KARL POPPER

TESTO:
"La critica dell’induzione e il metodo della falsificazione"
da Logica dello scoperta scientifica,

da da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p. 945 sgg

PREMESSA
Il pensiero di Popper si caratterizza per una costante polemica contro l’induttivismo. È proprio partendo dal riconoscimento dell’impossibilità di realizzare il sogno degli induttivisti, di provare la verità delle proposizioni universali - quali sono le leggi scientifiche - usando l’esperienza, che Popper concepisce un disegno alternativo: quello di caratterizzare la scienza come sapere critico, come sapere che si mette in discussione costantemente attraverso controlli severi, tentativi di falsificazione. In base a questo disegno le proposizioni scientifiche saranno quelle proposizioni che si lasciano falsificare empiricamente. Questo nuovo criterio salva le leggi di natura, poiché gli asserti universali non sono empiricamente verificabili, ma sono empiricamente falsificabili: è sufficiente infatti un solo asserto singolare per falsificare un asserto universale (basta un cigno nero per falsificare la legge ‘tutti i cigni sono bianchi").
Il criterio di scientificità popperiano salva anche il carattere empirico della scienza, poiché in definitiva spetta all’esperienza stabilire la falsità di un asserto universale.

TESTO
Secondo un punto di vista largamente accettato - a cui mi opporrò in questo libro - le scienze empiriche possono essere caratterizzate dal fatto di usare i cosiddetti "metodi induttivi". Stando a questo punto di vista la logica della scoperta scientifica sarebbe identica alla logica induttiva, cioè all’analisi logica di questi metodi induttivi.
Si è soliti dire che un’inferenza è "induttiva" quando procede da asserzioni singolari (qualche volta chiamate anche asserzioni "particolari") quali i resoconti dei risultati di osservazioni o di esperimenti, ad asserzioni universali, quali ipotesi o teorie (1).
Ora, da un punto di vista logico, è tutt’altro che ovvio che si sia giustificati nell’inferire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime; infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni sono bianchi.
La questione, se le inferenze induttive siano giustificate, o in quali condizionilo siano, è nota come il problema dell’induzione.
Il problema dell’induzione può anche essere formulato come il problema del modo per stabilire la verità di asserzioni universali basate sull’esperienza, come le ipotesi e i sistemi di teorie delle scienze empiriche. Molti, infatti, credono che la verità di queste asserzioni universali sia "nota per esperienza"; tuttavia è chiaro, in primo luogo, che il resoconto di un’esperienza - di un’osservazione, o del risultato di un esperimento - può essere soltanto un’asserzione singolare e non un’asserzione universale. Di conseguenza, chi dice che conosciamo la verità di un’asserzione universale per mezzo dell’esperienza, intende di solito che la verità di quest’asserzione universale può essere ridotta in qualche modo alla verità di asserzioni singolari e che la verità di queste asserzioni singolari è nota per esperienza; ciò equivale a dire che l’asserzione universale è basata sull’inferenza induttiva. Dunque, chiedere se ci siano leggi naturali la cui verità è nota sembra soltanto un altro modo per chiedere se le inferenze induttive siano giustificate logicamente. Tuttavia, se vogliamo trovare un modo per giustificare le inferenze induttive, dobbiamo prima di tutto tentare di stabilire un principio di induzione. Un principio d’induzione sarebbe un’asserzione con l’aiuto della quale fosse possibile mettere le inferenze induttive in una forma logicamente accettabile. [….]
Ora, questo principio di induzione non può essere una verità puramente logica, come una tautologia o un’asserzione analitica. In realtà, se esistesse qualcosa come un principio d’induzione puramente logico non ci sarebbe alcun problema dell’induzione, perché in questo caso tutte le inferenze induttive dovrebbero essere considerate come trasformazioni puramente logiche o tautologiche, proprio come le inferenze della logica deduttiva. Dunque il principio d’induzione dev’essere un’asserzione sintetica, cioè un’asserzione la cui negazione non è autocontraddittoria ma logicamente possibile. Sorge così la questione: perché un tale principio debba essere senz’altro accettato, e come sia possibile giustificare la sua accettazione su basi razionali. Alcuni di coloro che credono nella logica induttiva sono ansiosi di mettere in evidenza, con Reichenbach, che "il principio d’induzione è accettato senza riserve da tutta quanta la scienza, e che anche nella vita di ogni giorno nessuno può metterlo seriamente in dubbio". Tuttavia, anche supponendo che ciò fosse vero - perché, dopo tutto, "tutta quanta la scienza" potrebbe sbagliare - io sosterrei ancora che il principio d’induzione è superfluo. e che non può non condurre a contraddizioni logiche. Già dall’opera di Hume si sarebbe dovuto vedere chiaramente che in relazione al principio d’induzione possono facilmente sorgere contraddizioni; e si sarebbe anche dovuto vedere che esse possonovenire evitate, ammesso che lo possano, soltanto con difficoltà. Infatti il principio d’induzione dev’essere a sua volta un’asserzione universale. Dunque, se tentiamo di considerare la sua verità come nota per esperienza, risorgono esattamente gli stessi problemi che hanno dato occasione alla sua introduzione. Per giustificarlo, dovremmo impiegare inferenze induttive; e per giustificare queste ultime dovremmo assumere un principio-induttivo di ordine superiore, e così via. In tal modo il tentativo di basare il principio d’induzione sull’esperienza fallisce, perché conduce necessariamente a un regresso infinito.
Kant tentò di forzare la via d’uscita da questa difficoltà assumendo che il principio d’induzione (che egli formulò come "principio di causazione universale") fosse "valido a priori". Ma io non credo che il suo ingegnoso tentativo di fornire una giustificazione a priori dei giudizi sintetici abbia avuto successo.
Per conto mio, ritengo che le varie difficoltà della logica induttiva qui delineate siano insormontabili. Così pure, temo, sono insormontabili quelle inerenti alla dottrina, oggi tanto di moda, che l’inferenza induttiva, pur non essendo "rigorosamente valida", possa raggiungere qualche grado di "credibilità" o di "probabilità". Secondo questa dottrina le inferenze induttive sono "inferenze probabili" (2). […]
Infatti, se alle asserzioni basate sull’inferenza induttiva si deve assegnare un certo grado di probabilità, questo dovrà essere giustificato invocando un nuovo principio d’induzione opportunamente modificato, e questo principio dovrà essere esso stesso giustificato, e così via. Per di più, se a sua volta si considera il principio d’induzione non come "vero", ma soltanto come "probabile", non si guadagna proprio nulla. In breve, come ogni altra forma di logica induttiva, la logica dell’inferenza probabile, o "logica della probabilità", conduce o a un regresso infinito o alla dottrina dell’apriorismo. [….]
Il criterio di demarcazione inerente alla logica induttiva - cioè il dogma positivistico del significato - è equivalente alla richiesta che tutte le asserzioni della scienza empirica (ovvero tutte le asserzioni "significanti") debbano essere passibili di una decisione conclusiva riguardo la loro verità e falsità; diremo che devono essere "decidibili in modo conclusivo". Ciò significa che la loro forma dev’essere tale che sia il verificarle sia il falsificarle debbano essere logicamente possibili. Così Schlick dice: ".. un’asserzione autentica deve essere passibile di verificazione conclusiva"; e Waismann afferma ancor più chiaramente: "Se non è in alcun modo possibile determinate se un’asserzione è vera, allora l’asserzione non ha alcun significato. Infatti il significato di un’asserzione è il metodo della sua verificazione" (3).
Ora, secondo me, non esiste nulla di simile all’induzione. E pertanto logicamente inammissibile l’inferenza da asserzioni singolari "verificate dall’esperienza" (qualunque cosa ciò possa significare) a teorie. Dunque le teorie non sono mai verificabili empiricamente. Se vogliamo evitare l’errore positivistico, consistente nell’eliminare per mezzo del nostro criterio di demarcazione i sistemi di teorie delle scienze della natura, dobbiamo scegliere un criterio che ci consenta di ammettere, nel dominio della scienza empirica, anche asserzioni che non possono essere verificate.
Ma io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verivificabilità, ma la falsificahilitù di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di esser scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza (4).
(Così l’asserzione "Domani qui pioverà o non pioverà" non sarà considerata un’asserzione empirica, semplicemente perché non può essere confutata, mentre l’asserzione "Qui domani pioverà" sarà considerata empirica). [….]La mia proposta si basa su un’asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono mai essere derivate da asserzioni singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni singolari. Di conseguenza è possibile, per mezzo di inferenze puramente deduttive (con l’aiuto del modus tollens della logica classica), concludere dalla verità di asserzioni singolari alla falsità delle asserzioni universali (5). Un tale ragionamento. che conclude alla falsità di asserzioni universali, è il solo tipo di inferenza strettamente deduttiva che proceda, per così dire, nella "direzione induttiva"; cioè da asserzioni singolari ad asserzioni universali.
da K. Popper, Logica dello scoperta scientifica, Einaudi. Torino 1981

NOTE

1 - Un’asserzione singolare è una affermazione che riguarda un evento o un numero finito di eventi ( "questo cigno è bianco", "questi cinque cigni sono bianchi") mentre un asserzione universale riguarda un insieme infinito di eventi ( "tutti i cigni sono bianchi"). Le leggi di natura hanno la forma di asserti universali, vogliono esprimere regolarità che valgono in ogni punto dello spazio e in ogni istante di tempo. Il problema di fondo della filosofia della scienza è quello di giustificare la validità di proposizioni universali attraverso l’esperienza.

2 - Popper si riferisce qui alla proposta del neopositivista Hans Reichenhach di considerare le procedure induttive non come un metodo per dimostrare la verità di un asserto universale (cosa ritenuta impossibile), ma come un metodo per far aumentare la sua credibilità o la sua probabilità di esser vero. Anche Reichenbach è comunque costretto ad assumere un principio di induzione modificato per poter sostenere che ogni nuova evidenza empirica favorevole fa aumentare il grado di probabilità di esser vero dell’asserto universale.

3 - Schlick e Waismann, come abbiamo visto, sono due degli esponenti più significativi del movimento neoposilivista (vedi PROFILO STORICO L’empirismo logico), il quale aveva proposto di distinguere la "scienza dalla metafisica caratterizzando la scienza come l’insieme delle proposizioni verificabili empiricamente. L’obiezione di Popper è che ira base al criterio di verificazione empirica, le leggi di natura andrebbero considerate in quanto non verificabili empiricamente.

4 - Va notato che mentre i neopositivisti intendevano il loro criterio di verificazione empirica come un criterio di significati delle proposizioni (una proposizione non verificabile empiricamente è da considerarsi priva di significato). Popper concepisce il criterio di falsificabilità come un criterio di demarcazione tra scienza e non scienza, mentre ammette l’esistenza di proposizioni non falsificabili, ma perfettamente significanti.

5 - Secondo la logica classica, quando da una proposizione A ne deduciamo un’altra B e B risulta falsa per qualche motivo (per esempio è in contrasto con l’osservazione empirica), allora anche A è da ritenersi falsa. Questo è quel che si intende per modus tollens: la falsità delle proposizioni dedotte si trasmette alle premesse. Questo schema logico è alla base della procedura dei controlli popperiana: da una proposizione universale (e da opportune condizioni iniziali cioè proposizioni che specificano a quali circostanze la proposizione universale si applica) si deduce una proposizione singolare; se questa proposizione singolare dedotta risulta falsificata dall’esperienza, cioè risulta vera l’asserzione singolare contraria, allora si può dire falsificata anche proposizione universale.

K. Popper: Il pensiero
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