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la Teologia della Liberazione
L'olimpiade dei
bambini della strada era una delle tipiche ipocrisie della società brasiliana
di oggi che- più offendevano la sensibilità di Frei
Betto, mentre mi raccontava la sua vicenda di religioso e di
intellettuale ribelle. Era
luglio e i dati spietati delle organizzazioni umanitarie segnalavano che, dal
primo di gennaio al 30 giugno del '93, per esempio, a Rio de Janeiro,
polizia, vigilantes e guardie armate, quasi sempre impunite, avevano già
ammazzato 321 minori e che a San Paolo, la città più avanzata del Brasile,
l'anno prima la polizia militare, che continuava a godere di impunità
anche dopo l'avvento della democrazia, aveva ucciso 1370 persone, mentre quella
civile soltanto 5. Dati riuniti in un libro che Betto mi aveva regalato: Rota
36, la storia della polizia che ammazza, un'opera del giornalista Caco
Barcellos, frutto di scrupolosa investigazione giornalistica durata cinque
anni e che in poco tempo era arrivata a 19 edizioni. E non c'era ancora
stata la strage degli otto bambini di Piazza della Candelaria, di Rio, uccisi
nel sonno qualche settimana dopo, dai poliziotti pagati dai negozianti della
zona, stanchi delle ruberie di questi piccoli lupi affamati. Questa empietà,
questo disfacimento che non si era fermato nemmeno con il ritorno della
democrazia, veniva da lontano ed era forse per questo che, coraggiosamente,
il presidente Itamar Franco, succeduto a Collor de Mello, aveva scelto, come tema
del III vertice dei paesi latinoamericani, lo sviluppo sociale del
continente, ma, evidentemente, non se l'era sentita di andare fino in fondo e
per questo aveva fatto finta di non sapere di questa farsa dei meninos da rua
tolti per tre giorni dalle strade di Bahia, durante il summit, per non
infangare il buon nome del paese. Mentre andavamo a
trovare questa infanzia improvvisamente oggetto di attenzioni, anche se solo
per qualche ora, Frei Betto mi spiegava come era stato naturale, per molti
credenti, in una simile realtà sociale, cercare e trovare un impegno
cristiano più militante. "La Teologia
della Liberazione fu il frutto di questa convivenza che vincolava, nelle
comunità ecclesiali di base, la fede e la lotta per la giustizia. E queste
comunità di base erano essenzialmente formate da gente povera. "In Brasile
ci sono 150 milioni di persone: 86 milioni sono poveri e la metà di loro
vivono nella più assoluta miseria e sono, come dice l'Onu, 'miserabili'. Ma è
gente che ha una fede profonda e in America Latina non si va da nessuna parte
se non si passa per la fede. L'essenza della vita popolare è segnata da due
parole: la fede e la festa. In portoghese la fé significa anche festa e
rappresenta la cultura dell'esistenza di questa gente. Così nelle comunità
noi abbiamo saputo lavorare proprio tenendo presente questa dimensione
esistenziale che, abbiamo scoperto, è anche una dimensione ludica. Ti sei mai
chiesto perché nessun partito comunista è riuscito a portare a termine una
rivoluzione in America Latina? Gli unici gruppi politici che l'hanno fatto
non erano partiti comunisti: il 'Movimento 26 luglio' a Cuba e quello
sandinista in Nicaragua. Io credo che il partito comunista con il suo ateismo
ufficiale non comprendeva in sé la dimensione di festa, di cultura popolare.
Sotto questo aspetto era antipopolare. Noi, allora, a metà degli anni '60,
avevamo preso coscienza che il marxismo è il miglior strumento d'analisi per
capire la società capitalista e che la fede ha anche una dimensione sociale e
politica. Tutto questo prima della formulazione della Teologia della
Liberazione." "Quando è
stata teorizzata per la prima volta la Teologia della Liberazione?" "Il primo a
farlo, come sai, è stato Gustavo Gutierrez, un peruviano del clero secolare
diocesano che venne in Brasile alla fine degli anni '60 per studiare i
movimenti di base. Da questa inchiesta arricchita dalla conoscenza che aveva
della realtà dell'America Latina, è nata la sua opera che è ormai un
classico, Teologia della Liberazione. Fu pubblicata nel 1970 e dedicata a un
prete brasiliano che lavorava con i giovani ed era stato assassinato dai
militari. Il suo nome era Antonio Pereira Neto, Niki per tutti noi. La
Teologia della Liberazione è dedicata a lui. Poi, questa strada è stata
percorsa da molti. Fra i più importanti c'è Leonardo Boff. Ma ci sono anche
altre testimonianze importanti, comprese quelle di molte donne, sposate con
figli, che, attratte da questa interpretazione della religione, sono
diventate dottori in teologia. È un fenomeno che in Brasile e in America
Latina si sta espandendo." "Il quadro
che tu mi hai fatto è abbastanza sconosciuto nel mondo occidentale. È un
panorama che spesso sfugge anche a chi si occupa dell'America Latina. Perché,
per esempio, il mondo occidentale vive in modo integralista la divisione tra
marxismo e capitalismo, ignora Io penso due cose. Primo: la cultura
occidentale è assolutamente cartesiana, razionale. E la mentalità, la cultura
marxista è indiscutibilmente positivista. Marx era un uomo del suo tempo e
anche Hegel. Si sono lasciati influenzare da elementi positivisti con l'idea
che l'umanità cammina in base a una logica scientifica. Questa è una
sciocchezza, se la osserviamo oggi, ma aveva una consistenza nel suo tempo.
Noi avremmo detto le stesse cose se avessimo vissuto all'epoca. Ma questo ha
impedito al marxismo di comprendere, per esempio, le altre dimensioni della
conoscenza umana che non è basata solamente sulla razionalità. San Tommaso ha
detto una frase lapidaria: 'La ragione è l'imperfezione dell'intelligenza'
perché nel processo di conoscenza la ragione è solo uno strumento. C'è poi
anche la dimensione ludica, la sensibilità, il corpo. Ci sono molti modi di
esprimersi, come la musica, la spiritualità, la sessualità, ma tutto questo è
sconosciuto a una certa mentalità cartesiana, positivista e marxista.
Secondo: non bisogna dimenticare la mancanza di contatto con il popolo, di
lavoro con il popolo, di educazione della gente. Buona parte della struttura
marxista è stata edificata dall'alto verso il basso. Io sono convinto, per
esempio, che uno dei fattori del crollo del socialismo nei paesi dell'Est
europeo è dovuto alla struttura zarista che ha dominato l'ex Unione
Sovietica. Questo grande paese (come ognuno di noi è figlio del proprio
padre), ha ereditato la struttura zarista. Così a me pare che il socialismo
non si occupò, né lavorò mai per l'autonomia della società civile. Le idee
venivano sempre dall'alto verso il basso. Non succedeva mai il contrario.
Nella mia interpretazione (così come nel capitalismo lo stato gestisce gli
interessi della classe dominante) il socialismo dovrebbe amministrare invece
gli interessi della classe 'maggioritaria' della maggior parte della gente,
insomma. Questa classe sociale dovrebbe essere autonoma, dovrebbe essere un soggetto
politico. Ma questo, nella realtà, non si è verificato in nessun paese
socialista. "Il mondo
occidentale è idealista, crede nella 'idolatria dei concetti'. Ti faccio un
esempio: il materialismo dialettico proclama l'inesorabilità del determiniamo
della storia. Molti militanti marxisti pensavano che un comunista potesse
bere tranquillamente il suo whisky dal momento che anche quando dormiva la
storia camminava per il futuro del socialismo e del comunismo. Ed era una
sciocchezza, perché la storia cammina se ha soggetti storici." "Che la
cambiano." "Esatto. Il
problema del marxismo è stato il pregiudizio nei riguardi dello spessore
della cultura popolare e di quella religiosa. Il capitalismo ha avuto la
saggezza di privatizzare i beni materiali e socializzare i sogni. Io sono un
povero, vivo in una piccola casa, in una favela, però nella mia televisione
posso vedere Hollywood, sognare la possibilità di vincere alla lotteria, per
sorte o per trucco, o aiutato magari dalla magia... Posso insomma fruire di
certe meraviglie. Il socialismo ha fatto il contrario: ha socializzato i beni
materiali e privatizzato i beni simbolici. Nessuno ha diritto di sognare,
solo il partito ha il diritto di farlo. Ma spesso erano sogni pericolosi.
Quando la gente sogna, bisogna invece calarsi nella sua realtà e cercare
alternative per le sue speranze. Da Un
continente desaparecido, Gianni Minà, pp. 188-192, Sperling & Kupfer
editori, 1995ndo
le contraddizioni e gli aspetti che tu mi hai sottolineato?" |
damsal@libero.it |
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