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Russell
Crowe - La Stampa - traduzioni
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UN UOMO AL CALOR
BIANCO
di Trish Deitch Rohrer
Copyright GQ, Marzo 1999
(traduzione di luisa luisacaron@easyclick.it)
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Russell Crowe arde di un'intensità e di una
sensualità alla Brando. E' un vero uomo… il che gli rende così difficile
chiedere scusa. |
Non riesco a trovarlo, Russell Crowe, alla
curva della stradina nel vasto interno australiano dove mi aveva detto di
incontrarlo. Sono già passati trenta minuti dall'ora dell'appuntamento, e
non dormo da tre giorni. Sono sul lato sbagliato della strada, sul
continente sbagliato, molto al di là della fase allucinatoria. Sto
guidando avanti e indietro - attraverso verdi colline e un cartello
traballante che pubblicizza noci americane - sperando che mi trovi lui. E
poi lo vedo: il furgone blu a cui aveva accennato, che si avvicina
superando il dosso di fronte a me. Riesco a dare un'occhiata alla sua
faccia mentre mi passa oltre, un alto cappello da cowboy a tesa stretta
teatralmente calato sugli occhi, occhi del colore del cielo; sono sicura
che sta ridendo di me. Dovevo aspettarmelo, che Russell Crowe non sarebbe
stato particolarmente comune o facile. Dopotutto è la sua immaginazione
che ha alimentato lo skinhead folle e adrenalinico in "Romper
Stomper" di
Geoffey Wright. Sono state le sue scelte a costruire il poliziotto malato
d'amore e incontrollabilmente violento di "L.A.
Confidential". E' stata la
sua terrificante gioia maligna ad innalzare il serial killer generato dal
computer in "Virtuosity". Faccio inversione a U fermandomi sul prato al
bordo della strada, quando il suo furgone riappare dalla direzione opposta
e fa a sua volta inversione a U nel prato dietro di me. Crowe frena e non
si muove dal furgone. Perciò scendo io. Improvvisamente, in tono irritato,
dice: "Sposta la macchina!" Mi affretto verso la macchina, confusa, e
faccio come dice. E proprio mentre sto per scendere di nuovo per
incontrarlo, lui riparte a razzo. Nel momento in cui parte, sto ancora
pensando che sono in Australia per intervistare Russell Crowe riguardo al
suo nuovo film, "Mystery Alaska". Mi sto ancora aggrappando all'idea che
un paio di pasti davanti a un registratore e una veloce occhiata alla sua
fattoria possano andare bene, e che poi posso trascorrere il resto del mio
soggiorno riprendendomi dal cambio di fuso orario sul bordo della piscina.
Non ho ancora colto che Crowe ha un altro programma. Rimetto la macchina
sulla carreggiata e cerco di seguire il mio soggetto addentrandomi nel
cuore dell'Australia. Dean Cochran, l'amico d'infanzia di Crowe - e
membro di vecchia data della sua piccola rock band, 30 Odd Foot of Grunts
- dice che Crowe si esalta nella conflittualità. "Russell sa quanto sia
potente l'energia negativa e ha bisogno di farla emergere prima che
diventi significativa. E' come se costruisse una situazione negativa per
prepararne una positiva". Non riesco a stargli dietro. Sono troppo
stanca per tenere la strada ad alta velocità, quindi rallento. In
quell'istante, Crowe accosta. Parcheggio la macchina dietro alla sua, e
restiamo seduti così. Nessuno - né lui né io - cerca di lasciare il
proprio veicolo. Finalmente Crowe smonta dal furgone, si avvicina al
finestrino del passeggero della mia auto e appoggia gli avambracci alla
portiera come farebbe un poliziotto. "Sbaglio o avevamo un appuntamento?"
dice. La sua voce è profonda e vibrante, come un violoncello. "Sapevo che
eri tu", prosegue, "perché eri l'unica con l'aria terrorizzata". Dopo di
che fa la mia imitazione ritraendomi come un guidatore da cartone animato,
demente e fatto di anfetamine. E' un'imitazione poco attraente - crudele,
veramente - ma lui la trova divertente. Io mi sento male, per il viaggio e
i cambiamenti di fuso, per la nostalgia di casa, e finalmente lui allunga
il braccio verso di me, con un piccolo, strano frutto nel pugno. "Tieni,"
dice "prendi una mela". Poi si raddrizza e dice: "Chiudi la macchina.
Guido io" e si allontana. "C'è un fuoco dentro di lui" dice Burt
Reynolds. Reynolds ha lavorato con Crowe in "Mystery,
Alaska", un film su
una piccola città il cui equilibrio è minacciato nel momento in cui i New
York Rangers vengono invitati a giocare una partita di esibizione contro
la squadra locale - un dolce gruppo di adoratori dell'hockey di cui Crowe
è il capitano. "C'è un fuoco dentro di lui," dice Reynolds di nuovo "che
brucia tutta la notte, tutto il giorno, sempre. E questo può fargli del
male perché la gente non capisce quel tipo di fiamma". "Non andartene a
zonzo qui in giro da sola", mi avverte Crowe mentre passiamo, sballottati
dal suo furgone pick-up, sopra uno dei pascoli della tenuta, verde e
segnato da solchi profondi. Sul pavimento della cabina del pick-up c'è un
paio di mutande da uomo macchiate di una qualche sostanza inorganica e,
spiaccicato tra il contachilometri e la plastica che lo ricopre, c'è un
grosso ragno bianco. Crowe mi spiega perché non dovrei andarmene a zonzo
da sola per i cento acri della sua fattoria: Nella proprietà vivono due
serpenti, dice, che, se ti mordono, ti uccidono all'istante. E poi ci sono
i goanna, lucertole giganti che vivono sugli alberi, che ti si arrampicano
addosso - salgono da un lato e scendono dall'altro - e le ferite dei loro
artigli non guariscono mai più. Crowe si dirige in mezzo a un grande
campo verde e spegne il motore. Salta giù dal furgone e dice: "Vieni".
Mentre lui si arrampica sul cassone del furgone, io scendo dalla cabina
dando un'occhiata al campo sulla mia destra: alcune mucche stanno correndo
verso di me, muggendo. Mi lancio sul cassone accanto a Crowe. Da tutte le
direzioni arrivano correndo mucche mugghianti. Ci sono mucche grandi,
mucche a chiazze, vitellini. Alcune sono marroni; altre sono grigio scuro,
bianche, nere. I loro nasi sono grandi come arance. C'è qualcosa nel modo
in cui corrono che sembra far rimpicciolire sempre di più gli alberi e la
collina tutt'intorno, e l'effetto è allucinatorio e incantevole. Cinquanta
o sessanta mucche corrono verso di noi e sembrano tutte entusiaste di
vedere Crowe. Io scoppio a ridere. Poi guardo verso Crowe e vedo che mi
sta guardando, il volto illuminato da un sorriso da ragazzino. Anche se
lui e suo fratello maggiore Terry sono nati a Wellington, in Nuova
Zelanda, la famiglia si trasferì a Sidney quando Russell aveva 4 anni. Suo
padre gestiva alcuni pub e la famiglia ha vissuto in camere sopra ai
locali per la maggior parte dell'infanzia dei ragazzi. Quando Crowe aveva
14 anni, molto tempo dopo che aveva iniziato a bere e a fumare, i suoi
genitori tornarono in Nuova Zelanda, nella più conservatrice Auckland,
dove suo padre ottenne un posto nella gestione di un locale chiamato
"Potter's Wheel", più conosciuto come la Caraffa Volante. La Caraffa
Volante era al confine tra tre città sempre in conflitto tra loro, e,
quando iniziava una rissa lì, finiva sempre con l'arrivo di un'ambulanza.
Una notte un tizio fu assassinato nella sala principale della Caraffa
Volante, e quando Crowe racconta questa storia, riesci letteralmente a
vedere il morto giacere in terra ai suoi piedi. Quando suo padre e sua
madre sono andati incontro a problemi finanziari quattro anni fa, Crowe ha
comprato questa fattoria e vi ha fatto stabilire i genitori e Terry. La
famiglia dorme nella casa - una costruzione a un piano, con piccole stanze
coperte di tappeti - e Crowe dorme in un camper lì vicino. Siccome Crowe
non ha molto spazio, il suo camper è pieno di casse di vino e di CD. Ogni
volta che entriamo, deve sgombrare un posto su una panca per farmi sedere.
Al momento sono in corso delle ristrutturazioni per rendere la fattoria
più confortevole, specialmente per i suoi genitori, che Crowe ha spedito
in un giro introno al mondo fino a quando il grosso del lavoro non sarà
terminato. La fattoria è un pezzo di terra idilliaco, al centro del
quale c'è un profondo, bellissimo pascolo, come una grande scodella verde.
Sul fondo della scodella ci sono tre piccoli laghetti; sopra alla scodella
è sospeso, come un'alta cupola, l'enorme cielo blu dell'Australia. Per
nessuna ragione - di spazio, o di comodità, o di profitto - si può
tagliare un albero o uccidere una mucca in questa fattoria. I maschi
della fattoria Crowe sono organizzati secondo una gerarchia di branco, e
Crowe è il lupo Alpha. La sua voce è la più profonda - ne puoi sentire le
vibrazioni da un chilometro di distanza. Siede sempre a capotavola durante
i pasti e, benché sia un maestro negli scherzi e nel prendersi gioco degli
altri uomini a pranzo e a cena, non è mai oggetto di scherno. Al momento
non beve e non mangia carne - si sta riprendendo dal suo ultimo film e
preparando per il prossimo - e perciò nessun altro beve o mangia carne.
L'autorità di Crowe deriva in parte dalla sua corporatura (è per un
sedicesimo Maori, un popolo fisicamente esplosivo, che, sostiene lui, un
tempo era dedito al cannibalismo), ma soprattutto deriva da una sorta di
adamantina mascolinità di vecchio stampo. Crowe non è grossolano. Al
contrario, trasuda un potere palpabile - puoi quasi sentirgli il sangue
pompargli nelle vene, il cuore battergli in petto - un potere che si
espande fino a livelli di guardia quando è agitato. La gente gli cammina
intorno in punta di piedi quando lavora alla fattoria. Nei momenti di
tensione, diventa sgarbato e brusco, e si possono sentire gli elettroni
accelerare nella stanza e creare un'atmosfera elettrica. Una sera,
mentre stiamo seduti nel suo camper, stanchi e affamati, mi chiede se mi
piacerebbe sentire un riassunto del suo prossimo film, "Gladiator",
diretto da Ridley Scott. Io dico: "Sicuro" e mi metto comoda, in attesa.
Lui fa: "'Sicuro - questo significa che non te ne frega un cazzo, in
realtà". Immagino che alcune persone possano arrivare a detestare Crowe
per momenti come questo. O potrebbero considerare un tale scontro
interessante, un'opportunità per un piccolo scambio intimo sul
momento. "Non riesco a non essere emotivamente coinvolto dalle cose che
faccio," dice Crowe, seduto fuori dalla casa mentre osserva i cani, Lucy e
Chasen, che fanno la lotta. "Mi dispiace davvero per le persone che non lo
sono, che dividono tutta la loro vita in 'cose che mi piacciono' e 'cose
che devo fare'. Sei qui solo per poco tempo, amico - impara a fartelo
piacere". Sulla carta Crowe sembra maniacale, ma in realtà non lo è
affatto. Coloro che non vogliono attraversare la propria vita come dei
sonnambuli, che vogliono vivere fino in fondo ogni momento, trovano
estremamente divertente stare vicino a Crowe. Richiama in continuazione la
tua attenzione, dicendo: "Guarda quell'albero; vedi come cresce?" "Senti
questo odore? E' cacca di gallina". Ti insegna sempre qualcosa - come
uccidere una zecca, come comportarsi con una mucca selvatica, le regole
del Rugby, i nomi degli alberi. Essere un'ospite donna alla fattoria è
praticamente come diventare Biancaneve: tutti gli uomini a tavola - Bob
Long (l'assistente di Crowe), Rick O'Bryan (l'allenatore personale di
Crowe), Dave Chambers (il cuoco di Crowe), Terry (il fratello di Crowe) e
due giovani braccianti, Paulie e Chris - si fanno in quattro per mostrare
deferenza. Il primo giorno che ho trascorso lì, si davano da fare dattorno
come vecchie signore, stirando tovaglie di lino e tirando fuori candelabri
per la cena. Con Crowe è diverso. Per lui non sono Biancaneve. Sono
invece l'unica invitata a quello che si è rivelato un ritiro di tre giorni
con Crowe direttore esecutivo, soggetto e guida spirituale. Sia che
scavalchiamo del filo spinato per andare nei boschi, o visitiamo
indaffarati luoghi di lavoro, Crowe si assicura che io sia comoda e al
sicuro. E' una sensazione stupefacente essere sotto la protezione di
quest'uomo. Una sera, durante la cena, la televisione è accesa su una
partita di Rugby con il volume azzerato, a un tratto compare la versione
australiana delle Ragazze dei Los Angeles Lakers: ci sono degli uomini
enormi mezzi nudi - Maori, penso - che eseguono una sorta di danza di
guerra pre-partita, consistente in una serie di accovacciamenti e di
pesanti pedate sul terreno. Terry si rivolge a me durante questo
spettacolo e mi dice bonariamente: "Non cercare di fare questa roba, Trish". Con mia grande sorpresa, Crowe lo riprende all'istante
dall'altro lato della tavola. "Cosa hai detto?" dice. Terry risponde: "Ho
detto a Trish di non cercare di fare questa roba". Crowe non aspetta un
secondo; parte in quarta contro anche la minima sconvenienza. "Cosa. Hai.
Detto?" ripete. Terry si volta di nuovo verso il televisore e solleva la
dita dallo schienale della sedia. "Capito", dicono le sue dita. Salma
Hayek, che ha recitato con Crowe in "Breaking Up" del 1997, ha un
soprannome per lui - Bubo. E lui ne ha uno per lei - Buba. La Hayek ride
quando racconta le difficoltà di quelle particolari riprese. Le giornate
erano lunghe, dice, e le comodità poche. Per esempio, la Hayek un giorno è
arrivata sul set e ha trovato, al posto del camerino, una coperta sul
pavimento. "Ho guardato Russell e gli ho solo detto, 'Bubo?' E lui dice
'Sì?' e io faccio: 'hai già dato in escandescenza?' E lui dice 'Sì.' E io
faccio: 'OK - allora non dirò niente.' Perché sapevo che doveva averli
ammazzati". Crowe cammina su e giù per il salotto mentre nessun altro è
in casa. Mi sta raccontando della sua ultima ragazza, un'americana da cui
si è separato l'anno scorso: Di solito viaggiava con lui da un set
all'altro, ma poi ha smesso. "Non riusciva a continuare a montare a
cavallo," dice "e questo interrompe quella comunicazione totale. E poi
inizia la questione del 'Dov'eri ieri sera?'". Si siede e comincia a
immergere bustine di tè in tazze da supermercato decorate con dei cuori.
Ride, ma in realtà si tratta solo di una breve esalazione di respiro dal
fondo della gola. "La tirannia della distanza," dice. Mi passa la mia
tazza. Crowe fa una collegamento tra la sua ex-ragazza e il suo lavoro.
"Ci vuole una certa forza di carattere per rendersi conto," continua, "che
il terreno cambia sotto i tuoi piedi in continuazione. Devi sapere come
adattarti e concentrarti, amico. E riuscire anche a farlo davanti alla
telecamera. Quando capitano cose del cazzo, non poi semplicemente fermarti
e dire" - qui fa una tipica (per lui) imitazione di un regista americano
viziato, stridulo e capriccioso - "Adrienne! Non posso farlo
più!" Crowe ha iniziato a recitare come comparsa quando aveva 6 anni,
in uno show televisivo per il quale sua madre si occupava di catering. Ha
iniziato con il musical a 19 anni, continuando per alcuni anni - "Grease",
"The Rocky Horror Show", "Boold Brothers". (Ha anche suonato per le strade
e ha lavorato come cameriere, venditore d'auto, DJ, venditore di
assicurazioni, piazzista telefonico, raccoglitore di frutta, cowboy e
lettore di numeri al bingo in una località di villeggiatura su un'isola.)
A Crowe però era stato spezzato un incisivo quando aveva 10 anni, durante
una partita di Rugby, e lui l'ha mantenuto spezzato fino a 25 anni, quando
George Ogilvie, che ha diretto Crowe nel suo primo ruolo da protagonista,
in "The Crossing", gli ha detto di farlo aggiustare. In quel momento la
carriera di Crowe è decollata: negli ultimi dieci anni ha girato ventuno
film, tra cui i gioielli australiani "Romper
Stomper", "Proof" e
"The Sum
of Us". Benché Sharon Stone abbia portato Crowe in America per il ruolo
del pistolero divenuto predicatore in "The Quick and the
Dead",
l'inserimento di Crowe nel mondo di Hollywood non è iniziato fino a quando
Curtis Hanson non ha avuto bisogno di un attore sconosciuto per "L. A.
Confidential" - qualcuno che il pubblico non identificasse automaticamente
con il buono o con il cattivo. Ora, con "l'uno-due" di "Mystery, Alaska" e
il progetto-tabacco ancora senza titolo di Michael Mann che sta per uscire
(ndw.: si tratta del film "The
Insider"), Crowe inizierà sicuramente una lunga serie di colpacci a livello
mondiale. Per impersonare l'informatore dell'industria del tabacco, il
53enne cresciuto nel Bronx Jeffrey Wigand, nel film di Mann (che ha come
protagonista anche Al Pacino), Crowe, che ha 34 anni, è ingrassato di
venti chili. Lo ha fatto in sei settimane mangiando cheeseburgers e
bevendo bourbon. Si è anche rasato i capelli per poter indossare meglio la
parrucca grigia, e ha cambiato il suo modo di camminare. Michael Mann
pensa che Crowe sia "un giovane Marlon Brando". "Mettiamola così," dice
Mann. "Camminava nel modo in cui Wigand dovrebbe camminare, anche se
Wigand non camminasse a quel modo OK? Russell ti fa lavorare di più
perché, wow, ho qui una Ferrari da 425 cavalli, e posso davvero correre,
'Forza, andiamo, amico!'" Se Crowe ha problemi sui set cinematografici,
è soprattutto perché non si fida facilmente dei registi. Ma ammirava
Mann,
anche se lo considerava un megalomane maniacale. Ciò che non riesce a
sopportare è di essere più intelligente, più forte e di avere più talento
di colui che dovrebbe guidarlo nel lavoro. "La persona che comanda il
bastimento," dice un giorno nel suo camper riguardo a un tipico regista
privo di visione, "vuole issare le vele quando non c'è vento e richiede lo
spinnaker in mezzo a una barriera corallina." Si accende una sigaretta e
si infila di nuovo il pacchetto nella tasca della camicia. "Che cazzo di
merda è questa?" dice. "L'indecisione mette un sacco di pressione sulla
tua performance - qualcuno che non sa cosa cazzo vuole. Se non sai quello
che vuoi, allora come faccio a fartelo perfetto?" "Non è come fare un
cosa," dice riguardo alla recitazione. "E' fare la cosa: la cosa giusta,
la decisione giusta, l'insieme di movimenti fisici o di idee intellettuali
che riusciranno veramente a comunicare tutto ciò attraverso quella vasta
platea. Ci deve essere quella capacità intellettuale da parte del capitano
della nave, non" - qui fa ancora quella cosa dell'Americano viziato -
"Julian! Mi serve dell'altro caffè! Voi non mi rispettate!" Lui non ride,
ma io sì. "Questo mi è successo spesso in un film in particolare," dice.
"Quale?" chiedo io. "Si chiama -" e poi si strofina l'indice su e giù
sulle labbra, emettendo un suono tipo blublublublu. Curtis Hanson, che
ha diretto "L.A. Confidential", dice:
"Russell era instancabile nella sua
ricerca dell'essenza del personaggio. Se questo lo rendeva talvolta un
rompi palle, ci convivi. Quello con cui non mi piace convivere è qualcuno
che è un rompi palle per motivi di divismo o semplicemente per
autocompiacimento. Con Russell era per il lavoro". Sono le 7,30 del
mattino, il mio secondo giorno alla fattoria, e chiedo se posso aiutare a
trattare le mucche (cioè farle entrare in un recinto, persuaderle a
scendere attraverso uno stretto piano inclinato e poi spruzzarle con un
veleno che uccide le zecche). Crowe, intento al lavoro in cappello e
pantaloncini, mi affida l'incarico di far passare le mucche attraverso il
piano inclinato. Ciò significa arrampicarsi dentro al recinto insieme a
loro e fare qualsiasi cosa - spingerle, tirarle per la coda - per forzarle
a entrare nel corridoio di metallo che le porta al trattamento. E'
elettrizzante essere così vicini ad animali così grandi e divertenti, e io
non ci faccio nemmeno caso quando una mi caga sugli stivali nuovi. Quando
Lucy comincia a giocare con le mucche, abbaiando come un'ossessa e
cercando di mordicchiare loro gli zoccoli, Crowe punta un dito verso di
lei e grida, "Amico!" e Lucy si siede, accucciandosi con aria intimorita e
colpevole. Tutti scoppiano a ridere. A un tratto due mucche nere
sfuggono dalla fila. Crowe mi dice di arrampicarmi su una staccionata e di
alzarmi in piedi dietro di loro, io esito. Lo dice di nuovo: "Arrampicati
su quella staccionata" e fa un gesto vago. Perciò lo faccio - mi dirigo
verso la staccionata più vicina a me e inizio ad arrampicarmi, senza
capire che quello che lui vuole è che io aggiri le mucche senza farmi
vedere per poi sorprenderle. "Non quel cazzo di staccionata!" grida, le
mani chiuse a pugno, gli occhi scintillanti. "Dove cazzo credi che
andranno le mucche?!" Scendo dalla staccionata, scioccata. La mattinata
è improvvisamente congelata, i braccianti, ammutoliti, si guardano gli
stivali. Nessuno mi ha mai gridato a quel modo. Dopo un paio di secondi,
la giornata riprende. Alla fine le mucche vengono acchiappate e trattate,
e io e Crowe ci avviamo a piedi verso la casa in silenzio. Alcuni
minuti più tardi, mentre siamo tutti seduti davanti a una tazza di tè,
spinge verso di me le sue sigarette e il suo accendino di plastica
attraverso la tavola, tenendo la mano sul pacchetto. Mi fissa negli occhi,
e dice: "Una paglia con il tè, amore?" E' un modo di chiedere scusa.
Ciononostante, quel pomeriggio gli parlo della sua scenata con me, e lui
si comporta come se non se ne ricordasse. "Cosa ho detto?" mi chiede. Poi
dice: "Be', dove pensavi che le mucche sarebbero andate se tu fossi
spuntata dietro di loro in quel modo?" Gli dico che non lo so - non so
praticamente nulla di mucche. Non mi dice che avrei potuto ucciderlo,
mandando le mucche in corsa verso di lui. Invece, fa una pausa, e poi
dice: "Mi dispiace". Dopo un po' dice: "Non è facile restare al passo con
le scuse". Più tardi viene un uomo per concordare come spianare una
parte del pascolo dietro alla casa: arriveranno un sacco di ragazzini per
le vacanze e Crowe vuole che abbiano un vero campo per giocare a calcio.
Siccome i due sedili anteriori del furgone sono occupati, Crowe mi mette
sul cassone, mi dice di restare in piedi e mi fa vedere dove
aggrapparmi. "E' come fare surf" dice. Dopodiché sale sul furgone e si
mette a guidare a tutta velocità su e giù per le colline fino al pascolo,
scodando in curva e saltando sui solchi della strada. Chasen corre davanti
al furgone, abbaiando, Lucy cerca di starci dietro. E' come volare. E'
come essere di nuovo ragazzini. Crowe mi sorride con aria cospiratoria
quando, alcuni minuti più tardi, salto giù dal furgone, ridendo, rossa in
viso. Secondo il regista Jay Roach, la Disney voleva che "Mystery,
Alaska" - scritto da David E. Kelly e Sean O'Byrne - fosse un "film di
Russell Crowe". Ma Crowe, che aveva firmato per un film di "insieme", non
aveva intenzione di rubare la scena. Quello che invece voleva fare era
creare un cameratismo sullo schermo tra i membri della squadra di hockey
di "Mystery" creandolo in primo luogo tra gli attori sul set. "Uscivamo
e ci davamo a una qualche festicciola sfrenata," dice Crowe, "e, la
mattina dopo, come prima cosa, andavamo sul ghiaccio." Sono seduta a
tavola il giorno in cui non c'è nessuno, e Crowe è in cucina, che fa
scaldare dell'altra acqua. Fuori, le galline corrono su e giù per il
vialetto polveroso, come grassi fiori colorati. Crowe mi racconta di come
ha fatto cantare ai suoi compagni di squadra i rispettivi inni nazionali
sul ghiaccio. "Tutto sta nel creare un'atmosfera di così eccitante
apprendimento, che tutti sono più pronti a reagire," dice. "E
dall'interpretazione vengono fuori cose che non puoi semplicemente andare
a compare in negozio". Ora cammina per la stanza, eccitato. "Devi
sorprendere il pubblico," dice "devi fare molto lavoro per tenere la gente
con te. Quindi fai il sorriso speciale." Si ferma di colpo e mi
guarda. "Non so," dice "Sto iniziando a parlarne come se fosse del
fottuto Shakespeare o una qualche opera d'arte fottutamente importante, e
davvero non lo è - è solo un piccolo film pieno di calore. Ma non si
possono fare piccoli film pieni di calore senza un certo coinvolgimento
emotivo, o non ti vengono pieni di calore, gusto?" Me ne sto seduta lì
con la mia acqua calda e la mia bustina di tè. Lo sto ascoltando e sto
tuffando la bustina nell'acqua. Comincia ad osservarmi e io divento
immediatamente attenta a quello che sto facendo: è molto esigente riguardo
a come deve essere preparato il tè. Appoggio la bustina sul cucchiaino e
comincio ad arrotolarci intorno il cordino. "Fai girare intorno il
talloncino," dice, e si siede vicino a me intento ad osservare quello che
sto facendo. Schiaccio il talloncino sulla bustina fumante e lui dice: "Lo
metti sopra, così non ti scotti le dita quando strizzi." Strizzo la
bustina, con il pollice sul talloncino e l'indice sul retro del
cucchiaino. "Strizza," dice "strizza." Concludo l'operazione, srotolo la
bustina dal cucchiaino, la metto da una parte e guardo Crowe. "Ecco
fatto," dice "Giusto?" Quello che Crowe vuole è un totale, intrepido,
impulsivo coinvolgimento. Quando gli chiedo quante volte gli capita di
riuscire veramente a creare quest'alchimia in una scena con un altro
attore, inizia una sorta di litania Pentecostale. "Se ci si lascia andare
completamente in quel momento," dice "ci si diverte un sacco, amico. E
diventerà reale, diventerà vero, e ci guarderemo negli occhi, e quel tizio
dice, 'Azione' e noi creiamo quel piccolo legame - un piccolo legame extra
- che è solo tra te e me". So cos'è quel legame extra. E' quel momento
tra Crowe e il suo cane Lucy che tenta di mordere gli zoccoli, quando lui
grida "Amico!". E' quel momento in cui ti passa le sigarette attraverso la
tavola - e non toglie la mano. E' il momento in cui dice "Cosa. Hai.
Detto?". E' quel momento in cui le mucche arrivano di corsa, e in cui il
tè è preparato come si deve, e in cui, anche se avresti un mucchi di scuse
da fare, dici solo "Mi dispiace". Alcune notti dopo il mio ritorno a
casa, Crowe mi telefona. Mi racconta che Lucy ha dormito con lui nel
camper per le ultime tre notti. C'era stata una tempesta, dice, e i
fulmini cadevano così vicini alla fattoria e duravano così a lungo che lui
poteva dire cinque volte Mississippi prima che ritornasse buio di
nuovo. Durante i silenzi, mi pare di sentire il suo grande cuore
battere dall'altro capo del mondo. "Abbiamo dimenticato di guardare le
stelle" dico. "Il cielo era coperto." dice "Se fosse stato limpido,
saremmo stati là fuori, a indicare il cielo."
Copyright GQ,
Marzo 1999, Trish Deitch Rohrer
(traduzione di luisa luisacaron@easyclick.it) |
MAN ON FIRE
Russell Crowe burns with a Brando-like
intensity and sexuality. He's a man's man ... which makes it so difficult
for him to apologize Article by Trish Deitch Rohrer GQ March
1999
I CANNOT FIND HIM, RUSSELL CROWE, IN THE BEND OF THE BACK road
in the Australian bush where he said to meet him. It is already thirty
minutes past the appointed hour, and I have not slept for three days. I am
on the wrong side of the road, on the wrong continent, way past
hallucinations. I am driving back and forth -- past green hills and a
rickety sign advertising pecans -- hoping he will find me. And then I see
it: the blue truck he mentioned, coming over the ridge from the opposite
direction. I catch a glimpse of his face as he passes me by, a
high-crowned, short-brimmed cowboy hat pulled theatrically low over his
brow, eyes the color of the sky; I am sure he is laughing at me. I had to
expect it, that Russell Crowe was not going to be particularly ordinary or
easy. It was his imagination, after all, that fueled the maniacal,
adrenalized skinhead in Geoffrey Wright's "Romper Stomper." They were his
choices that made up the lovesick and uncontrollably violent cop in "L.A.
Confidential." It was the awfulness of his glee that jacked up the
computer-generated serial killer in "Virtuosity." I do a U-turn then bump
over the grass on the side of the road when his truck appears again from
the other direction, and he does his own U-y deep into the grass behind
me. He comes to a halt and then doesn't stir from his truck. So I get out.
Suddenly he says, irritably, "Move your car up!" I scurry back to my
car, confused, and do as he says. And just as I am about to get out again to
meet him, he screams away. I am still thinking, at the moment of his
leaving, that I am in Australia to interview Russell Crowe about his new
film, "Mystery Alaska." I am still holding on to the idea that a couple of
meals over a tape recorder and a quick peek at his farm will do it, and
then I can spend the rest of my stay sleeping off my jet lag by the hotel
pool. I do not yet see that Crowe has another plan. I pull back onto the
road and try to follow my subject into deepest Australia.
DEAN
COCHRAN, CROWE'S CHILDHOOD FRIEND -- AND A LONGTIME MEMBER of his small
rock band, Thirty Odd Foot of Grunts -- says Crowe thrives on conflict.
"Russell knows how powerful negative energy is, and he needs to get it out
before it's important. It's almost as if he's engineering a negative
situation to prepare for a positive one."
I CAN'T KEEP UP. I AM
TOO TIRED TO DRIVE INSIDE THE lines at high speed, and so I slow down. At
that moment, Crowe pulls over. I park my car behind his, and we sit there.
No one -- neither he nor I -- attempts to leave his or her vehicle.
Finally, Crowe tips out of the truck, walks up to my passenger window and
leans in, his forearms on the door like a cop's. "You were supposed to
meet me," he says. His voice is deep and sonorous, like a cello. "I knew
it was you," he continues, "because you were the only one looking
terrified." Then he does an imitation of me looking like a moronic cartoon
driver on some very bad speed. It is an unattractive imitation -- cruel,
really -- but he thinks it's funny. I am aching inside, from all the
travel and time changes, from missing home, and he finally reaches into my
car, a small, funky-looking piece of fruit in his fist. "Here," he
says. "Have an apple." He stands up straight then and says,
"Lock your car up. I'll drive," and he walks away.
"THERE'S A FIRE IN
HIM," BURT
REYNOLDS SAYS. REYNOLDS worked with Crowe on "Mystery, Alaska," a film
about a small town whose center is threatened when the New York Rangers
are brought in to play an exhibition game against the local team -- a
sweet group of hockey worshipers with Crowe as their captain. "There's a
fire in him," Reynolds says again, "that burns all night long, all day
long, all the time. And that may hurt him. Because people don't understand
that kind of flame."
"DON'T GO PRANCING AROUND DOWN here alone,"
Crowe warns me as we bounce along in his flatbed truck over his back
pasture, which is green and rife with deep furrows. There is a pair of
men's underwear stained with something inorganic on the floor of the cab
and a large white spider crushed between the speedometer and the plastic
that covers it. Crowe explains why I shouldn't go prancing around his
hundred-acre farm alone: Two snakes live on the property, he says, which,
when they bite, kill you instantly. And then there are the goannas,
gigantic lizards that live in the trees, that climb you -- up one side and
down the other -- and the gashes that come from their claws never, ever
heal. Crowe pulls into the middle of a large green field and turns off the
engine. He jumps out of the truck and says, "Come on." As he climbs onto
the flatbed, I trip out of the truck, catching a glimpse of the field to
my right: There are cows running toward me, mooing. I throw myself onto
the flatbed next to Crowe. From all directions, cows are running and
mooing. There are big ones, baby ones, spotted ones. Some are brown;
others are taupe, black, white. Their noses are as big as oranges.
Something about the way they are running makes the trees and the hills all
around seem to shrink, and keep shrinking, and the effect is trippy and
delightful. There are fifty or sixty cows coming toward us, and they all
seem thrilled to see Crowe. I laugh out loud. Then I look over at Crowe
and see that he is watching me, a little boy's smile on his face.
THOUGH HE AND HIS OLDER BROTHER, TERRY, WERE born in Wellington,
New Zealand, they moved to Sydney when Russell was 4 years old. His father
managed pubs, and the family lived in rooms above them for most of the
boys' childhood. When Crowe was 14, long after he had started smoking and
drinking, his parents moved back to New Zealand, to the more conservative
Auckland, where his father got a job managing a place called the Potter's
Wheel, commonly known as the Flying Jug. The Flying Jug was on the border
of three towns with differences, and when a fight started there, it always
ended with the arrival of an ambulance. Someone was murdered in the front
room of the Flying Jug one night, and when Crowe tells this story, you see
the dead man lying at his feet. When his mother and father ran into
financial trouble four years ago, Crowe bought this nonworking farm and
moved them and Terry in. The family sleeps in the house -- a carpeted,
small-roomed, one-story affair -- and Crowe sleeps in a caravan (Australian for "trailer")
nearby. Because Crowe doesn't have much space,
his caravan is packed with boxes of wine and CDs. Whenever we enter, he
has to clear a place on a bench for me to sit. He is in the process of
doing renovations that will make the farm more comfortable, especially for
his parents, whom he sent on a world tour until the bulk of the work was
done. The farm is an idyllic piece of land, at the center of which is a
deep, beautiful pasture like a big green bowl. At the bottom of the bowl
are three small ponds; over the bowl, like a high-domed lid, hangs
Australia's huge blue sky. Under no circumstances -- for space or
convenience or profit -- may a tree on this farm be cut down or a cow
killed.
AMONG THE MALES ON CROWE'S FARM, THERE IS A PACK-like
hierarchy, and Crowe is the alpha wolf. His voice is the lowest -- you can
hear its vibration from half a mile away. He sits at the head of the table
at every meal, and though he is a master at joking and teasing the other
men over lunch and dinner, he is never teased. He is not eating meat or
drinking at the moment -- he is recovering from his last film and training
for the next -- and therefore no one else is eating meat or drinking.
Crowe's authority comes partly from his size (he is one-sixteenth Maori, a
physically powerful people who, he claims, were once cannibals), but
mostly it comes from a kind of unwavering, old-fashioned masculinity.
Crowe does not bumble. Instead, he exudes a palpable power -- you can
almost hear his blood pumping through his veins, his heart beating in his
chest -- and it amps up into the red when he's anxious. People tiptoe
around him when he's working on the farm. At stressful times, he becomes
snappish and controlling, and you can feel the electrons in the room
speeding up, adding an atmospheric edginess. One night while we are
sitting in his caravan, tired and hungry, he asks if I'd like a synopsis
of his next film, "Gladiator," directed by Ridley Scott. I say,
"Sure,"
and sit back, waiting. He says, " 'Sure' -- that means you don't really
give a shit." I imagine that some people might grow to resent Crowe for
moments like this. Or they might see such a confrontation as interesting,
an opportunity for a little intimate interaction in the present moment.
"I CAN'T BE DISPASSIONATELY removed from the things I do," says
Crowe, sitting outside the house watching the dogs, Lucy and Chasen, knock
each other over. "I really feel sorry for people who are, who divide their
whole life up into 'things that I like' and 'things that I must do.' You're only here for a short time, mate -- learn to like
it." On paper
Crowe sounds maniacal, but he's really not. People who don't want to
sleepwalk through their lives, who want to live to the max in every
moment, find it extremely fun to be around Crowe. He's constantly nudging
you, saying, "Look at that tree; see how it grows?" "Do you smell
that? It's chicken shit." He's always teaching you something -- how to kill a
tick, how to deal with a feral cow, the rules of Rugby, the names of trees.
BEING A FEMALE GUEST ON THE FARM IS VERY MUCH like becoming
Snow White: All the men who sit at the table -- Bob Long (Crowe's
assistant), Rick O'Bryan (Crowe's personal trainer), Dave Chambers (Crowe's
cook), Terry (Crowe's brother) and two young farmhands, Paulie
and Chris -- fall over themselves with deference. On my first day there,
they bustle around like old ladies, ironing linen tablecloths and setting
up candelabras for dinner. With Crowe it's different. To him I am not Snow
White. Instead, I am the only guest at what has turned out to be a
three-day retreat with Crowe as executive director, subject and spirit
guide. Whether we're climbing through barbed wire to get to the woods or
visiting busy work sites, Crowe makes sure I am safe and comfortable. It
is an astonishing feeling, being under the protection of this man. One
night during dinner, the television is tuned to a Rugby game without
sound, and the Australian version of the Laker Girls comes on: There are
huge, half-naked men -- Maori, I think -- doing a pregame kind of war
dance, which consists of a lot of squatting and stamping. Terry turns to
me during this spectacle and says good-naturedly, "Don't try this,
Trish." Crowe, to my surprise, verbally leaps at him across the table.
"What did
you say?" he says. Terry says, "I told Trish not to try this." Crowe
doesn't wait a second; he is in forward motion against even an inkling of
impropriety. "What. Did. You. Say?" he says again. Terry turns back to the
television and lifts his fingers off the back of the chair. "Got it," his
fingers say.
SALMA HAYEK, WHO STARRED WITH CROWE in 1997's "Breaking Up," has a nickname for him -- Bubo. And he has one for her --
Buba. Hayek laughs when she talks about the difficulties of that
particular shoot. The days were long, she says, and the amenities few. For
example, Hayek arrived on the set one day and found, in place of a
dressing room, a blanket on the floor. "I looked at Russell, and I just
went, 'Bubo?' And he says, 'Yes?' And I go, 'Did you throw a fit already?'
And he says, 'Yes.' And I go, 'OK -- then I won't say anything.' Because I
knew he must have killed them."
CROWE IS TRAVERSING THE LIVING
ROOM WHEN NO one else is home. He is telling me about his last girlfriend,
an American with whom he broke up last year: She used to travel with him
from set to set, but then stopped. "She couldn't keep getting back on the
horse," he says. "And that breaks the absolute communication. And then the
'Where were you last night?' starts to happen." He sits down and begins
dunking tea bags in dime-store cups with hearts around the sides. He
laughs, but it is really only one short exhale from the back of his throat. "The tyranny of
distance," he says. He hands me my cup. Crowe
makes a connection between his ex-girlfriend and his work. "It takes a
certain strength of character to realize," he continues, "that the ground
shifts under you all the time. You've got to know how to adapt and focus,
mate. And to do that in front of the camera, too. When fucking things come
up, you can't stop and say" -- here he does a typical (for him) imitation
of a spoiled American director, high-pitched and fey -- Adrienne! I can't
do this anymore!"
CROWE STARTED ACTING AS AN EXTRA WHEN HE WAS 6
years old, on a television show for which his mother was the caterer. He
began doing musical theater at 19 and continued through his early twenties
-- "Grease," "The Rocky Horror Show," "Blood Brothers."
(He also busked on
the street and worked as a waiter, a car detailer, a DJ, an insurance
salesman, a telephone solicitor, a fruit picker, a horse wrangler and a
bingo caller on a resort island.) But Crowe had had one of his front teeth
knocked out in a Rugby game when he was 10, and he lived with that gap
until he was 25, when George Ogilvie, who directed Crowe in his first
leading role, in "The Crossing," said to have it fixed. At that point,
Crowe's career hit the nitro: In the last ten years, he has made
twenty-one films, including the Australian gems "Romper Stomper,"
"Proof"
and "The Sum of Us." Though Sharon Stone brought Crowe to America to
play the gunslinger turned preacher in "The Quick and the Dead," it wasn't
until Curtis Hanson needed an unknown actor for "L.A.
Confidential" --
someone audiences wouldn't automatically assume was a good guy or a bad
guy -- that the insinuation of Russell Crowe into the began. Now, with the
one-two punch of "Mystery, Alaska" and Michael Mann's upcoming untitled
tobacco project, Crowe will surely begin a long run of worldwide knockouts.
IN ORDER TO PLAY 53-YEAR-OLD, BRONX-REARED
tobacco-industry whistle-blower Jeffrey Wigand in the Mann film (also
starring Al Pacino), Crowe, who's 34, gained thirty-five pounds. He did
this in six weeks by eating cheeseburgers and drinking bourbon. He also
shaved his head to better fit a gray wig, and he changed his walk.
Michael Mann thinks Crowe is "a young Marlon Brando." "Let me put it
this way," Mann says. "He walked the way Wigand should walk, even if
Wigand didn't walk that way OK? Russell makes you work harder because,
wow, I've got a 425-horsepower Ferrari here, and I could really go, 'Let's
go, man!' " If Crowe has trouble on movie sets, it's more often than not
because he doesn't easily trust directors. But he admired Mann, even
though he saw him as megalomaniacal. What he can't stand is being smarter,
stronger and more talented than his overseer. "The person who's in charge
of the ship," he says one day in his caravan about a typical director with
no vision, "wants to put up the sails when there's no wind and call for
the spinnaker in a coral reef." He lights a cigarette and shoves the pack
back into his shirt pocket. "The fuck is that shit?" he says. "There's a
lot of pressure put on your performance by indecision -- somebody doesn't
know what the fuck they want. If you don't know what you want, then how
can I perfect that for you? "It's not like doing a thing," he says about
performing. "It's doing the thing: the right thing, the right decision,
the collection of physical movements or intellectual ideas which actually
will communicate this across that vast gulf of seats. There's got to be
that intellectual capacity on the part of the captain of the ship, not" --
here he does that fey American thing again -- "Julian! I need some more
coffee! You people don't respect me!" He doesn't laugh, but I do. "I had
that a lot on this one particular movie," he says. "Which one?" I ask.
"It's called--" and then he rubs his index finger up and down on his
lips, making a bububububu sound.
CURTIS HANSON, WHO DIRECTED "L.A.
CONFIDENTIAL," says, "Russell was relentless in his pursuit of the essence
of the character. If that made him a pain in the ass sometimes, you live
with it. What I don't like living with is someone who's a pain in the ass
out of either star stuff or just self-involvement. With Russell it was
about the work."
IT IS 7:30 IN THE MORNING, MY second day on the
farm, and I ask if I can help drench the cows (that is, get them into a
corral, coax them down a narrow chute and then spray them with a poison
that kills ticks). Crowe, hard at work in his shorts and hat, gives me the
job of getting the cows into the chute. This means climbing into the
corral with them and doing whatever it takes -- pushing them, pulling
their tails -- to force them down the metal corridor that leads to the
drenching. It is thrilling to be so close to such big, amusing
animals, and I don't even mind when one shits all over my new clogs. When
Lucy begins playing with the cows, barking wildly and snapping at their
hooves, Crowe points at her and yells, "Mate!" and Lucy sits down, guilty
and cowering. Everyone laughs. Then two of the black cows escape the
assembly line. Crowe tells me to climb some fences and get up behind them,
and I hesitate. He says it again: Climb those fences, and gestures
vaguely. So I do that -- I head for the fences nearest me and start to
climb, not realizing that what he wants is for me to sneak around the cows
and surprise them. "Not those fucking fences!" he yells, his hands in
fists, his eyes flashing. "Where the fuck do you think the cows are going
to go?!" I come down off the fence, shocked. The morning is suddenly
frozen, the farmhands silent and staring at their boots. No one has ever
yelled at me like that. After a moment or two, the day starts up again.
Eventually, the cows are caught and drenched, and Crowe and I walk up to
the house in silence. A few minutes later, when we are all sitting down to
a post-drenching cup of tea, he pushes his cigarettes and his plastic
lighter toward me across the table, keeping his hand on the pack. He is
looking me in the eyes, and he says, "Coffin nail with your cuppa, love?"
It works as an apology. Still, I speak to him that afternoon about
yelling at me, and he acts as if he doesn't remember. "What did I say?" he
asks me. Then he says, "Well, where did you think the cows would go if you
came up behind them like that?" I say I don't know -- I don't know much
about cows at all. He doesn't tell me that I could have killed him,
sending the cows stampeding in his direction. Instead, he takes a moment,
and then he says, "I'm sorry." After a while, he says, "It's not easy
keeping up with the apologies." Later a man comes by to see about
leveling part of the pasture in back of the house: A lot of kids are
coming for the holidays, and Crowe wants them to have a proper field to
play soccer on. Because the two front seats of the truck are taken, Crowe
puts me onto the flatbed, tells me to stand up and shows me where there's
a bar to hold on to. "It's like surfing," he says. Then he gets into
the truck and proceeds to drive fast up and down the hills leading to the
pasture, making sharp turns and bumping over the ruts. Chasen is running
out in front, barking, and Lucy is trying to keep up behind. It is like
flying. It is like being a kid again. Crowe smiles at me conspiratorially
when, a few minutes later, I jump off the truck, flushed and laughing.
ACCORDING TO DIRECTOR JAY Roach, Disney wanted "Mystery, Alaska"
-- written by David E. Kelley and Sean O'Byrne -- to be a "Russell Crowe
movie." But Crowe, who had signed on to an ensemble film, had no intention
of hogging the limelight. What he did want to do, though, was create an
onscreen closeness among the members of the "Mystery" hockey team by
creating it offscreen among the actors. "We'd go out, and we'd have a
rip-roaring, howdy-doody little bit of a party," Crowe says, "and we'd be
on the ice the first thing in the morning." I am sitting at the table
on the day no one is around, and Crowe is in the kitchen, boiling more
water. Outside, the chickens are running around the dusty drive like fat
and colorful flowers. Crowe tells me how he made the teammates sing their
respective national anthems on the ice. "It's all about creating such an
exciting learning environment that everybody stays on their toes," he
says. "And things come out of the performance which you can't go down
to the shop and buy." He is pacing around by now, excited. "You've got to
take an audience by surprise," he says. "You've got a lot of work to do to
keep people with you. So take the extra mile." He stops, suddenly, and
looks at me. "I don't know, mate," he says. "I'm starting to talk
about it now like it's fucking Shakespeare or some fucking hugely
impressive piece of art, and it really isn't -- it's just a warm little
movie. But you can't make warm little movies without a certain emotional
involvement or they don't come out warm, you know?" I am sitting there
with my hot water and my tea bag. I am listening to him, and I am dunking.
He starts to watch me, and I become self-conscious: He is a stickler for
how tea is made. I lay the bag in my spoon and start to wrap the thin
string around it. "Take the tag all the way around," he says, and he sits
down next to me, intent on what I'm doing. I press the tag onto the
steaming tea bag, and he says, "You put it on top, so then you don't burn
your finger when you squeeze." I squeeze the tea bag, my thumb on the tag,
my index finger on the back of the spoon. "Squeeze," he says. "Squeeze." I
finish, unwrap the bag from the spoon, set it aside and look at Crowe.
"There you go," he says. "Right?" What Crowe wants is total, fearless,
impulsive involvement. When I ask how often he gets a chance to really mix
it up in a scene with another actor, he goes into a kind of Pentecostal
routine. "If you give over absolutely in that moment," he says, "we're
going to have a ball, man. And it's going to be real, and it's going to be
true, and we're going to look at each other, and that fella says,
'Action,' and we're going to have a little connection -- a little extra
connection -- that's just between me and you." I know what that extra
connection is. It's the moment between Crowe and his hoof-biting dog,
Lucy, when he yells, "Mate!" It's the moment he passes the cigarette pack
across the table -- and does not take his hand away. It's the moment he
says, "What. Did. You. Say?" It's the moment the cows come running, and
the tea is done well, and, even though you've got a lot of apologizing to
do, you say, "I'm sorry."
A FEW NIGHTS AFTER I GET home, Crowe
calls. He tells me that Lucy has been sleeping with him in the caravan for
the last three nights. There was a storm, he says, and the lightning came
so close to the farm and stayed lit for so long that he could count to
five Mississippi before it went dark again. In the silences, I think I can
hear his big heart beating from around the world.
"We forgot to
look at the stars," I say. "The nights were overcast," he says. "Had
they been clear, we would have been out there, pointing up."
Trish
Deitch Rohrer is a writer living in New York.
© Copyright GQ,
1999 |
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