La complessa posizione filosofica di Karl Popper, che ha spaziato dalle problematiche scientifiche a quelle socio-politiche, trova il proprio nucleo originario in una riflessione sulla natura della verità scientifica.
In questo capitolo analizzeremo la posizione di Popper in filosofia della scienza; per quanto riguarda le sue riflessioni in campo storico e socio-politico rimandiamo invece all'Unità 7, intitolata "La storia ha un senso?", della Sezione quarta PROBLEMI E DISCUSSIONI, dove la riflessio-ne popperiana verrà utilmente messa a confronto con alcune riflessioni del Novecento.
Nel 1919 il giovane Popper si trovò a confrontarsi con alcune teorie scientifiche, allora al centro di grandi dibattiti, le quali manifestavano caratteri radicalmente opposti se considerate dal punto di vista dei loro rapporti con la nozione di verità scientifica: si trattava della teoria marxista della storia, della psicoanalisi, della psicologia individuale e della teoria della relatività di Einstein. Le prime tre teorie, pur tanto differenti tra loro per metodi e contenuti, apparvero a Popper formare un solo blocco, contrapposto alla teoria einsteiniana: esse erano, sorprendentemente, sempre vere. La loro grande forza, il loro straordinario potere di attrazione consisteva principalmente nella loro apparente capacità di spiegare qualsiasi questione, in particolare quelle che, a prima vista, sem-bravano le più imbarazzanti.
L'incessante flusso di conferme, di osservazioni atte a verificare queste teorie, investiva anche quegli eventi che potevano essere intesi come altrettante smentite; anzi le teorie parevano in grado di spiegare addirittura sia un da-to evento sia il suo opposto. Per esempio, la teoria freu-diana - osserva Popper - spiega senza difficoltà tanto il
comportamento di un uomo che spinge un bambino nel-l'acqua per affogarlo, quanto quello di un uomo che sacrifica la propria vita nel tentativo di salvare il fanciullo. Nel primo caso, secondo Freud, si dovrà dire che l'aspirante assassino soffre di qualche tipo di repressione (dovuta a un non risolto complesso di Edipo), mentre il comportamento eroico del secondo individuo andrà spiegato come sublimazione delle pulsioni aggressive.
Considerazioni analoghe si possono fare sul marxismo e sulla psicologia individuale di Adler. Queste teorie, dunque, saranno sempre verificate, qualsiasi cosa accada; sono onniesplicative, non suscettibili di smentita; sono organizzate in modo da sfuggire al rischio della falsificazione. Di segno completamente opposto parve invece a Popper l'atteggiamento assunto da Einstein nei confronti della verità della propria teoria. Assistendo a una sua conferenza a Vienna nel 1919, Popper rimase impressionato dalla "chiara affermazione di Einstein che avrebbe considerato la sua teoria insostenibile ove avesse dovuto fallire in certe prove [...]. Qui c'era un atteggiamento completamente differente dall'atteggiamento dogmatico di Marx, Freud, Adler, e da quello ancor più dogmatico dei loro seguaci. Einstein era alla ricerca di esperienze cruciali, il cui accordo con le sue predizioni avrebbe senz'altro corroborato la sua teoria; mentre un disaccordo, come fu egli stesso a ribadire, avrebbe dimostrato che la sua teoria era insostenibile. Sentivo che era questo il vero atteggiamento scientifico.
Era completamente differente dall'atteggiamento dogmatico che continuamente affermava di trovare verificazioni delle sue teorie preferite". Nacque così il nucleo di tutta la successiva riflessione popperiana.
Nato a Vienna nel 1902, da una famiglia di origine ebrea, studia filosofia, matematica e fisica, interessandosi anche di musica e di psicoanalisi. Conosce in gioventù una breve infatuazione per il socialismo, ma se ne distacca ben presto orientandosi verso il liberalismo. Si laurea in filosofia nel 1928, discutendo una tesi con lo psicologo Karl BLihler. Nel 1934-35 pubblica la sua opera fondamentale, Logica della scoperta scientifica. All'avvento del nazismo emigra in Nuova Zelanda, dove trascorre gli anni della seconda guerra mondiale scrivendo Miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici, opere di carattere ideologico-politico, pubblicate entrambe nel 1945. A partire dal 1946 si trasferisce in Inghilterra e insegna alla London School of Economics, della quale di-venta professore emerito. Affermatosi tra i maggiori filosofi della scienza del nostro secolo, è insignito di varie onorificenze: membro della Royal Society, è nominato baronetto nel 1965. Muore a Londra nel 1994.
Oltre alla Logica (cui si è andato aggiungendo, in anni recenti, un voluminoso Poscritto) e alle opere già citate, ha pubblicato Congetture e confutazioni (1963) e Conoscenza oggettiva (1972), dove espone in forma saggistica i risultati più avanzati della propria riflessione epistemologica.
In collaborazione con il neurofisiologo J.C. Eccles ha scritto L'io e il suo cervello (1977).
Una via d'accesso particolarmente stimolante per accostarne il pensiero è offerta dalla sua Autobiografia (La ricerca non ha fine, Armando Editore, Roma 1976). Una monografia particolarmente accessibile è quella di D. Antiseri, Karl R. Popper: epistemologia e società aperta, Armando Editore, Roma 1972. Più impegnativi i volumi di C. Montaleone, Filosofia e politica in Popper, Guida, Napoli 1979, e M. Pera, Popper e la scienza sulle palafitte, Laterza, Bari 1982.
Secondo Popper l'atteggiamento scientifico consiste nell'atteggiamento critico che non va in cerca di verificazioni, bensì di prove cruciali che potrebbero confutare la teoria sotto esame. Compito dello scienziato non ètrasformare le proprie idee in verità dimostrate, ma con-siderarle come ipotesi, come congetture sempre falsifieabili, cioè considerate valide fino a quando non vengono smentite; il suo impegno deve dunque dirigersi verso la falsificazione più che verso la verificazione e la difesa delle teorie. L'intuizione giovanile di Popper trovò una prima compiuta elaborazione nel celebre saggio Logica della scoperta scientifica (1934). Questo libro fu scritto in polemica con il neopositivismo, che in quegli anni conosceva un grande successo di cui Popper ciiticava alcuni capisaldi dottrinali (vedi TESTI, Unità 29 - testo 4).
LA CRITICA ALL'INDUTTIVISMO
Il primo bersaglio polemico di Popper è la fiducia dei neopositivisti, e di una grande tradizione filosofica a essi precedente, di poter caratterizzare le scienze empiriche mediante l'uso di "metodi induttivi". In termini generali si può definire "induttiva" una procedura che consenta di passare da asserzioni singolari, che descrivono un singolo evento, quali possono essere i resoconti di osservazioni, ad asserzioni universali, che pretendono di stabilire leggi valide per un numero infinito di eventi, quali ipotesi o teorie. Per i neopositivisti l'induzione è la via che consente di stabilire empiricamente la verità della scienza; se non fosse possibile alcun principio d'induzione crollerebbe l'idea di verità scientifica e "la scienza non avrebbe più il diritto di distinguere le sue teorie dalle creazioni fantastiche e arbitrarie della mente del poeta" (Reichenbach). Per Popper, invece, "l'induzione non esiste".
Non è logicamente giustificato inferire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime; infatti qualsiasi conclusione ottenuta in questo modo può sempre rivelarsi falsa, come illustra con grande efficacia l'esempio del "tacchino induttivista" di Bertrand Russell. Fin dal primo giorno di permanenza nel suo nuovo allevamento il tacchino aveva osservato che alle nove del mattino gli veniva portato il cibo. Da buon induttivista non trasse precipitose conclusioni dalle prime osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Finalmente la sua coscienza induttivista fu soddisfatta e il tacchino elaborò allora un'inferenza induttiva che dalle asserzioni singolari relative alle sue vicende alimentari lo fece passare a un'asserzione universale, una legge, che suonava così: "Ogni giorno, alle ore nove, mi danno il cibo". Purtroppo per il tacchino e per l'induttivismo la conclusione fu clamorosamente smentita la mattina della vigilia di Natale!
Non è dunque possibile provare la verità di asserzioni universali mediante la verità di proposizioni singolari.
L'impossibilità di individuare un "principio d'induzione" fondante
Le sorti dell'induttivismo non possono essere salvate neppure ammettendo, come garanzia per le inferenze induttive, un "principio d'induzione", un'asserzione con l'aiuto della quale sia possibile mettere le inferenze induttive in una forma logicamente accettabile. Che natura potrebbe avere infatti un principio di tal genere? Se esso fosse una verità puramente logica, come una tautologia, allora tutte le inferenze induttive dovrebbero essere considerate come trasformazioni puramente logiche e tautologiche, proprio come le inferenze della logica deduttiva, e dunque non ci sarebbe alcun problema dell'induzione, ma questo nessuno sarebbe disposto ad ammetterlo. Se il principio fosse una verità empirica si sarebbe solo spostata la difficoltà senza risolverla; infatti il principio d'induzione deve essere a sua volta un'asserzione universale e per giustificarlo dovremmo impiegare inferenze induttive, le quali, a loro volta, andrebbero giustificate da un principio d'induzione di ordine superiore e così via in un regresso infinito.
La scienza come l'insieme delle proposizioni falsificabili
Una volta ammessa l'inesistenza di procedure induttive che consentano di stabilire la verità di ipotesi e teorie mediante l'impiego di proposizioni empiriche, che descrivono eventi singoli, va lasciata cadere la pretesa di poter attribuire alle affermazioni scientifiche una verità stabilita una volta per tutte tramite il ricorso all'esperienza. La scienza non è verificabile empiricamente ed è da respingere la proposta neopositivista di distinguere la scienza dalla metafisica caratterizzando la prima come l'insieme delle asserzioni empiric-mente verificabili. Tuttavia, il collegamento tra teoria ed esperienza, che si perde con il rifiuto dell'induttivismo, può essere recuperato adottando la prospettiva falsificazionista. Vi è un'asimmetria tra la verifica e la falsificazione di asserzioni universali: mentre esse non sono verificabili da un numero comunque grande di asserzioni singolari, è sufficiente una sola asserzione singolare per falsificarle. Mentre un controllo su popolazioni comunque numerose di cigni bianchi non potrà mai provare la verità della legge "tutti i cigni sono bianchi", basterà l'osservazione di un solo cigno nero per dimostrarla falsa. Se la verifica empirica è impossibile, la falsificazione tramite l'esperienza è possibile. Popper propone dunque di caratterizzare la scienza come l'insieme delle proposizioni falsiflcahili.
La necessità di mettere alla prova le teorie scientifiche
Questo mutamento di prospettiva comporta conseguenze rilevanti, tali da mutare la stessa immagine filosofica del "buon scienziato", che non può più essere visto come l'induttivista che parte dai fatti per dimostrare la verità del-le teorie. Il nuovo criterio è, a parere di Popper, meglio aderente all'effettiva pratica scientifica. Gli scienziati, in realtà, non partono mai dai fatti per arrivare alle teorie, come pretendono gli induttivisti; essi partono da problemi, che cercano di risolvere proponendo delle spiegazioni ipotetiche, le quali andranno poi sottoposte alla critica logica e al vaglio dell'esperienza. Mettere alla prova un'ipotesi significa dedurre da essa delle conseguenze e vedere poi come queste si rapportano all'insieme delle proposizioni già accettate e, soprattutto, considerare quale rapporto hanno con l'esperienza. Ogni proposizione dedotta dalla teoria che sia sottoponibile a un controllo empirico è da considerarsi un falsificatore potenziale della teoria stessa, in quanto se l'esperienza stabilirà la sua falsità allora dovrà considerarsi falsificata anche la teoria. Lo scienziato critico si distingue da quello dogmatico in quanto va alla ricerca di quelle conseguenze della teoria che sembrano avere la più alta probabilità di risultare false. E troppo comodo, infatti, trovare conferme della teoria in esame andando a effettuare prove sulle conseguenze deduttive che appaiono dotate di un alto grado di probabilità di essere vere (volendo, conferme di questo genere si possono sempre trovare per qualsiasi teoria, anche la più bizzarra); più scomodo, ma molto più produttivo, è effettuare i controlli più severi possibili, tentare di falsificare le proprie congetture attaccandole là dove esse appaiono più deboli, cioè in quei punti in cui le deduzioni sono più inaspettate e più sorprendenti ma, proprio per questi caratteri, anche più probabilmente sbagliate. Lo scienziato critico ha un atteggiamento severo verso le proprie idee, cerca di falsificarle in maniera inequivoca, invece di tenerle al riparo da ogni pericolo raccogliendo facili gratificazioni in successi empirici dall'esito scontato.
LA CONCEZIONE CONGETTURALE DELLA SCIENZA
Quando una teoria è stata falsificata tramite la falsificazione empirica di una delle sue conseguenze si dovrà abbandonarla per sostituirla con un'altra ardita congettura, la quale, a sua volta, dovrà essere sottoposta ai controlli più severi possibili fino a che non verrà falsificata e così via. La storia della scienza si presenta dunque, dal punto di vista falsificazionista, come una serie ininterrotta di congetture e di falsificazioni, che esclude ogni possibilità di dimostrare vera un'ipotesi. Le congetture sono condannate a rimanere sempre tali, fino al momento in cui non saranno dimostrate false. L'insieme di teorie che in un dato momento storico sono accolte dalla comunità scientifica, ciò che solitamente si chiama la "verità" della scienza, non è altro chi l'insieme di quelle teorie che sino a quel momento hanno resistito ai controlli severi, ai tentativi di falsificazione, ma nulla ci assicura che esse continueranno a resistere agli assalti della critica. L'ideale di scientificità sostenuto di tanta filosofia, da Cartesio fino all'induttivismo neopositivista, che aspirava a fare della scienza una forma di conoscenza certa, appare condannato senza remissione: la scienza non è il mondo delle verità certe, ma quello delle ipotesi falsificabili. Il sapere scientifico è inesorabilmente incerto, provvisorio, sempre sull'orlo della smentita sperimentale. La verità non è dimostrabile, non esiste alcun criterio per riconoscere la verità.
La problematicità del metodo di falsificazione
Di fronte a questa conclusione si sarebbe tentati di consolarsi osservando che, se non è possibile verificare un'ipotesi, almeno è possibile dimostrarne la falsità; se l'esperienza non ci può dire come è fatto il mondo, almeno ci può inviare segnali chiari su come il mondo non è. Tuttavia la perdita della certezza non riguarda solo le procedure di verifica; essa investe anche quelle della falsificazione. E vero che, dal punto di vista logico, basta una sola osservazione (un cigno nero) per falsificare una proposizione universale (tutti i cigni sono bianchi), ma per poter applicare lo schema logico con sicurezza occorre avere un'osservazione sicura. Se, come avevano insegnato i convenzionalisti, il risultato di ogni esperimento è sempre dipendente da presupposti teorici, se non esiste quell'affidabile mondo di fatti in cui riponevano la loro fiducia gli induttivisti, se le evidenze empiriche sono sempre problematiche, cariche a loro volta di ipoteticità, allora non solo non è possibile verificare un'ipotesi attraverso l'esperienza, ma non è neppure possibile falsificarla senza far intervenire altre ipotesi. Per Popper la falsificazione di una teoria avviene per mezzo di un responso sperimentale, allorquando una proposizione dedotta dalla teoria entra in contraddizione con una proposizione che descrive un'esperienza. Ma se non esistono proposizioni che descrivono un'esperienza (soprattutto un'esperienza rilevante dal punto di vista scientifico) senza far ricorso a ipotesi (per esempio quelle circa le leggi di funzionamento degli strumenti impiegati, come aveva insegnato Duhem), allora anche le procedure di falsificazione non sono mai conclusive, dipendono sempre da ipotesi, non sono certe. Oltre che la verità, neppure la falsità di un'ipotesi può ritenersi certa.
L'accordo tra i ricercatori come metro di valutazione delle teorie
A parere di Popper questa difficoltà non può essere superata andando alla ricerca disperata di proposizioni empiriche certe, che non esistono; d'altra parte se non ci fosse un insieme di proposizioni, di asserzioni attorno all'esperienza, che abbiano un qualche grado di saldezza, che formino un punto fermo oltre il quale la discussione non deve andare, allora il processo di controllo empirico di una teoria non avrebbe mai fine. E vero che dal punto di vi-sta della logica non vi può essere motivo per negare la possibilità di discute-re qualsiasi asserzione empirica, e dunque, a rigore, le procedure di control-lo, la falsificazione di una teoria, sono un processo infinito; tuttavia, in un dato momento storico gli scienziati si possono trovare d'accordo nel non discutere più su certe asserzioni, possono decidere di ritenerle certe, e di usarle quindi come mezzi di controllo per le ipotesi. La falsificazione di un'ipotesi è possibile solo a patto di accettare per convenzione un dato insieme di asserti che parlano dell'esperienza in qualità di asserti (momentaneamente) non ipotetici. "Ci arrestiamo ad asserzioni sulla cui accettazione o sul cui rifiuto i vari ricercatori possono mettersi facilmente d'accordo. E se non si mettono d'accordo andranno avanti nei controlli o li ricominceranno da capo. Se neanche questo porta a un risultato possiamo dire che le asserzioni in questione non potevano essere controllate intersoggettivamente o che, dopo tutto, non stavamo trattando con eventi osservabili. Se un giorno gli osservatori scientifici non potessero più mettersi d'accordo sulle asserzioni-base, ciò significherebbe un fallimento del linguaggio come mezzo di comunicazione uni-verale. Questo equivarrebbe a una nuova "Babele delle lingue": la ricerca scientifica sarebbe ridotta all'assurdo. In questa nuova Babele il maestoso edificio della scienza sarebbe ben presto ridotto in rovina."
Il carattere fallibile dell'intera impresa scientifica
Solo mediante un accordo tra i ricercatori su certe asserzioni circa l'esperienza è dunque possibile sottoporre a controllo le nostre ipotesi. Senza quell'accordo la scienza sarebbe impresa impossibile; quello stesso accordo, trovato in un dato momento storico, è tuttavia sempre rivedibile, non ha cioè i caratteri dell'assolutezza e dell'eternità che i vecchi positivisti attribuivano ai "fatti". La base empirica della scienza, l'insieme di asserti sull'esperienza che una data comunità di scienziati ha accolto unanimemente (o quasi) non è garantita per sempre, anzi è destinata a essere rivista, a mutare con il progredire delle ricerche, è una base perennemente incerta e in mutamento. "La base empirica delle scienze - scrive Popper - non posa su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura." (vedi TESTI, Unità 29 - testo 5).
Secondo il modello del primo falsificazionismo, la storia della scienza si presenta come una serie ininterrotta di congetture e di confutazioni di queste congetture, una linea punteggiata da "cadaveri", che termina con "moribondi", un susseguirsi di falsità dimostrate e di falsità sospettate. Secondo questa prospettiva era difficile pensare a una nozione di progresso scientifico inteso come "progresso nella conoscenza della verità", anche se Popper aveva parlato comunque di progresso in varie altre accezioni (aumento di contenuto empirico, maggior potere di spiegazione e di previsione, aumento della severità dei controlli ecc.). Con la messa a punto della teoria della verosimiiitudine Popper può ora parlare di progresso anche in senso forte, sostenendo che, poiché la scienza procede scegliendo teorie con gradi di verosimilitudine crescenti, si può affermare (naturalmente sempre in via ipotetica) che il progresso scientifico è soprattutto un accrescimento conoscitivo: "Accettiamo dunque la convinzione che compito della scienza è la ricerca della verit, cioè di teorie vere. [...] Siamo convinti che la razionalità di una teoria risiede nel fatto che la scegliamo in quanto è migliore di quella che l'ha pre-ceduta; perché può essre sottoposta a controlli più severi e, se abbiamo fortuna, può anche superarli, e dunque si accosta forse maggiormente alla verità".
Ammettendo l'idea di un progresso nella conoscenza sorgono tuttavia nel quadro dell'impostazione popperiana nuove questioni, sollevate soprattutto dalle obiezioni mosse a Popper dai sostenitori della tesi olistica e del convenzionalismo.
L'importanza delle teorie falsificate
Per esempio, se consideriamo semplicemente come delle falsità le teorie che, dopo aver resistito magari nei secoli, sono state alla fine falsificate da un qualche esperimento, risulta difficile comprendere come sia possibile assegnare loro una funzione positiva nella crescita della conoscenza, come sia possibile cioè che delle ipotesi false abbiano potuto, in un dato momento storico, rappresentare un passo di avvicinamento verso la verità oggettiva. Con la teoria della verosimilitudine questa difficoltà trova risposta. Supponiamo che la teoria t2 abbia in un dato momento soppiantato la teoria rivale t1, superando dei controlli che t1 non è invece riuscita a superare. Supponiamo poi che t2 sia falsificata da qualche esperimento. Secondo la teoria della verosimiglianza, anche dopo una confutazione di t2 possiamo ancora affermare che essa è migliore di t1, giacché, anche se entrambe sono state mostrate false, il fatto che t2 abbia sostenuto dei controlli non superati da ti può costituire una valida indicazione che il contenuto di falsità di t1, ma non il suo contenuto di verità, supera quello di t2. "Possiamo dunque ancora preferire t2, anche dopo la sua falsificazione, poiché abbiamo motivo di pensare che concordi coi fatti meglio di t1."
Le obiezioni al falsificazionismo
Una seconda questione che diventa rilevante accettando l'idea di progresso conoscitivo è legata alla tesi sostenuta per la prima volta da Duhem (vedi PROFILO STORICO Episteniologia e critica della scienza) e ripresa nel dopoguerra dal logico Quine: ogni controllo empirico mette alla prova non una singola ipotesi, ma tutto un corpo di teorie (per esempio quelle implicate nella spiegazione del funzionamento degli apparecchi impiegati nell'esperimento); dunque se l'esperimento risulta falsificare certe previsioni, siamo liberi di attribuire la responsabilità della falsificazione a una qualsiasi parte del complesso di teorie che è entrato in gioco. Al limite, se un esperimento è estremamente complesso e viene compiuto con sofisticate apparecchiature il cui funzionamento dipende da un vasto insieme di teorie avanzate, si potrebbe dire che esso mette alla prova tendenzialmente l'intera scienza; ma allora, se questo esperimento dà risultati contrari alle aspettative, si potrebbe concludere che vi è qualcosa di sbagliato nella nostra scienza, che la scienza intera è stata falsificata, e che dunque è necessario cambiame qualche pezzo, più o meno rilevante, più o meno fondamentale.
Nulla tuttavia ci può fornire indicazioni circa quale pezzo particolare di scienza sia da sottoporre a revisione. Di fronte a un'esperienza falsificante ognuno è libero di rigettare questa o quella teoria, o anche più teorie, o rifare la scienza da cima a fondo. Questa tesi secondo cui la scienza si confronta con l'esperienza come un tutto unico (tesi olistica) è evidentemente un fortissimo argomento contro l'idea di falsificazione come criterio di demarcazione tra asserti scientifici e non scientifici.
Come giustificare il progresso conoscitivo?
Se, a rigore, solo l'intera scienza può essere falsificata, che senso ha sostenere, con Popper, che una congettura è da ritenersi scientifica se risulta falsificabile? La tesi olistica nega che si possa falsificare una singola ipotesi (e nella sua forma più forte nega anche che si possa falsìfìcare una singola teoria); dunque svuota di senso il programma falsificazionista che identifica le proposizioni scientifiche con quelle falsificabili. Nei suoi lavori precedenti la guerra Popper aveva semplicemente ignorato questa obiezione, ma nel dopoguerra, quando la tesi di Duhem fu ripresa da Quine, essa divenne un potente e ben noto argomento contro il falsificazionismo. Questa stessa tesi diventava ancor più pericolosa una volta ammessa l'idea di progresso conoscitivo. Infatti la tesi olistica porta ad ammettere come perfettamente plausibile un processo della scienza in cui ogni affermazione, anche quella più solida e garantita, può essere messa sotto accusa e venire respinta a seguito di un qualche responso negativo dell'esperienza; ogni teoria è perennernente in bilico sull'orlo del precipizio, nel quale può improvvisamente cadere a seguito della libera scelta di un qualche ricercatore particolarmente amante delle novità. E non vi sarebbe da stupirsi nel vedere abbandonati interi gruppi di teorie, al limite tutta la scienza di un dato momento storico. Come è possibile dunque poter parlare di progresso conoscitivo a proposito di un simile mondo di idee sempre sull'orlo della catastrofe possibile, ove niente è stabile, nulla è solido, tutto appare in pericolo, chiunque può gettar dubbi su qualunque teoria?
La "conoscenza di sfondo" come base del lavoro scientifico
A entrambe queste difficoltà (se vale la teoria olistica, come si può falsificare un'ipotesi? come è possibile giustificare l'idea di progresso conoscitivo?) Popper ha cercato di rispondere per mezzo della nozione di conoscenza di sfondo. Quando discutiamo di un problema, per esempio il risultato inaspettato di un'esperienza, sostiene Popper, accettiamo sempre (anche solo provvisoriamente) elementi di ogni genere in maniera non-problematica, come elementi garantiti: essi costituiscono, provvisoriamente, e relativamente alla discussione di questo particolare problema, una conoscenza di sfondo non-problematica. Ogni elemento di quest'ultima può essere messo in forse nel corso della discussione: a rigor di logica nessuno di essi è fuori pericolo poiché, va ricordato ancora una volta, non è possibile dimostrare la verità di nessun asserto. Tuttavia la maggior parte della vasta conoscenza di sfondo che usiamo resta necessariamente fuori discussione per ragioni pratiche: senza ammettere nulla di garantito (provvisoriamente), rimettendo in discussione tutto, la discussione razionale, la critica, non sarebbero possibili. "L'erroneo tentativo di mettere in discussione tutta la conoscenza di sfondo - il tentativo cioè di partire da zero - può portare facilmente alla sospensione del dibattito critico (se partissimo da dove ha cominciato Adamo, non vedo alcun motivo per cui dovremmo progredire più di quanto fu possibile a lui)." Ogni pezzo di scienza, ogni presupposto scientifico che, in un dato momento storico, è accettato come non-problematico e inserito nella conoscenza di sfondo, può essere criticato e rigettato; in questo ha ragione la tesi olistica. Tuttavia è impossibile mettere in discussione tutti i presupposti in una volta, pena la scomparsa di ogni possibilità di continuare il dibattito razionale.
Se noi ammettiamo dunque che esista un insieme di teorie e di congetture scientifiche da considerarsi (provvisoriamente) non-problematiche, perché hanno superato controlli molto severi, se decidiamo di non criticare (provvisoriamente) queste teorie e queste congetture inserendole nella conoscenza di sfondo, allora la tesi olistica perde molta della sua forza e diventa possibile mettere alla prova alcune particolari ipotesi senza dover necessariamente mettere in discussione l'intera scienza a causa di un responso imprevisto. Diventa anche più facile ammettere l'idea di un progresso conoscitivo in un modello di scienza in cui esiste un corpo di conoscenze da ritenersi (provvisoriamente) non-problematico, dunque sufficientemente stabile per consentire la discussione e la soluzione di problemi in modo tale da condurre all'adozione di nuove teorie che non comportano la messa in crisi di gran parte (o di tutta) la scienza in precedenza accettata.
Continuità e discontinuità nella scienza
La nozione di conoscenza di sfondo conferisce così al procedere della scienza un elemento di continuità che il primo falsificazionismo non poteva garantire: il modello "congetture falsificazioni" del primo Popper suggeriva un processo storico fatto di continue fratture, di continue rivoluzioni, mentre l'idea di conoscenza di sfondo (come quella correlata di progresso conoscitivo) recupera un nucleo stabile, una permanenza che accompagna ogni mutamento, anche se stabilità e permanenza sono, ovviamente, solo provvisorie. Proprio sul rapporto tra continuità e discontinuità nella storia della scienza avverranno le discussioni più importanti tra coloro che si confronteranno criticamente con Popper e la sua eredità culturale.