Karl Marx
(da Cioffi e altri, I libri di diàlogos , vol. E, cit, p.64 sgg.)
Gli scritti giovanili
Centralità di filosofia e mondo nel pensiero di Marx
Il rapporto tra la filosofia e il mondo, tra la comprensione della realtà e la sua trasformazione, è al centro dell’opera di Marx. La filosofia è per lui esercizio di un compito critico nei confronti dell’esistente e delle contraddizioni in esso presenti, e insieme fondazione di una prassi rivolta a incidere sulla realtà, modificandola. Questo filo conduttore è rintracciabile sin dai primi lavori di Marx: la tesi di laurea, dove la filosofia di Epicuro è giudicata superiore a quella di Democrito perché, grazie all’elemento del clinamen (la deviazione degli atomi dalla linea retta), riesce a fondare, sul piano della natura, il momento dell’autocoscienza individuale che afferma la propria libertà attraverso la negazione dell’esistente; le corrispondenze giornalistiche per la "Gazzetta renana", foglio di orientamento liberale sostenuto dalla borghesia riformatrice renana, dove Marx conduce battaglie contro la censura e in favore del principio di libertà, che egli considera universale prerogativa della natura razionale dell’uomo.
II confronto con la filosofia del diritto di Hegel
La prima opera di grande respiro di Marx è la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in cui egli si confronta con Hegel a partire dall’analisi dei paragrafi 261-303 della Filosofia del diritto.
La sostanza della critica marxiana è la seguente: Hegel fallisce nello spiegare la natura dello stato, le sue interne articolazioni, il suo rapporto con la società civile, perché intende tale spiegazione come una deduzione delle realtà particolari da un principio assoluto, dall’Idea. Hegel opera secondo un’inversione di soggetto e predicato: egli "trasforma l’Idea in soggetto" e fa dei soggetti reali (la famiglia, la società civile, lo stato) "momenti obiettivi dell’Idea", articolazioni necessarie e risultato del suo sviluppo. Egli non fornisce categorie di indagine di una realtà determinata, ma riempie di contenuti determinati le categorie della sua logica.
L’inversione di soggetto e predicato, di essere e pensiero, come dispositivo fondamentale della speculazione hegeliana era già stato individuato con chiarezza da Feuerbach. Marx sviluppa ora questa critica in due direzioni: da un lato, questa inversione concettuale preclude la possibilità di una comprensione della realtà, che non viene indagata, ma "volatilizzata in astratti pensieri". Per questo aspetto, la costruzione hegeliana risulta vuota di contenuto, non potendo gettare alcun ponte fra il mondo ideale delle astrazioni, da cui pane, e quello concreto delle particolarità, che pretende di dedurre.
D’altro lato, la dottrina hegeliana dello stato assume al suo interno la realtà empirica dello stato moderno senza indagine, né spiegazione, né critica: Hegel mette capo a un "empirismo acritico" che considera e legittima come "razionale", come universale e necessario, l’esistente così com’è. In questo modo, tutte le istituzioni dello stato prussiano, anche quelle di natura chiaramente feudale, sono giustificate razionalmente e "sacralizzate" in questo inevitabile rovesciamento "dell’empiria in speculazione e della speculazione in empiria".
L’età moderna e la separazione fra bourgeois e citoyen
Osserva dunque Marx che "non è da biasimare Hegel perché descrive l’essere dello stato moderno tal quale è, ma perché spaccia ciò che è come l’essenza dello Stato", Al centro dello stato moderno sta la separazione fra il bourgeois e il citoyen, fra l’individuo in quanto portatore di interessi privati e l’individuo in quanto membro di una comunità politica. Questa separazione è un prodotto specifico del mondo moderno, con l’autonomizzarsi della sfera sociale e di quella politica, mentre nel Medioevo vi era piuttosto identità fra le due sfere. A giudizio di Marx, Hegel ha giustamente interpretato questa separazione come opposizione fra la società civile la sfera della "persona concreta, la quale è a sé come fine particolare" e la totalità della sfera statuale; ha però individuato il momento della mediazione ditale opposizione negli ordini o "stati" (Stànde), che per un verso organizzano gli interessi privati, per l’altro partecipano al potere politico-istituzionale, e in particolare nella "classe universale" della burocrazia, cui è affidato il potere esecutivo. Una mediazione che si rifà a istituti ereditati dalla società feudale e che Marx giudica illusoria, dal momento che tramite essa il privato non diviene politico, ma piuttosto gli interessi privati si trasferiscono nella sfera politica, la cui universalità risulta infine del tutto formale.
Marx ricava da questa analisi una prospettiva di lavoro teorico: il lavoro filosofico di comprensione della realtà non dovrà partire dall’ "Idea", ma dal soggetto reale, dall’uomo e da ciò che ne definisce l’essenza, la sua "qualità sociale", per studiarne dice Marx feuerbachianamente le oggettivazioni, ovvero le produzioni storico-sociali.
Dalla critica del Cielo alla critica della Terra
Giunto a Parigi nell’ottobre 1843, Marx collabora agli "Annali franco-tedeschi", in cui "cuore francese" e "testa tedesca" (l’immagine è di Feuerbach) dovevano collaborare in una battaglia politica democratico-radicale. Nell’unico fascicolo della rivista che vide la luce (marzo 1844), Marx pubblicò due brevi ma importanti articoli, la Questione ebraica e l’introduzione a Per la critica della filosofia hegeliana del diritto. Nel primo, Marx critica Bauer, che riteneva l’antagonismo fra ebrei e cristiani superabile attraverso un’integrale laicizzazione dello stato, tale da rendere inoperante e non significativa ogni differenza di credo religioso. Marx obietta che il superamento della natura confessionali dello stato non comporta di per sé il superamento dell’alienazione religiosa: lo dimostrano, per esempio, le colonie del Nord America, in cui i due elementi convivono perfettamente. Più in generale, la posizione di Marx è che l’emancipazione politica non produce di per sé l’emancipazione umana. Certamente, nella democrazia politica ogni uomo "vale come sovrano, come essere supremo": ma di quale uomo si tratta? Dell’uomo dice Marx con Rousseau "come si è guastato, perduto, alienato attraverso l’intera organizzazione della nostra società"; insomma, dell’uomo della società civile come "guerra di tutti contro tutti". Gli stessi "diritti dell’uomo e del cittadino", pietra di fondazione del moderno stato liberale e della Rivoluzione francese, soùo in realtà nient’altro che i diritti dell’uomo "egoistico, chiuso in sé e nel proprio interesse privato", che trova "nell’altro uomo non l’attuazione, bensì il limite della propria libertà".
Una vera emancipazione dell’uomo osserva Marx nel secondo degli scritti indicati non può dunque avvenire nella sola sfera politica né limitarsi, come voleva Feuerbach, alla liberazione dall’alienazione religiosa, poiché quest’ultima non è che una conseguenza dell’alienazione nella società e nello stato. La filosofia deve rivolgere dunque la sua critica smascherante al mondo, la critica del Cielo deve trasformarsi in critica della Terra, in vista di una trasformazione pratica della realtà, con "l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti in cui l’uomo è un essere umiliato, assoggettato, abbandonato, spregevole". Un compito che non può essere assolto da una teoria che si proponga, illuministicamente, un ideale di "rischiaramento" a opera del ceto intellettuale, ma che richiede il rapporto con forze storiche concrete: "L’arma della critica non può sostituire la critica delle anni; la potenza materiale dev’essere abbattuta da potenza materiale; però anche la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse".
C’è un interlocutore per questo progetto teorico-pratico: il proletariato, "una classe gravata di catene radicali", una classe che "rappresenta la totale perdita dell’uomo e può quindi ritrovare se stessa col totale riscatto dell’uomo", cioè emancipando l’intera società. Il proletariato è il "cuore" dell’emancipazione umana, mentre la filosofia ne è il "cervello": "come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali - afferma Marx - così il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali".
II programma dei Manoscritti.
Una volta constatata l’insufficienza dell’emancipazione politica, e quindi anche di una teoria che si limiti a una critica delle forme politiche dello stato moderno, si apre per Marx il compito di un’analisi economico-sociale, nonché di un confronto con le elaborazioni del pensiero socialista e comunista. E quanto Marx inizia a fare attraverso la lettura degli economisti classici e dei socialisti francesi. Primo risultato di questo lavoro sono alcuni quaderni, compilati tra il marzo e il settembre del 1844, ma pubblicati soltanto nel 1932 con il titolo di Manoscritti economico-filosofici.
Marx inizia qui quell’opera di critica dell’economia politica che sfocerà nell’imponente costruzione del Capitale. Egli dichiara di voler partire dai "presupposti" dell’economia politica, dal suo linguaggio e dalle sue leggi, per mostrare come tali presupposti conducano a contraddizioni di cui l’economista stesso è inconsapevole. Così, l’aumento della ricchezza genera 1’ impoverimento dell’operaio, la concorrenza sfrenata conduce all’accumulazione del capitale in poche mani, cioè al monopolio, e l’interesse del capitalista, come quello del proprietario fondiario, si mostra non in armonia, ma in contrasto con quello dell’intera società. E in generale - constata Marx - l’economia politica non mostra alcun interesse concreto per l’uomo in quanto tale, concependo il lavoratore soltanto come "bestia da soma" e il lavoro stesso solo "nella figura dell’attività di guadagno".
Ma il punto centrale riguarda l’economia politica in quanto scienza, e dunque la sua capacità di comprendere la realtà; ora, il suo vizio di fondo è che essa "suppone ciò che deve spiegare": parte dall’ esistenza della proprietà privata come se fosse un dato "naturale" e ne fa valere le leggi come se fossero leggi naturali. Spiegare tali leggi significa invece "comprenderle", cioè mostrare "come esse risultino dall’essenza della proprietà privata", considerando i fenomeni economici e le loro relazioni come "espressione di uno sviluppo necessario". Si tratta dunque di affrontare la realtà economica secondo una prospettiva dinamica e processuale, dialettica, in luogo della statica e acritica descrizione empirica che ne dà l’economia politica.
L’analisi del lavoro alienato nei Manoscritti
E' quanto Marx stesso inizia a fare attraverso la celebre analisi del lavoro alienato: il concetto dell’alienazione fornisce qui la chiave di lettura per interpretare il rapporto fra uomo e natura e fra uomo e uomo così come si dà nella società capitalistica. L’alienazione riguarda in primo luogo l’oggetto del lavoro, cioè il prodotto in cui il lavoro si oggettiva realizzandosi: poiché l’oggetto non appartiene al lavoratore, 1’oggcttivazione è in realtà alienazione, espropriazione dell’operaio. Da questo primo fondamentale aspetto dell’alienazione, Marx ricava altri tre "lati" del fenomeno: l’alienazione dall’attività lavorativa, che non è più momento di realizzazione dell’uomo, ma di perdita di esso, non più fine, ma mezzo; l’alienazione dal genere umano, in quanto l’uomo vi perde quella che è la caratteristica più propria della sua essenza, il poter trasformare la natura secondo un progetto consapevole; infine, l’alienazione dell’uomo, poiché l’oggetto, e quindi la produzione e la vita stessa dell’operaio, divengono proprietà di un altro, del capitalista. Il risultato principale ditale analisi è che la proprietà privata solo in apparenza è un presupposto: in realtà essa èil "risultato" del lavoro espropriato, "la realizzazione di questa espropriazione", e insieme il "mezzo" attraverso il quale l’espropriazione stessa si attua.II recupero della totalità dell’uomo
L’emancipazione sarà dunque la riappropriazione di quanto andato perduto per effetto dell’alienazione; "l’emancipazione operaia" significherà "la generale emancipazione umana", poiché "l’intera servitù umana è coinvolta nel rapporto dell’operaio alla produzione". Marx prende le distanze dal "comunismo rozzo e irriflessivo", che indica il possesso fisico immediato come unico scopo della vita e dell’esistenza. Al contrario, il "vero" comunismo - come qui lo delinea Marx - è "negazione della negazione", soppressione dell’alienazione in vista della riappropriazione di se stesso da parte dell’uomo. L’uomo è un ente naturale e sociale al tempo stesso, per cui tale riappropriazione è recupero di un rapporto pieno fra uomo e natura come fra uomo e uomo: "questo comunismo - afferma Marx - è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo". E recupero della totalità e della onnilateralità dell’individuo, di tutti i suoi "sensi fisici e spirituali", che non si esaurisce nel possedere e nell’avere: è invece la proprietà privata che "ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo", solo quando viene utilizzato. E un umanismo, infine, che va oltre l’ateismo, poiché non ha più bisogno, per affermare l’autonomia dell’uomo, di negare l’alienazione nella trascendenza, ma vede l’uomo consapevole di essere "debitore a se stesso della propria esistenza".
La dialettica di Hegel e la storia reale
Osserviamo che le principali categorie utilizzate da Marx in questa analisi (alienazione, oggettivazione, contraddizione, negazione della negazione) sono di origine hegeliana e che l’uomo è qui concepito da Marx come essenza, cioè all’ interno della prospettiva antropologica di Feuerbach. Possiamo quindi dire che Marx si accosta alla tematica dell’economia politica e del socialismo, che saranno centrali in tutto il suo pensiero, rielaborando strumenti teorici che gli provengono da Hegel e da Feuerbach. Feuerbach, secondo Marx, ha il grande merito di aver mostrato che la vecchia filosofia, come la religione, non è che una forma dell’ alienazione e di aver contrapposto all’hegeliana "negazione della negazione", il positivo dell’uomo inteso quale essere sensibile. Tuttavia, proprio la "negazione della negazione" contiene il principio secondo cui ogni affermazione è il risultato di un movimento di negazione, cioè di un processo dialettico: un processo che Marx ritiene di grande importanza per cogliere lo sviluppo dell’"uomo reale" e della sua storia. In sostanza, Marx riconosce all’Hegel della Fenomenologia il merito di avere individuato la dialettica come principio motore e generatore, di avere compreso l’uomo come un processo di oggettivazione, che in Hegel coincide con l’alienazione, e di soppressione ditale alienazione e, infine, di aver individuato nel lavoro il momento fondamentale di tale processo di auto-produzione dell’uomo. Ma, secondo Marx, tutto il movimento è inficiato, in Hegel, dal fatto che il soggetto è individuato nell’autocoscienza, al cui di interno avviene l’intero processo, per cui sia 1’alienazione sia la soppressione sono solo apparenti, rimangono al livello del pensiero e si risolvono in ne quel sapere che è "l’unico atto" dell’autocoscienza. Perciò la dialettica hegeliana attua "una soppressione intellettuale che lascia sussistere il suo il oggetto nella realtà" pur credendo di averlo superato. Di contro, Marx intende costruire la sua dialettica a partire dall’uomo inteso come "ente oggettivo", portatore di "forze essenziali" che si realizzano nel mondo della natura e dei rapporti sociali e per il quale il movimento di alienazione/riappropiazione ha luogo sul terreno della storia reale.
I punti chiave
Marx: Biografia
Marx: Il materialismo storico
Marx: L'analisi del capitalismo
Marx: Genesi e destino del capitale
Marx, Testo: "Lavoro e alienazione"
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