando che il mandato del UNRWA non si estenda ad includere la protezione politica e legale garantita dalla Convenzione e dal UNHCR ad altri profughi nel mondo, noi chiediamo alla Comunità Internazionale di garantire e rendere accessibile al popolo palestinese, una protezione internazionale, temporanea, basata sulla legge internazionale riguardante i profughi e ciò senza pregiudicare in alcun modo il ruolo del UNRWA ed il suo mandato.
L’urgenza di questa richiesta così come la nostra insistenza su di essa, è messa in evidenza dalle circostanze dell’attuale Intifada e dalla politica di repressione cruenta applicata dall’apparato militare israeliano a danno del popolo palestinese disarmato.
(…) Lavoriamo insieme per costruire nell'esilio l’Intifada del Ritorno e in Palestina l’Intifada Al Aqsa, in tutta la Palestina, un’Intifada che finirà per vedere l’implementazione dei diritti nazionali del popolo palestinese, in primo luogo il diritto al ritorno ed il diritto all’autodeterminazione.
Indice | |
Introduzione | Storia |
La pace dal basso | Nodi del conflitto e proposte di pace |
Il ritorno dei profughi palestinesi | Curiosità |
Cronologia | Sharon il boia |