Russell Crowe - La Stampa - traduzioni

 

UN UOMO AL CALOR BIANCO

di Trish Deitch Rohrer

Copyright GQ, Marzo 1999

(traduzione di luisa luisacaron@easyclick.it)

 

Russell Crowe arde di un'intensità e di una sensualità alla Brando. E' un vero uomo… il che gli rende così difficile chiedere scusa.
Non riesco a trovarlo, Russell Crowe, alla curva della stradina nel vasto interno australiano dove mi aveva detto di incontrarlo. Sono già passati trenta minuti dall'ora dell'appuntamento, e non dormo da tre giorni. Sono sul lato sbagliato della strada, sul continente sbagliato, molto al di là della fase allucinatoria. Sto guidando avanti e indietro - attraverso verdi colline e un cartello traballante che pubblicizza noci americane - sperando che mi trovi lui. E poi lo vedo: il furgone blu a cui aveva accennato, che si avvicina superando il dosso di fronte a me. Riesco a dare un'occhiata alla sua faccia mentre mi passa oltre, un alto cappello da cowboy a tesa stretta teatralmente calato sugli occhi, occhi del colore del cielo; sono sicura che sta ridendo di me. Dovevo aspettarmelo, che Russell Crowe non sarebbe stato particolarmente comune o facile. Dopotutto è la sua immaginazione che ha alimentato lo skinhead folle e adrenalinico in "Romper Stomper" di Geoffey Wright. Sono state le sue scelte a costruire il poliziotto malato d'amore e incontrollabilmente violento di "L.A. Confidential". E' stata la sua terrificante gioia maligna ad innalzare il serial killer generato dal computer in "Virtuosity".
Faccio inversione a U fermandomi sul prato al bordo della strada, quando il suo furgone riappare dalla direzione opposta e fa a sua volta inversione a U nel prato dietro di me. Crowe frena e non si muove dal furgone. Perciò scendo io. Improvvisamente, in tono irritato, dice: "Sposta la macchina!" Mi affretto verso la macchina, confusa, e faccio come dice. E proprio mentre sto per scendere di nuovo per incontrarlo, lui riparte a razzo. Nel momento in cui parte, sto ancora pensando che sono in Australia per intervistare Russell Crowe riguardo al suo nuovo film, "Mystery Alaska". Mi sto ancora aggrappando all'idea che un paio di pasti davanti a un registratore e una veloce occhiata alla sua fattoria possano andare bene, e che poi posso trascorrere il resto del mio soggiorno riprendendomi dal cambio di fuso orario sul bordo della piscina. Non ho ancora colto che Crowe ha un altro programma. Rimetto la macchina sulla carreggiata e cerco di seguire il mio soggetto addentrandomi nel cuore dell'Australia.
Dean Cochran, l'amico d'infanzia di Crowe - e membro di vecchia data della sua piccola rock band, 30 Odd Foot of Grunts - dice che Crowe si esalta nella conflittualità. "Russell sa quanto sia potente l'energia negativa e ha bisogno di farla emergere prima che diventi significativa. E' come se costruisse una situazione negativa per prepararne una positiva".
Non riesco a stargli dietro. Sono troppo stanca per tenere la strada ad alta velocità, quindi rallento. In quell'istante, Crowe accosta. Parcheggio la macchina dietro alla sua, e restiamo seduti così. Nessuno - né lui né io - cerca di lasciare il proprio veicolo. Finalmente Crowe smonta dal furgone, si avvicina al finestrino del passeggero della mia auto e appoggia gli avambracci alla portiera come farebbe un poliziotto. "Sbaglio o avevamo un appuntamento?" dice. La sua voce è profonda e vibrante, come un violoncello. "Sapevo che eri tu", prosegue, "perché eri l'unica con l'aria terrorizzata". Dopo di che fa la mia imitazione ritraendomi come un guidatore da cartone animato, demente e fatto di anfetamine. E' un'imitazione poco attraente - crudele, veramente - ma lui la trova divertente. Io mi sento male, per il viaggio e i cambiamenti di fuso, per la nostalgia di casa, e finalmente lui allunga il braccio verso di me, con un piccolo, strano frutto nel pugno. "Tieni," dice "prendi una mela". Poi si raddrizza e dice: "Chiudi la macchina. Guido io" e si allontana.
"C'è un fuoco dentro di lui" dice Burt Reynolds. Reynolds ha lavorato con Crowe in "Mystery, Alaska", un film su una piccola città il cui equilibrio è minacciato nel momento in cui i New York Rangers vengono invitati a giocare una partita di esibizione contro la squadra locale - un dolce gruppo di adoratori dell'hockey di cui Crowe è il capitano. "C'è un fuoco dentro di lui," dice Reynolds di nuovo "che brucia tutta la notte, tutto il giorno, sempre. E questo può fargli del male perché la gente non capisce quel tipo di fiamma".
"Non andartene a zonzo qui in giro da sola", mi avverte Crowe mentre passiamo, sballottati dal suo furgone pick-up, sopra uno dei pascoli della tenuta, verde e segnato da solchi profondi. Sul pavimento della cabina del pick-up c'è un paio di mutande da uomo macchiate di una qualche sostanza inorganica e, spiaccicato tra il contachilometri e la plastica che lo ricopre, c'è un grosso ragno bianco. Crowe mi spiega perché non dovrei andarmene a zonzo da sola per i cento acri della sua fattoria: Nella proprietà vivono due serpenti, dice, che, se ti mordono, ti uccidono all'istante. E poi ci sono i goanna, lucertole giganti che vivono sugli alberi, che ti si arrampicano addosso - salgono da un lato e scendono dall'altro - e le ferite dei loro artigli non guariscono mai più.
Crowe si dirige in mezzo a un grande campo verde e spegne il motore. Salta giù dal furgone e dice: "Vieni". Mentre lui si arrampica sul cassone del furgone, io scendo dalla cabina dando un'occhiata al campo sulla mia destra: alcune mucche stanno correndo verso di me, muggendo. Mi lancio sul cassone accanto a Crowe. Da tutte le direzioni arrivano correndo mucche mugghianti. Ci sono mucche grandi, mucche a chiazze, vitellini. Alcune sono marroni; altre sono grigio scuro, bianche, nere. I loro nasi sono grandi come arance. C'è qualcosa nel modo in cui corrono che sembra far rimpicciolire sempre di più gli alberi e la collina tutt'intorno, e l'effetto è allucinatorio e incantevole. Cinquanta o sessanta mucche corrono verso di noi e sembrano tutte entusiaste di vedere Crowe. Io scoppio a ridere. Poi guardo verso Crowe e vedo che mi sta guardando, il volto illuminato da un sorriso da ragazzino.
Anche se lui e suo fratello maggiore Terry sono nati a Wellington, in Nuova Zelanda, la famiglia si trasferì a Sidney quando Russell aveva 4 anni. Suo padre gestiva alcuni pub e la famiglia ha vissuto in camere sopra ai locali per la maggior parte dell'infanzia dei ragazzi. Quando Crowe aveva 14 anni, molto tempo dopo che aveva iniziato a bere e a fumare, i suoi genitori tornarono in Nuova Zelanda, nella più conservatrice Auckland, dove suo padre ottenne un posto nella gestione di un locale chiamato "Potter's Wheel", più conosciuto come la Caraffa Volante. La Caraffa Volante era al confine tra tre città sempre in conflitto tra loro, e, quando iniziava una rissa lì, finiva sempre con l'arrivo di un'ambulanza. Una notte un tizio fu assassinato nella sala principale della Caraffa Volante, e quando Crowe racconta questa storia, riesci letteralmente a vedere il morto giacere in terra ai suoi piedi.
Quando suo padre e sua madre sono andati incontro a problemi finanziari quattro anni fa, Crowe ha comprato questa fattoria e vi ha fatto stabilire i genitori e Terry. La famiglia dorme nella casa - una costruzione a un piano, con piccole stanze coperte di tappeti - e Crowe dorme in un camper lì vicino. Siccome Crowe non ha molto spazio, il suo camper è pieno di casse di vino e di CD. Ogni volta che entriamo, deve sgombrare un posto su una panca per farmi sedere. Al momento sono in corso delle ristrutturazioni per rendere la fattoria più confortevole, specialmente per i suoi genitori, che Crowe ha spedito in un giro introno al mondo fino a quando il grosso del lavoro non sarà terminato.
La fattoria è un pezzo di terra idilliaco, al centro del quale c'è un profondo, bellissimo pascolo, come una grande scodella verde. Sul fondo della scodella ci sono tre piccoli laghetti; sopra alla scodella è sospeso, come un'alta cupola, l'enorme cielo blu dell'Australia. Per nessuna ragione - di spazio, o di comodità, o di profitto - si può tagliare un albero o uccidere una mucca in questa fattoria.
I maschi della fattoria Crowe sono organizzati secondo una gerarchia di branco, e Crowe è il lupo Alpha. La sua voce è la più profonda - ne puoi sentire le vibrazioni da un chilometro di distanza. Siede sempre a capotavola durante i pasti e, benché sia un maestro negli scherzi e nel prendersi gioco degli altri uomini a pranzo e a cena, non è mai oggetto di scherno. Al momento non beve e non mangia carne - si sta riprendendo dal suo ultimo film e preparando per il prossimo - e perciò nessun altro beve o mangia carne. L'autorità di Crowe deriva in parte dalla sua corporatura (è per un sedicesimo Maori, un popolo fisicamente esplosivo, che, sostiene lui, un tempo era dedito al cannibalismo), ma soprattutto deriva da una sorta di adamantina mascolinità di vecchio stampo. Crowe non è grossolano. Al contrario, trasuda un potere palpabile - puoi quasi sentirgli il sangue pompargli nelle vene, il cuore battergli in petto - un potere che si espande fino a livelli di guardia quando è agitato. La gente gli cammina intorno in punta di piedi quando lavora alla fattoria. Nei momenti di tensione, diventa sgarbato e brusco, e si possono sentire gli elettroni accelerare nella stanza e creare un'atmosfera elettrica.
Una sera, mentre stiamo seduti nel suo camper, stanchi e affamati, mi chiede se mi piacerebbe sentire un riassunto del suo prossimo film, "Gladiator", diretto da Ridley Scott. Io dico: "Sicuro" e mi metto comoda, in attesa. Lui fa: "'Sicuro - questo significa che non te ne frega un cazzo, in realtà". Immagino che alcune persone possano arrivare a detestare Crowe per momenti come questo. O potrebbero considerare un tale scontro interessante, un'opportunità per un piccolo scambio intimo sul momento.
"Non riesco a non essere emotivamente coinvolto dalle cose che faccio," dice Crowe, seduto fuori dalla casa mentre osserva i cani, Lucy e Chasen, che fanno la lotta. "Mi dispiace davvero per le persone che non lo sono, che dividono tutta la loro vita in 'cose che mi piacciono' e 'cose che devo fare'. Sei qui solo per poco tempo, amico - impara a fartelo piacere".
Sulla carta Crowe sembra maniacale, ma in realtà non lo è affatto. Coloro che non vogliono attraversare la propria vita come dei sonnambuli, che vogliono vivere fino in fondo ogni momento, trovano estremamente divertente stare vicino a Crowe. Richiama in continuazione la tua attenzione, dicendo: "Guarda quell'albero; vedi come cresce?" "Senti questo odore? E' cacca di gallina". Ti insegna sempre qualcosa - come uccidere una zecca, come comportarsi con una mucca selvatica, le regole del Rugby, i nomi degli alberi.
Essere un'ospite donna alla fattoria è praticamente come diventare Biancaneve: tutti gli uomini a tavola - Bob Long (l'assistente di Crowe), Rick O'Bryan (l'allenatore personale di Crowe), Dave Chambers (il cuoco di Crowe), Terry (il fratello di Crowe) e due giovani braccianti, Paulie e Chris - si fanno in quattro per mostrare deferenza. Il primo giorno che ho trascorso lì, si davano da fare dattorno come vecchie signore, stirando tovaglie di lino e tirando fuori candelabri per la cena.
Con Crowe è diverso. Per lui non sono Biancaneve. Sono invece l'unica invitata a quello che si è rivelato un ritiro di tre giorni con Crowe direttore esecutivo, soggetto e guida spirituale. Sia che scavalchiamo del filo spinato per andare nei boschi, o visitiamo indaffarati luoghi di lavoro, Crowe si assicura che io sia comoda e al sicuro. E' una sensazione stupefacente essere sotto la protezione di quest'uomo.
Una sera, durante la cena, la televisione è accesa su una partita di Rugby con il volume azzerato, a un tratto compare la versione australiana delle Ragazze dei Los Angeles Lakers: ci sono degli uomini enormi mezzi nudi - Maori, penso - che eseguono una sorta di danza di guerra pre-partita, consistente in una serie di accovacciamenti e di pesanti pedate sul terreno. Terry si rivolge a me durante questo spettacolo e mi dice bonariamente: "Non cercare di fare questa roba, Trish".
Con mia grande sorpresa, Crowe lo riprende all'istante dall'altro lato della tavola. "Cosa hai detto?" dice. Terry risponde: "Ho detto a Trish di non cercare di fare questa roba". Crowe non aspetta un secondo; parte in quarta contro anche la minima sconvenienza. "Cosa. Hai. Detto?" ripete. Terry si volta di nuovo verso il televisore e solleva la dita dallo schienale della sedia. "Capito", dicono le sue dita.
Salma Hayek, che ha recitato con Crowe in "Breaking Up" del 1997, ha un soprannome per lui - Bubo. E lui ne ha uno per lei - Buba. La Hayek ride quando racconta le difficoltà di quelle particolari riprese. Le giornate erano lunghe, dice, e le comodità poche. Per esempio, la Hayek un giorno è arrivata sul set e ha trovato, al posto del camerino, una coperta sul pavimento.
"Ho guardato Russell e gli ho solo detto, 'Bubo?' E lui dice 'Sì?' e io faccio: 'hai già dato in escandescenza?' E lui dice 'Sì.' E io faccio: 'OK - allora non dirò niente.' Perché sapevo che doveva averli ammazzati".
Crowe cammina su e giù per il salotto mentre nessun altro è in casa. Mi sta raccontando della sua ultima ragazza, un'americana da cui si è separato l'anno scorso: Di solito viaggiava con lui da un set all'altro, ma poi ha smesso.
"Non riusciva a continuare a montare a cavallo," dice "e questo interrompe quella comunicazione totale. E poi inizia la questione del 'Dov'eri ieri sera?'". Si siede e comincia a immergere bustine di tè in tazze da supermercato decorate con dei cuori. Ride, ma in realtà si tratta solo di una breve esalazione di respiro dal fondo della gola. "La tirannia della distanza," dice. Mi passa la mia tazza.
Crowe fa una collegamento tra la sua ex-ragazza e il suo lavoro. "Ci vuole una certa forza di carattere per rendersi conto," continua, "che il terreno cambia sotto i tuoi piedi in continuazione. Devi sapere come adattarti e concentrarti, amico. E riuscire anche a farlo davanti alla telecamera. Quando capitano cose del cazzo, non poi semplicemente fermarti e dire" - qui fa una tipica (per lui) imitazione di un regista americano viziato, stridulo e capriccioso - "Adrienne! Non posso farlo più!"
Crowe ha iniziato a recitare come comparsa quando aveva 6 anni, in uno show televisivo per il quale sua madre si occupava di catering. Ha iniziato con il musical a 19 anni, continuando per alcuni anni - "Grease", "The Rocky Horror Show", "Boold Brothers". (Ha anche suonato per le strade e ha lavorato come cameriere, venditore d'auto, DJ, venditore di assicurazioni, piazzista telefonico, raccoglitore di frutta, cowboy e lettore di numeri al bingo in una località di villeggiatura su un'isola.) A Crowe però era stato spezzato un incisivo quando aveva 10 anni, durante una partita di Rugby, e lui l'ha mantenuto spezzato fino a 25 anni, quando George Ogilvie, che ha diretto Crowe nel suo primo ruolo da protagonista, in "The Crossing", gli ha detto di farlo aggiustare. In quel momento la carriera di Crowe è decollata: negli ultimi dieci anni ha girato ventuno film, tra cui i gioielli australiani "Romper Stomper", "Proof" e "The Sum of Us". Benché Sharon Stone abbia portato Crowe in America per il ruolo del pistolero divenuto predicatore in "The Quick and the Dead", l'inserimento di Crowe nel mondo di Hollywood non è iniziato fino a quando Curtis Hanson non ha avuto bisogno di un attore sconosciuto per "L. A. Confidential" - qualcuno che il pubblico non identificasse automaticamente con il buono o con il cattivo. Ora, con "l'uno-due" di "Mystery, Alaska" e il progetto-tabacco ancora senza titolo di Michael Mann che sta per uscire (ndw.: si tratta del film "The Insider"), Crowe inizierà sicuramente una lunga serie di colpacci a livello mondiale.
Per impersonare l'informatore dell'industria del tabacco, il 53enne cresciuto nel Bronx Jeffrey Wigand, nel film di Mann (che ha come protagonista anche Al Pacino), Crowe, che ha 34 anni, è ingrassato di venti chili. Lo ha fatto in sei settimane mangiando cheeseburgers e bevendo bourbon. Si è anche rasato i capelli per poter indossare meglio la parrucca grigia, e ha cambiato il suo modo di camminare.
Michael Mann pensa che Crowe sia "un giovane Marlon Brando". "Mettiamola così," dice Mann. "Camminava nel modo in cui Wigand dovrebbe camminare, anche se Wigand non camminasse a quel modo OK? Russell ti fa lavorare di più perché, wow, ho qui una Ferrari da 425 cavalli, e posso davvero correre, 'Forza, andiamo, amico!'"
Se Crowe ha problemi sui set cinematografici, è soprattutto perché non si fida facilmente dei registi. Ma ammirava Mann, anche se lo considerava un megalomane maniacale. Ciò che non riesce a sopportare è di essere più intelligente, più forte e di avere più talento di colui che dovrebbe guidarlo nel lavoro. "La persona che comanda il bastimento," dice un giorno nel suo camper riguardo a un tipico regista privo di visione, "vuole issare le vele quando non c'è vento e richiede lo spinnaker in mezzo a una barriera corallina." Si accende una sigaretta e si infila di nuovo il pacchetto nella tasca della camicia. "Che cazzo di merda è questa?" dice. "L'indecisione mette un sacco di pressione sulla tua performance - qualcuno che non sa cosa cazzo vuole. Se non sai quello che vuoi, allora come faccio a fartelo perfetto?"
"Non è come fare un cosa," dice riguardo alla recitazione. "E' fare la cosa: la cosa giusta, la decisione giusta, l'insieme di movimenti fisici o di idee intellettuali che riusciranno veramente a comunicare tutto ciò attraverso quella vasta platea. Ci deve essere quella capacità intellettuale da parte del capitano della nave, non" - qui fa ancora quella cosa dell'Americano viziato - "Julian! Mi serve dell'altro caffè! Voi non mi rispettate!" Lui non ride, ma io sì. "Questo mi è successo spesso in un film in particolare," dice. "Quale?" chiedo io. "Si chiama -" e poi si strofina l'indice su e giù sulle labbra, emettendo un suono tipo blublublublu.
Curtis Hanson, che ha diretto "L.A. Confidential", dice: "Russell era instancabile nella sua ricerca dell'essenza del personaggio. Se questo lo rendeva talvolta un rompi palle, ci convivi. Quello con cui non mi piace convivere è qualcuno che è un rompi palle per motivi di divismo o semplicemente per autocompiacimento. Con Russell era per il lavoro".
Sono le 7,30 del mattino, il mio secondo giorno alla fattoria, e chiedo se posso aiutare a trattare le mucche (cioè farle entrare in un recinto, persuaderle a scendere attraverso uno stretto piano inclinato e poi spruzzarle con un veleno che uccide le zecche). Crowe, intento al lavoro in cappello e pantaloncini, mi affida l'incarico di far passare le mucche attraverso il piano inclinato. Ciò significa arrampicarsi dentro al recinto insieme a loro e fare qualsiasi cosa - spingerle, tirarle per la coda - per forzarle a entrare nel corridoio di metallo che le porta al trattamento. E' elettrizzante essere così vicini ad animali così grandi e divertenti, e io non ci faccio nemmeno caso quando una mi caga sugli stivali nuovi. Quando Lucy comincia a giocare con le mucche, abbaiando come un'ossessa e cercando di mordicchiare loro gli zoccoli, Crowe punta un dito verso di lei e grida, "Amico!" e Lucy si siede, accucciandosi con aria intimorita e colpevole. Tutti scoppiano a ridere.
A un tratto due mucche nere sfuggono dalla fila. Crowe mi dice di arrampicarmi su una staccionata e di alzarmi in piedi dietro di loro, io esito. Lo dice di nuovo: "Arrampicati su quella staccionata" e fa un gesto vago. Perciò lo faccio - mi dirigo verso la staccionata più vicina a me e inizio ad arrampicarmi, senza capire che quello che lui vuole è che io aggiri le mucche senza farmi vedere per poi sorprenderle.
"Non quel cazzo di staccionata!" grida, le mani chiuse a pugno, gli occhi scintillanti. "Dove cazzo credi che andranno le mucche?!"
Scendo dalla staccionata, scioccata. La mattinata è improvvisamente congelata, i braccianti, ammutoliti, si guardano gli stivali. Nessuno mi ha mai gridato a quel modo. Dopo un paio di secondi, la giornata riprende. Alla fine le mucche vengono acchiappate e trattate, e io e Crowe ci avviamo a piedi verso la casa in silenzio.
Alcuni minuti più tardi, mentre siamo tutti seduti davanti a una tazza di tè, spinge verso di me le sue sigarette e il suo accendino di plastica attraverso la tavola, tenendo la mano sul pacchetto. Mi fissa negli occhi, e dice: "Una paglia con il tè, amore?"
E' un modo di chiedere scusa. Ciononostante, quel pomeriggio gli parlo della sua scenata con me, e lui si comporta come se non se ne ricordasse. "Cosa ho detto?" mi chiede. Poi dice: "Be', dove pensavi che le mucche sarebbero andate se tu fossi spuntata dietro di loro in quel modo?" Gli dico che non lo so - non so praticamente nulla di mucche. Non mi dice che avrei potuto ucciderlo, mandando le mucche in corsa verso di lui. Invece, fa una pausa, e poi dice: "Mi dispiace". Dopo un po' dice: "Non è facile restare al passo con le scuse".
Più tardi viene un uomo per concordare come spianare una parte del pascolo dietro alla casa: arriveranno un sacco di ragazzini per le vacanze e Crowe vuole che abbiano un vero campo per giocare a calcio. Siccome i due sedili anteriori del furgone sono occupati, Crowe mi mette sul cassone, mi dice di restare in piedi e mi fa vedere dove aggrapparmi.
"E' come fare surf" dice. Dopodiché sale sul furgone e si mette a guidare a tutta velocità su e giù per le colline fino al pascolo, scodando in curva e saltando sui solchi della strada. Chasen corre davanti al furgone, abbaiando, Lucy cerca di starci dietro. E' come volare. E' come essere di nuovo ragazzini. Crowe mi sorride con aria cospiratoria quando, alcuni minuti più tardi, salto giù dal furgone, ridendo, rossa in viso.
Secondo il regista Jay Roach, la Disney voleva che "Mystery, Alaska" - scritto da David E. Kelly e Sean O'Byrne - fosse un "film di Russell Crowe". Ma Crowe, che aveva firmato per un film di "insieme", non aveva intenzione di rubare la scena. Quello che invece voleva fare era creare un cameratismo sullo schermo tra i membri della squadra di hockey di "Mystery" creandolo in primo luogo tra gli attori sul set.
"Uscivamo e ci davamo a una qualche festicciola sfrenata," dice Crowe, "e, la mattina dopo, come prima cosa, andavamo sul ghiaccio." Sono seduta a tavola il giorno in cui non c'è nessuno, e Crowe è in cucina, che fa scaldare dell'altra acqua. Fuori, le galline corrono su e giù per il vialetto polveroso, come grassi fiori colorati. Crowe mi racconta di come ha fatto cantare ai suoi compagni di squadra i rispettivi inni nazionali sul ghiaccio. "Tutto sta nel creare un'atmosfera di così eccitante apprendimento, che tutti sono più pronti a reagire," dice. "E dall'interpretazione vengono fuori cose che non puoi semplicemente andare a compare in negozio".
Ora cammina per la stanza, eccitato. "Devi sorprendere il pubblico," dice "devi fare molto lavoro per tenere la gente con te. Quindi fai il sorriso speciale."
Si ferma di colpo e mi guarda.
"Non so," dice "Sto iniziando a parlarne come se fosse del fottuto Shakespeare o una qualche opera d'arte fottutamente importante, e davvero non lo è - è solo un piccolo film pieno di calore. Ma non si possono fare piccoli film pieni di calore senza un certo coinvolgimento emotivo, o non ti vengono pieni di calore, gusto?"
Me ne sto seduta lì con la mia acqua calda e la mia bustina di tè. Lo sto ascoltando e sto tuffando la bustina nell'acqua. Comincia ad osservarmi e io divento immediatamente attenta a quello che sto facendo: è molto esigente riguardo a come deve essere preparato il tè. Appoggio la bustina sul cucchiaino e comincio ad arrotolarci intorno il cordino. "Fai girare intorno il talloncino," dice, e si siede vicino a me intento ad osservare quello che sto facendo. Schiaccio il talloncino sulla bustina fumante e lui dice: "Lo metti sopra, così non ti scotti le dita quando strizzi." Strizzo la bustina, con il pollice sul talloncino e l'indice sul retro del cucchiaino. "Strizza," dice "strizza." Concludo l'operazione, srotolo la bustina dal cucchiaino, la metto da una parte e guardo Crowe. "Ecco fatto," dice "Giusto?"
Quello che Crowe vuole è un totale, intrepido, impulsivo coinvolgimento. Quando gli chiedo quante volte gli capita di riuscire veramente a creare quest'alchimia in una scena con un altro attore, inizia una sorta di litania Pentecostale. "Se ci si lascia andare completamente in quel momento," dice "ci si diverte un sacco, amico. E diventerà reale, diventerà vero, e ci guarderemo negli occhi, e quel tizio dice, 'Azione' e noi creiamo quel piccolo legame - un piccolo legame extra - che è solo tra te e me".
So cos'è quel legame extra. E' quel momento tra Crowe e il suo cane Lucy che tenta di mordere gli zoccoli, quando lui grida "Amico!". E' quel momento in cui ti passa le sigarette attraverso la tavola - e non toglie la mano. E' il momento in cui dice "Cosa. Hai. Detto?". E' quel momento in cui le mucche arrivano di corsa, e in cui il tè è preparato come si deve, e in cui, anche se avresti un mucchi di scuse da fare, dici solo "Mi dispiace".
Alcune notti dopo il mio ritorno a casa, Crowe mi telefona. Mi racconta che Lucy ha dormito con lui nel camper per le ultime tre notti. C'era stata una tempesta, dice, e i fulmini cadevano così vicini alla fattoria e duravano così a lungo che lui poteva dire cinque volte Mississippi prima che ritornasse buio di nuovo.
Durante i silenzi, mi pare di sentire il suo grande cuore battere dall'altro capo del mondo.
"Abbiamo dimenticato di guardare le stelle" dico.
"Il cielo era coperto." dice "Se fosse stato limpido, saremmo stati là fuori, a indicare il cielo."


Copyright GQ, Marzo 1999, Trish Deitch Rohrer

(traduzione di luisa luisacaron@easyclick.it)

MAN ON FIRE

Russell Crowe burns with a Brando-like intensity and sexuality. He's a man's man ... which makes it so difficult for him to apologize
Article by Trish Deitch Rohrer
GQ March 1999

I CANNOT FIND HIM, RUSSELL CROWE, IN THE BEND OF THE BACK road in the Australian bush where he said to meet him. It is already thirty minutes past the appointed hour, and I have not slept for three days. I am on the wrong side of the road, on the wrong continent, way past hallucinations. I am driving back and forth -- past green hills and a rickety sign advertising pecans -- hoping he will find me. And then I see it: the blue truck he mentioned, coming over the ridge from the opposite direction. I catch a glimpse of his face as he passes me by, a high-crowned, short-brimmed cowboy hat pulled theatrically low over his brow, eyes the color of the sky; I am sure he is laughing at me. I had to expect it, that Russell Crowe was not going to be particularly ordinary or easy. It was his imagination, after all, that fueled the maniacal, adrenalized skinhead in Geoffrey Wright's "Romper Stomper." They were his choices that made up the lovesick and uncontrollably violent cop in "L.A. Confidential." It was the awfulness of his glee that jacked up the computer-generated serial killer in "Virtuosity." I do a U-turn then bump over the grass on the side of the road when his truck appears again from the other direction, and he does his own U-y deep into the grass behind me. He comes to a halt and then doesn't stir from his truck. So I get out. Suddenly he says, irritably, "Move your car up!" I scurry back to my car, confused, and do as he says. And just as I am about to get out again to meet him, he screams away.
I am still thinking, at the moment of his leaving, that I am in Australia to interview Russell Crowe about his new film, "Mystery Alaska." I am still holding on to the idea that a couple of meals over a tape recorder and a quick peek at his farm will do it, and then I can spend the rest of my stay sleeping off my jet lag by the hotel pool. I do not yet see that Crowe has another plan. I pull back onto the road and try to follow my subject into deepest Australia.

DEAN COCHRAN, CROWE'S CHILDHOOD FRIEND -- AND A LONGTIME MEMBER of his small rock band, Thirty Odd Foot of Grunts -- says Crowe thrives on conflict. "Russell knows how powerful negative energy is, and he needs to get it out before it's important. It's almost as if he's engineering a negative situation to prepare for a positive one."

I CAN'T KEEP UP. I AM TOO TIRED TO DRIVE INSIDE THE lines at high speed, and so I slow down. At that moment, Crowe pulls over. I park my car behind his, and we sit there. No one -- neither he nor I -- attempts to leave his or her vehicle. Finally, Crowe tips out of the truck, walks up to my passenger window and leans in, his forearms on the door like a cop's. "You were supposed to meet me," he says. His voice is deep and sonorous, like a cello. "I knew it was you," he continues, "because you were the only one looking terrified." Then he does an imitation of me looking like a moronic cartoon driver on some very bad speed. It is an unattractive imitation -- cruel, really -- but he thinks it's funny. I am aching inside, from all the travel and time changes, from missing home, and he finally reaches into my car, a small, funky-looking piece of fruit in his fist. "Here," he says. "Have an apple." He stands up straight then and says, "Lock your car up. I'll drive," and he walks away.

"THERE'S A FIRE IN HIM," BURT REYNOLDS SAYS. REYNOLDS worked with Crowe on "Mystery, Alaska," a film about a small town whose center is threatened when the New York Rangers are brought in to play an exhibition game against the local team -- a sweet group of hockey worshipers with Crowe as their captain. "There's a fire in him," Reynolds says again, "that burns all night long, all day long, all the time. And that may hurt him. Because people don't understand that kind of flame."

"DON'T GO PRANCING AROUND DOWN here alone," Crowe warns me as we bounce along in his flatbed truck over his back pasture, which is green and rife with deep furrows. There is a pair of men's underwear stained with something inorganic on the floor of the cab and a large white spider crushed between the speedometer and the plastic that covers it. Crowe explains why I shouldn't go prancing around his hundred-acre farm alone: Two snakes live on the property, he says, which, when they bite, kill you instantly. And then there are the goannas, gigantic lizards that live in the trees, that climb you -- up one side and down the other -- and the gashes that come from their claws never, ever heal. Crowe pulls into the middle of a large green field and turns off the engine. He jumps out of the truck and says, "Come on." As he climbs onto the flatbed, I trip out of the truck, catching a glimpse of the field to my right: There are cows running toward me, mooing. I throw myself onto the flatbed next to Crowe. From all directions, cows are running and mooing. There are big ones, baby ones, spotted ones. Some are brown; others are taupe, black, white. Their noses are as big as oranges. Something about the way they are running makes the trees and the hills all around seem to shrink, and keep shrinking, and the effect is trippy and delightful. There are fifty or sixty cows coming toward us, and they all seem thrilled to see Crowe. I laugh out loud. Then I look over at Crowe and see that he is watching me, a little boy's smile on his face.

THOUGH HE AND HIS OLDER BROTHER, TERRY, WERE born in Wellington, New Zealand, they moved to Sydney when Russell was 4 years old. His father managed pubs, and the family lived in rooms above them for most of the boys' childhood. When Crowe was 14, long after he had started smoking and drinking, his parents moved back to New Zealand, to the more conservative Auckland, where his father got a job managing a place called the Potter's Wheel, commonly known as the Flying Jug. The Flying Jug was on the border of three towns with differences, and when a fight started there, it always ended with the arrival of an ambulance. Someone was murdered in the front room of the Flying Jug one night, and when Crowe tells this story, you see the dead man lying at his feet. When his mother and father ran into financial trouble four years ago, Crowe bought this nonworking farm and moved them and Terry in. The family sleeps in the house -- a carpeted, small-roomed, one-story affair -- and Crowe sleeps in a caravan (Australian for "trailer") nearby. Because Crowe doesn't have much space, his caravan is packed with boxes of wine and CDs. Whenever we enter, he has to clear a place on a bench for me to sit. He is in the process of doing renovations that will make the farm more comfortable, especially for his parents, whom he sent on a world tour until the bulk of the work was done. The farm is an idyllic piece of land, at the center of which is a deep, beautiful pasture like a big green bowl. At the bottom of the bowl are three small ponds; over the bowl, like a high-domed lid, hangs Australia's huge blue sky. Under no circumstances -- for space or convenience or profit -- may a tree on this farm be cut down or a cow killed.

AMONG THE MALES ON CROWE'S FARM, THERE IS A PACK-like hierarchy, and Crowe is the alpha wolf. His voice is the lowest -- you can hear its vibration from half a mile away. He sits at the head of the table at every meal, and though he is a master at joking and teasing the other men over lunch and dinner, he is never teased. He is not eating meat or drinking at the moment -- he is recovering from his last film and training for the next -- and therefore no one else is eating meat or drinking. Crowe's authority comes partly from his size (he is one-sixteenth Maori, a physically powerful people who, he claims, were once cannibals), but mostly it comes from a kind of unwavering, old-fashioned masculinity. Crowe does not bumble. Instead, he exudes a palpable power -- you can almost hear his blood pumping through his veins, his heart beating in his chest -- and it amps up into the red when he's anxious. People tiptoe around him when he's working on the farm. At stressful times, he becomes snappish and controlling, and you can feel the electrons in the room speeding up, adding an atmospheric edginess. One night while we are sitting in his caravan, tired and hungry, he asks if I'd like a synopsis of his next film, "Gladiator," directed by Ridley Scott. I say, "Sure," and sit back, waiting. He says, " 'Sure' -- that means you don't really give a shit." I imagine that some people might grow to resent Crowe for moments like this. Or they might see such a confrontation as interesting, an opportunity for a little intimate interaction in the present moment.

"I CAN'T BE DISPASSIONATELY removed from the things I do," says Crowe, sitting outside the house watching the dogs, Lucy and Chasen, knock each other over. "I really feel sorry for people who are, who divide their whole life up into 'things that I like' and 'things that I must do.' You're only here for a short time, mate -- learn to like it." On paper Crowe sounds maniacal, but he's really not. People who don't want to sleepwalk through their lives, who want to live to the max in every moment, find it extremely fun to be around Crowe. He's constantly nudging you, saying, "Look at that tree; see how it grows?" "Do you smell that? It's chicken shit." He's always teaching you something -- how to kill a tick, how to deal with a feral cow, the rules of Rugby, the names of trees.

BEING A FEMALE GUEST ON THE FARM IS VERY MUCH like becoming Snow White: All the men who sit at the table -- Bob Long (Crowe's assistant), Rick O'Bryan (Crowe's personal trainer), Dave Chambers (Crowe's cook), Terry (Crowe's brother) and two young farmhands, Paulie and Chris -- fall over themselves with deference. On my first day there, they bustle around like old ladies, ironing linen tablecloths and setting up candelabras for dinner. With Crowe it's different. To him I am not Snow White. Instead, I am the only guest at what has turned out to be a three-day retreat with Crowe as executive director, subject and spirit guide. Whether we're climbing through barbed wire to get to the woods or visiting busy work sites, Crowe makes sure I am safe and comfortable. It is an astonishing feeling, being under the protection of this man.
One night during dinner, the television is tuned to a Rugby game without sound, and the Australian version of the Laker Girls comes on: There are huge, half-naked men -- Maori, I think -- doing a pregame kind of war dance, which consists of a lot of squatting and stamping. Terry turns to me during this spectacle and says good-naturedly, "Don't try this, Trish." Crowe, to my surprise, verbally leaps at him across the table. "What did you say?" he says. Terry says, "I told Trish not to try this." Crowe doesn't wait a second; he is in forward motion against even an inkling of impropriety. "What. Did. You. Say?" he says again. Terry turns back to the television and lifts his fingers off the back of the chair. "Got it," his fingers say.

SALMA HAYEK, WHO STARRED WITH CROWE in 1997's "Breaking Up," has a nickname for him -- Bubo. And he has one for her -- Buba. Hayek laughs when she talks about the difficulties of that particular shoot. The days were long, she says, and the amenities few. For example, Hayek arrived on the set one day and found, in place of a dressing room, a blanket on the floor. "I looked at Russell, and I just went, 'Bubo?' And he says, 'Yes?' And I go, 'Did you throw a fit already?' And he says, 'Yes.' And I go, 'OK -- then I won't say anything.' Because I knew he must have killed them."

CROWE IS TRAVERSING THE LIVING ROOM WHEN NO one else is home. He is telling me about his last girlfriend, an American with whom he broke up last year: She used to travel with him from set to set, but then stopped. "She couldn't keep getting back on the horse," he says. "And that breaks the absolute communication. And then the 'Where were you last night?' starts to happen." He sits down and begins dunking tea bags in dime-store cups with hearts around the sides. He laughs, but it is really only one short exhale from the back of his throat. "The tyranny of distance," he says. He hands me my cup. Crowe makes a connection between his ex-girlfriend and his work. "It takes a certain strength of character to realize," he continues, "that the ground shifts under you all the time. You've got to know how to adapt and focus, mate. And to do that in front of the camera, too. When fucking things come up, you can't stop and say" -- here he does a typical (for him) imitation of a spoiled American director, high-pitched and fey -- Adrienne! I can't do this anymore!"

CROWE STARTED ACTING AS AN EXTRA WHEN HE WAS 6 years old, on a television show for which his mother was the caterer. He began doing musical theater at 19 and continued through his early twenties -- "Grease," "The Rocky Horror Show," "Blood Brothers." (He also busked on the street and worked as a waiter, a car detailer, a DJ, an insurance salesman, a telephone solicitor, a fruit picker, a horse wrangler and a bingo caller on a resort island.) But Crowe had had one of his front teeth knocked out in a Rugby game when he was 10, and he lived with that gap until he was 25, when George Ogilvie, who directed Crowe in his first leading role, in "The Crossing," said to have it fixed. At that point, Crowe's career hit the nitro: In the last ten years, he has made twenty-one films, including the Australian gems "Romper Stomper," "Proof" and "The Sum of Us."
Though Sharon Stone brought Crowe to America to play the gunslinger turned preacher in "The Quick and the Dead," it wasn't until Curtis Hanson needed an unknown actor for "L.A. Confidential" -- someone audiences wouldn't automatically assume was a good guy or a bad guy -- that the insinuation of Russell Crowe into the began. Now, with the one-two punch of "Mystery, Alaska" and Michael Mann's upcoming untitled tobacco project, Crowe will surely begin a long run of worldwide knockouts.

IN ORDER TO PLAY 53-YEAR-OLD, BRONX-REARED tobacco-industry whistle-blower Jeffrey Wigand in the Mann film (also starring Al Pacino), Crowe, who's 34, gained thirty-five pounds. He did this in six weeks by eating cheeseburgers and drinking bourbon. He also shaved his head to better fit a gray wig, and he changed his walk.
Michael Mann thinks Crowe is "a young Marlon Brando." "Let me put it this way," Mann says. "He walked the way Wigand should walk, even if Wigand didn't walk that way OK? Russell makes you work harder because, wow, I've got a 425-horsepower Ferrari here, and I could really go, 'Let's go, man!' " If Crowe has trouble on movie sets, it's more often than not because he doesn't easily trust directors. But he admired Mann, even though he saw him as megalomaniacal. What he can't stand is being smarter, stronger and more talented than his overseer. "The person who's in charge of the ship," he says one day in his caravan about a typical director with no vision, "wants to put up the sails when there's no wind and call for the spinnaker in a coral reef." He lights a cigarette and shoves the pack back into his shirt pocket. "The fuck is that shit?" he says. "There's a lot of pressure put on your performance by indecision -- somebody doesn't know what the fuck they want. If you don't know what you want, then how can I perfect that for you? "It's not like doing a thing," he says about performing. "It's doing the thing: the right thing, the right decision, the collection of physical movements or intellectual ideas which actually will communicate this across that vast gulf of seats. There's got to be that intellectual capacity on the part of the captain of the ship, not" -- here he does that fey American thing again -- "Julian! I need some more coffee! You people don't respect me!" He doesn't laugh, but I do. "I had that a lot on this one particular movie," he says.
"Which one?" I ask.
"It's called--" and then he rubs his index finger up and down on his lips, making a bububububu sound.

CURTIS HANSON, WHO DIRECTED "L.A. CONFIDENTIAL," says, "Russell was relentless in his pursuit of the essence of the character. If that made him a pain in the ass sometimes, you live with it. What I don't like living with is someone who's a pain in the ass out of either star stuff or just self-involvement. With Russell it was about the work."

IT IS 7:30 IN THE MORNING, MY second day on the farm, and I ask if I can help drench the cows (that is, get them into a corral, coax them down a narrow chute and then spray them with a poison that kills ticks). Crowe, hard at work in his shorts and hat, gives me the job of getting the cows into the chute. This means climbing into the corral with them and doing whatever it takes -- pushing them, pulling their tails -- to force them down the metal corridor that leads to the drenching.
It is thrilling to be so close to such big, amusing animals, and I don't even mind when one shits all over my new clogs. When Lucy begins playing with the cows, barking wildly and snapping at their hooves, Crowe points at her and yells, "Mate!" and Lucy sits down, guilty and cowering. Everyone laughs. Then two of the black cows escape the assembly line. Crowe tells me to climb some fences and get up behind them, and I hesitate. He says it again: Climb those fences, and gestures vaguely. So I do that -- I head for the fences nearest me and start to climb, not realizing that what he wants is for me to sneak around the cows and surprise them. "Not those fucking fences!" he yells, his hands in fists, his eyes flashing. "Where the fuck do you think the cows are going to go?!" I come down off the fence, shocked. The morning is suddenly frozen, the farmhands silent and staring at their boots. No one has ever yelled at me like that. After a moment or two, the day starts up again. Eventually, the cows are caught and drenched, and Crowe and I walk up to the house in silence. A few minutes later, when we are all sitting down to a post-drenching cup of tea, he pushes his cigarettes and his plastic lighter toward me across the table, keeping his hand on the pack. He is looking me in the eyes, and he says, "Coffin nail with your cuppa, love?"
It works as an apology. Still, I speak to him that afternoon about yelling at me, and he acts as if he doesn't remember. "What did I say?" he asks me. Then he says, "Well, where did you think the cows would go if you came up behind them like that?" I say I don't know -- I don't know much about cows at all. He doesn't tell me that I could have killed him, sending the cows stampeding in his direction. Instead, he takes a moment, and then he says, "I'm sorry." After a while, he says, "It's not easy keeping up with the apologies."
Later a man comes by to see about leveling part of the pasture in back of the house: A lot of kids are coming for the holidays, and Crowe wants them to have a proper field to play soccer on. Because the two front seats of the truck are taken, Crowe puts me onto the flatbed, tells me to stand up and shows me where there's a bar to hold on to.
"It's like surfing," he says. Then he gets into the truck and proceeds to drive fast up and down the hills leading to the pasture, making sharp turns and bumping over the ruts. Chasen is running out in front, barking, and Lucy is trying to keep up behind. It is like flying. It is like being a kid again. Crowe smiles at me conspiratorially when, a few minutes later, I jump off the truck, flushed and laughing.

ACCORDING TO DIRECTOR JAY Roach, Disney wanted "Mystery, Alaska" -- written by David E. Kelley and Sean O'Byrne -- to be a "Russell Crowe movie." But Crowe, who had signed on to an ensemble film, had no intention of hogging the limelight. What he did want to do, though, was create an onscreen closeness among the members of the "Mystery" hockey team by creating it offscreen among the actors.
"We'd go out, and we'd have a rip-roaring, howdy-doody little bit of a party," Crowe says, "and we'd be on the ice the first thing in the morning."
I am sitting at the table on the day no one is around, and Crowe is in the kitchen, boiling more water. Outside, the chickens are running around the dusty drive like fat and colorful flowers. Crowe tells me how he made the teammates sing their respective national anthems on the ice. "It's all about creating such an exciting learning environment that everybody stays on their toes," he says.
"And things come out of the performance which you can't go down to the shop and buy." He is pacing around by now, excited. "You've got to take an audience by surprise," he says. "You've got a lot of work to do to keep people with you. So take the extra mile."
He stops, suddenly, and looks at me.
"I don't know, mate," he says. "I'm starting to talk about it now like it's fucking Shakespeare or some fucking hugely impressive piece of art, and it really isn't -- it's just a warm little movie. But you can't make warm little movies without a certain emotional involvement or they don't come out warm, you know?"
I am sitting there with my hot water and my tea bag. I am listening to him, and I am dunking. He starts to watch me, and I become self-conscious: He is a stickler for how tea is made. I lay the bag in my spoon and start to wrap the thin string around it. "Take the tag all the way around," he says, and he sits down next to me, intent on what I'm doing. I press the tag onto the steaming tea bag, and he says, "You put it on top, so then you don't burn your finger when you squeeze." I squeeze the tea bag, my thumb on the tag, my index finger on the back of the spoon. "Squeeze," he says. "Squeeze." I finish, unwrap the bag from the spoon, set it aside and look at Crowe. "There you go," he says. "Right?" What Crowe wants is total, fearless, impulsive involvement. When I ask how often he gets a chance to really mix it up in a scene with another actor, he goes into a kind of Pentecostal routine. "If you give over absolutely in that moment," he says, "we're going to have a ball, man. And it's going to be real, and it's going to be true, and we're going to look at each other, and that fella says, 'Action,' and we're going to have a little connection -- a little extra connection -- that's just between me and you."
I know what that extra connection is. It's the moment between Crowe and his hoof-biting dog, Lucy, when he yells, "Mate!" It's the moment he passes the cigarette pack across the table -- and does not take his hand away. It's the moment he says, "What. Did. You. Say?" It's the moment the cows come running, and the tea is done well, and, even though you've got a lot of apologizing to do, you say, "I'm sorry."

A FEW NIGHTS AFTER I GET home, Crowe calls. He tells me that Lucy has been sleeping with him in the caravan for the last three nights. There was a storm, he says, and the lightning came so close to the farm and stayed lit for so long that he could count to five Mississippi before it went dark again. In the silences, I think I can hear his big heart beating from around the world.

"We forgot to look at the stars," I say.
"The nights were overcast," he says. "Had they been clear, we would have been out there, pointing up."

Trish Deitch Rohrer is a writer living in New York.

© Copyright GQ, 1999

 

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