L’apocalisse è vicina?

 

Non lontano da Como, ma in provincia di Lecco, un piccolo gioiellino dell’architettura sacra medioevale. L’eremo di San Pietro al monte, con annesso il piccolo oratorio di san Benedetto, oltre ad essere esteticamente aggraziato e inserito in un contesto paesaggistico affascinante, è infatti noto in tutto il mondo per lo splendido ciclo di affreschi medievali sull’apocalisse che custodisce al suo interno: un patrimonio artistico e culturale tra i più importanti d’Europa e il più noto della Lombardia.

Sorge su un ripiano del monte Pedale, a 660 metri di altezza, sopra l’abitato di Civate. Si può raggiungere solo a piedi, dai numerosi sentieri montani del triangolo lariano, punto di partenza Canzo ad esempio, oppure da Civate, paesino adagiato lungo le rive del lago di Annone. Da qui sale la via principale, un’ora circa di marcia sostenuta lungo quella che in gergo popolare locale ancora viene chiamata la Valle dell’oro. Gli stessi luoghi erano centri di preghiera anche nell’antichità preromana, pare infatti che vi fossero degli stanziamenti celtici. E una leggenda, resistita alle usure del tempo tanto da essere inserita nei Baedeker internazionali, narra del re longobardo Desiderio… suo figlio, un abile cacciatore, stava rincorrendo un cinghiale proprio lungo quei pendii boschivi, sedi di culto religioso. Il cinghiale impaurito, per sfuggire alle frecce del principe avrebbe corso fino a rifugiarsi sotto all’altare delle celebrazioni. Incurante delle superstizioni il principe avrebbe teso il suo arco e colpito a morte l’animale. Da quel giorno sarebbe diventato cieco. Il re Desiderio, addolorato e sconsolato, si mise a pregare per una grazia quando in sogno gli fu comunicato che se avesse eretto un tempio in quel luogo santo, il figlio avrebbe riguadagnato la vista. Così difatti avvenne, conclude la leggenda. Si è sempre pensato a una favola… fino a pochi anni fa quando scavi recenti hanno messo in luce antiche fortificazioni romane e sembra appurato che l’abbazia sorga proprio sulla matrice di una precedente costruzione longobarda.

Alcuni documenti del 845 riportano l’esistenza di san Pietro in epoca carolingia: pare vi vivesse una comunità di 35 monaci ubbidienti alla regola di san Benedetto.
L’oratorio adiacente sarebbe sorto invece intorno al XI sec. È considerato tra i più antichi della Lombardia e nonostante le forme tipicamente battisteriali parrebbe che fungesse da cappella cimiteriale. È stato recentemente ristrutturato e accoglie al suo interno un pregevole altare medievale con affreschi di ispirazione battesimale.
San Pietro, elegantemente imponente, si presenta con un enorme e alto scalone di ingresso su un porticato semicircolare. Dentro, una navata unica, rettangolare, chiusa da due absidi laterali. La cripta è dedicata alla madonna. È stato trasformato, ampliato, ricostruito nel corso dei secoli e l’orientamento è ruotato fino a capovolgersi da est a ovest. La datazione più accreditata della struttura romanica risalirebbe al secolo XI . Gli affreschi vanno dal XI al XII sec.

Anche se vi sono parecchie discordanze in merito e "Tutto è ancora da approfondire e verificare", come sostiene don Vincenzo Gatti del Beato Angelico di Milano, responsabile del restauro e custodia del monastero, non si può parlare degli affreschi di san Pietro senza partire dal basso. Senza partire cioè dal paese di Civate e precisamente dall’altra importante e altrettanto minuziosamente affrescata chiesa medievale di san Calocero.
Perché? Perché secondo alcuni studiosi san Calocero, a valle, e i due monumenti al monte farebbero parte di un unico complesso monastico. La cosa non avrebbe una grande rilevanza culturale se non fosse che anche il famoso ciclo pittorico rientrerebbe in questa logica. L’origine del percorso cognitivo avverrebbe proprio in san Calocero, a valle, dove nascerebbe un primo abbozzo del tema messianico apocalittico, per così dire, un’introduzione graduale all’iconografia di san Pietro al monte. A riscontro di questa tesi parrebbero schierarsi non solo le letture pittoriche ma anche la sequenza cronologica dell’esecuzione delle stesse. Contro questa tesi invece l’ipotesi che mani differenti abbiano operato su questi due edifici i cui stili si differenziano. Contrario anche don Vincenzo Gatti, il quale peraltro nega perfino "Un ciclo dell’apocalisse, ma semplicemente un progetto iconografico mistagogico per aiutare ad entrare nella celebrazione del mistero". Secondo il suo parere esperto "I temi apocalittici in san Pietro al monte non sono sequenziali, ma vi sono frammiste anche altre fonti. Vengono trattati infatti episodi battesimali o eucaristici, come nel ciborio". E secondo lui a dare il via a questo viaggio iniziatico tra i misteri della fede potrebbe essere stato "Il vescovo Arnolfo III di Milano che nel 1079 si ritirò nel monastero dove visse per due anni". Ma comunque sia andata veramente, a noi pare suggestiva una visione, per così dire, olistica del mito.

San Calocero avrebbe assunto il nome del martire nel 1018, con l’arrivo delle sue reliquie. La sua conformazione di tipo benedettino farebbe supporre una volta di più la sua reale appartenenza al complesso monastico che include anche san Pietro al monte e il battistero. Un agglomerato che forse era assai più ampio e costituiva un vero e proprio feudo, tanto che oggi sembrerebbe che vi appartenesse anche la basilica di san Pietro di Barni , che sorge su una altura pianeggiante sopra il borgo, e non è escluso vi facessero parte altre parrocchie delle valli circostanti.
All’interno di san Calocero sono stati rinvenuti numerosi affreschi proto e tardo medioevali. Una buona parte di essi fu rimessa in luce qualche decennio fa mentre più recenti restauri con accidentali demolizioni ne hanno scoperte altre interessanti porzioni.
Il percorso figurativo comprende in linee generali un sunto biblico di notevole efficacia e racconta storie dell’Esodo, di Gedeone, di Sansone e della vita di Salomone, ma tali episodi non servirebbero ad altro che a preparare l’interlocutore alla sintesi finale delle sacre scritture, alla comprensione del giudizio universale, intransigente e impietoso.
Quindi le dieci piaghe d’Egitto come i sette flagelli e i tre guai dell’apocalisse; la manna, la spaccatura del mar Rosso e il passaggio del Giordano come la caduta di Babilonia, la fuga del popolo eletto e l’avvento della Gerusalemme celeste. Anche le trombe di Gerico e il giudizio di Salomone alluderebbero comunque alle sette trombe e agli angeli annunciatori del giudizio finale dell’umanità. Vi sono in effetti molte analogie tra il vecchio testamento e l’apocalisse e forse su questa geniale intuizione si è basata l’idea degli architetti medievali.

La maggior parte degli affreschi di san Pietro al monte, in cui si riscontrano anche influenze bizantine del tardo XI, inizio XII secolo, si trova nel settore orientale, più volte trasformato prima di ricevere il grandioso apparato figurativo a fresco e a stucco giunto fino a noi. Alcune tracce sono state rinvenute alcuni decenni fa anche sulla parete settentrionale e frammenti pittorici sul portale della parete nord e presso le monofore. Quasi nulla è rimasto conservato sulla parete meridionale.
Pitture preziose anche nella cripta e sulla volta, all’interno del ciborio.
Molte citazioni in latino, testualmente tratte dalla Bibbia, coronano e descrivono i dipinti. Ed ecco come si dispiega il messaggio ecumenico: sopra al portale d’ingresso il Cristo in gloria dona agli apostoli Pietro e Paolo le chiavi e il Libro della vita. Seguono, nel corridoio e sulla voltina, numerose raffigurazioni della Gerusalemme celeste secondo la lettura apocalittica. Tali raffigurazioni sono addirittura assecondate da un modellamento architettonico: "Cinta da mura grandi e alte, aveva dodici porte…" e così in ognuno dei dodici archi che contornano le mura della città prediletta è il volto di un angelo, affiancato dal nome della pietra preziosa corrispondente; coppie di lettere sovrastanti rappresentano le iniziali abbinate di un apostolo e di un titolare di ciascuna delle dodici tribù d’Israele. Tutto è studiato nei minimi dettagli con precisione scientifica nel rispetto classico dei testi antichi. Come nelle abitudini ecclesiastiche del tempo vi è anche un san Marcello papa, poi san Gregorio, anch’esso papa come confermato dalle didascalie e, per tornare al sacro, i quattro fiumi del Paradiso terrestre rappresentati da altrettante figure umane con al centro il monogramma cristico Alfa e Omega. Scene dell’angelo con la tromba e i sette angeli dell’apocalisse. Anche il ciborio porta il suo contributo con al centro l’agnello, a raggiera diciotto figure aureolate e sui pennacchi laterali i quattro angeli dell’apocalisse che trattengono i venti della terra. Nella controfacciata orientale la scena forse più spettacolare, più simbolica, dell’intero evento profetico. Cristo in trono, al centro, nella mandorla divina con il braccio destro levato e un rotolo nella sinistra. Ai lati una schiera di angeli guidati da Michele e intenta a trafiggere con le lance il drago rosso dalle dieci corna e dalle sette teste, pronto a divorare il bambino appena nato. A sinistra la "donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi" che ha partorito il fanciullo "subito rapito verso Dio e verso il suo trono". In basso gli angeli del drago, vinti, che precipitano sulla Terra.

L’eremo, che oggi dipende dalla parrocchiale di Civate, è aperto e visitabile tutte le domeniche, dalle 8 alle 15. Negli altri giorni della settimana occorre rivolgersi al custode, sig. Canali, tel.0341/551576. Ogni prima domenica del mese, nelle stagioni fredde, don Vincenzo Gatti vi celebra una messa, alle 10.30. Nei mesi di luglio e agosto invece la messa viene celebrata tutte le domeniche. Don Vincenzo Gatti, dell’istituto d’arte Beato Angelico di Milano che fin dal 1927 si occupa del restauro e della valorizzazione del santuario, ha anche fondato un’associazione: Amici di san Pietro. È un gruppo di volontari, composto sia di giovani studenti sia di anziani pensionati che a turno si alternano nella gestione del patrimonio artistico. Si occupano di tutto, dal giardinaggio all’accoglienza turistica. Il Beato Angelico mantiene incessantemente il monitoraggio della struttura procedendo nei restauri conservativi e nella costante manutenzione e pulitura del monumento. In estate ha in programma anche altri scavi e lavori di ricerca.
Restano dunque ancora dubbi e incertezze sulla datazione di pitture e ritocchi, sulla loro origine e destinazione, ma poco importa infondo svelare il mistero dell’apocalisse di Civate, resta il fascino forte, trascendente, estemporaneo, di una attualità così sorprendente che buca qualsiasi barriera spaziotemporale per arrivare, attraverso mille anni di storia e poi ancora indietro dalle origini del mondo, fino a noi. E l’interrogativo eterno di un passato e di un futuro, entrambi incerti, eppure così dettagliatamente testimoniati dalle scritture. Uno spazio che vale sicuramente la pena di essere visitato, non solo per gli ammonimenti che suscita nel nostro animo ma anche per il piacevole ambiente in cui è inserito. La vallata circostante ha conservato infatti per i secoli dei secoli quello stesso carattere di discreta solitudine, di sacralità, di luogo adatto alla meditazione e al riposo, o sarebbe meglio dire al risveglio?

 

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 Broletto n.65 est.2001

 

Come ci si arriva
La prima cosa da fare se si ha intenzione di ammirare con i propri occhi questo stupendo monastero benedettino che custodisce splendidi affreschi e stucchi risalenti ad epoca romanica, è arrivare nel nucleo storico di Civate e posteggiare l’auto nelle vicinanze del Municipio. Da qui sarà bene imboccare la via del Crotto e poi via don Rossetti e via Brogli. Al termine di questa ci sarà una piccola gradinata dopo la quale si potrà osservare l’Orrido della valle dell’Oro. Poi sarà difficile sbagliare strada in quanto le indicazioni saranno spesso presenti per guidarci attraverso i boschi e i prati. Si giungerà così all’ultimo strappo finale, quello che dal Corno Birone porta alla basilica.

Da: www.laghievalli.com/lecco/ambiente/pietromonte.htm