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Evoluzione e struttura del debito

Qui ci limiteremo, in sostanza, a un commento dei dati relativi a tre momenti della storia del debito consolidato (cioè espresso in titoli di credito) di Gambolò: il 1624, il 1668 e il 17232.38. Discuteremo, quindi, di fenomeni evolutivi utilizzando perlopiù queste tre fotografie sincroniche della situazione debitoria. Un'avvertenza preliminare: quando si parla qui di debito s'intende pressoché un unico strumento, il ``censo'', che rimase dominante per tutta l'età moderna. L'evoluzione e il cambiamento di questo strumento fiscale è legato a due fatti fondamentali, già peraltro sottolineati da Luigi Faccini2.39: l'abbassamento forzoso degli interessi del 1637, che preludeva ad una lenta discesa dettata dalle condizioni di mercato del credito per tutto il secolo; e l'assottigliarsi delle garanzie. Se d'altro canto abbiamo già accennato alle ragioni dell' ``offerta'' (e cioè all'impossibilità di coprire coi mezzi della ``taglia'' le richieste provenienti dal Centro) restano da chiarire ancora le motivazioni della ``domanda'', o meglio la natura dell'incontro tra i due fattori.

A questo riguardo, essenziale per un giudizio mi sembrano le ``persistenze'' nel possesso di censi sia da parte di parentele come di istituzioni (in realtà si tratta solo enti religiosi, o comunque di ispirazione religiosa, come le compagnie o le confraternite). Nel primo caso, dato l'elevato indice di frantumazione nel tempo dei rami parentali è assai improbo stabilire se si trattasse (come parrebbe probabile) di permanenze dello stesso strumento di credito; quest'ultimo si frazionava infatti assai di frequente nel momento del passaggio ereditario. Ci si dovrà dunque accontentare dei dati relativi alla persistenza della parentela nel debito consolidato in generale, mentre il discorso cambia ovviamente per le istituzioni, ambiente in cui è minore (o nullo, per non dire che si vada nella direzione esattamente opposta, cioè verso l'accumulazione) il grado di frantumazione del credito nel tempo. Per quest'ultime indico qui comunque solo le presenze più risalenti:

Tabella 2.3: Persistenza di parentele e istituzioni nel debito pubblico
Censuario Persistenza Censuario Persistenza
Monache Santa Clara di Vercelli 25/11/1527-1723 (stesso strumento) Conti Arconati 20/7/1618-1723 (stesso strumento)
Compagnia Immacolata Concezione di Vigevano 1623-1723 (probabilmente stessi strumenti) Cotta 1615-1723
Carnevale 1616-1723 (Carnevale Schianca) Ferrari 1615-1723
Dogliolo 1601-1668 (in parte stessi strumenti) Naj 1615-1723
Raverta 1617-1723 Bianchi 1668-1723 (prob. stessi strumenti)
Litta 1668-1723 (stesso strumento) Rovarino 1617-1723

Da questo breve specchietto emerge da un lato l'estrema longevità del singolo strumento creditizio, specialmente nel caso di istituzioni come la Confraternita dell'Immacolata Concezione di Vigevano e le Monache di S. Chiara di Vercelli, che avevano importanti enclaves a Gambolò; in quest'ultimo caso, sappiamo che un censo resta attivo per ben due secoli. E' quindi evidente come assai spesso tali strumenti diventassero patti ad infinitum, che solo nominalmente potevano essere ``redenti''. E' però dubbio se la causa di tale longevità stesse dalla parte della domanda piuttosto che di quella dell'offerta. E' senz'altro vero che quest'ultima, cioè la comunità, aveva tutto l'interesse a prolungare la durata del credito; non mancava però certo ai censuari capacità d'intervento in materia, con la possibilità di essere soddisfatti in modo magari anche piuttosto ``esotico''2.40.

D'altro lato, più ancora della longevità dei singoli strumenti creditizi mi sembra significativo un altro tipo di longevità, quella relativo alla tendenza di alcune parentele a rimanere per tutta l'età moderna dentro il mercato del credito locale, contrariamente ad altre presenti solo in specifici periodi. Si può probabilmente vedere questa persistenza non tanto nell'ottica del maggior patrimonio che sicuramente ebbero i componenti di tali famiglie, e che si potrebbe del resto ricostruire agevolmente in relazione a vari momenti2.41; ma in quella del ``governo delle parentele'' su cui era fondata Gambolò.

Consultando l'elenco delle parentele chiamate a nominare il Consiglio Generale dei Sessanta della comunità, nel 1596, troviamo le seguenti: Raverta; Calvo e Naj (assieme); Rovarino; Ferrari e Beccaria (assieme); Pastore e Dogliolo (assieme); Carnevale; Bianchi; Cotta; Marchese; Costa; Scevola; e i Gatto e Cusono (assieme)2.42. Fra queste troviamo anche i gruppi più longevi nel possesso di censi, sebbene non fossero nel complesso i maggiori investitori. La continuità della parentela all'interno del credito locale mostra però un aspetto importante, e cioè quanto dal lato della domanda le maggiori motivazioni non fossero di ordine economico, ma sociale e/o politico. Se cioè la comunità ``offriva'' per ragioni puramente di bilancio (copertura del debito), i censuari rispondevano per altre ragioni. Una di queste, per quel che riguarda le parentele, senza dubbio nasceva dall'idea di far parte di un governo ``politico'' della comunità.

Probabilmente per lo stesso motivo la famiglia di feudatari, i Litta, avevano comprato cospicui censi, nel tentativo cioè (peraltro accertato storiograficamente) di ingerirsi il più possibile nelle politiche comunitarie2.43. Gambolò fu infeudato piuttosto tardivamente, nel 15732.44, per motivi di ``realizzo'' economico da parte del Governo spagnolo. Sarebbe tuttavia difficile immaginare comunità più estranea al concetto di ``feudo'' di quanto non fosse Gambolò, con amplissimi beni comunali, una politica impostata esplicitamente sui gruppi parentali, un perticato pressoché interamente posseduto da locali. Inevitabilmente, dovevano quindi scoppiare liti relative a quella che era la maggiore ricchezza di Gambolò, e che in altre comunità lombarde dell'epoca apparteneva quasi sempre al feudatario, vale a dire i dazi e soprattutto i diritti (che discuteremo poi). In questo senso, il Litta aveva bisogno di strumenti per scardinare la compattezza politica di Gambolò; e uno di questi fu senza dubbio la partecipazione al debito comunale.

Sappiamo del resto che con un progressivo annacquamento del fondamento della rappresentanza sulle parentele, nel secondo Seicento i Litta arrivarono all'importantissima prerogativa di poter nominare un quinto del Consiglio dei Sessanta2.45.

In questa fase, gli elettori dei Sessanta erano da un lato sedici ``maggiorenti'' della comunità, in parte (ma non del tutto) legati alle vecchie parentele, e dall'altro il Litta. Nel 1648, per esempio, i sedici elettori per la comunità erano Gaudenzio Naj, Simone Cotta, Lazzaro Carnevale, Francesco Cotta Ramusino, Gio. Stefano Cassini, Gio. Giacomo Lissi, Riccardo Costa, Gio. Batta Bianchi, Bartolomeo Raverta, Carlo Raverta, Giacomo Antonio Scevola, Paolo Antonio Scevola, Francesco Magenta, Vincenzo Carnevale Carlini, Vincenzo Moschino e Gioanni Toniano, con la presenza di alcuni gruppi emergenti come i Lissi e i Cassini ma con un legame più flebile verso le parentele: i sedici elettori non erano più infatti i gruppi parentali stessi, ma consiglieri sorteggiati fra i Sessanta uscenti. Si procedeva così a una chiusura oligarchica che parrebbe in realtà togliere forza al ``fattore parentale'', giacché la scelta della rappresentanza non si fondava più su logiche interne alle famiglie ma su una sorta di meccanismo di autoperpetuazione del consiglio. Una considerazione, questa, rafforzata dal fatto che al consiglio si aggiungeva (un'innovazione databile agli anni Dieci del Seicento) per le discussioni inerenti questioni fiscali un gruppo di 24 adiuncti, formato dai 24 maggior estimi della comunità.

Il fattore decisivo pareva del resto rimanere quello dell' ``alleanza'': non solo fra parentele ma anche col feudatario, nonostante le liti e i conflitti (o come dimensione speculare a quella del conflitto?). Questo aspetto si vede bene nelle nomine: gli elettori tendevano a scegliere rappresentanti di gruppi ``storici'' di Gambolò, magari proprio di quelli privati momentaneamente, per il gioco del sorteggio, del diritto di voto: nel 1648 Lazzaro Carnevale elegge un Gatto; Bartolomeo Raverta un Marchese; Francesco Cotta Ramusino un Pastor Merlo; Simone Cotta un Naj Oliari; Gioanno Tomiano un Marinone; Riccardo Costa un Carnevale Schianca; Francesco Magenta un altro Marchese; il notaio Cassini un Beccaria, un Belardi e un Gatto. Le vecchie famiglie di notabili rientravano in tal modo in gioco. Parrebbe, del resto, che più che di ribaltamento dei ruoli si possa parlare di uno scambio e di una solidarietà politica, la quale aveva la comunità come suo collante. Lo stesso feudatario compiva le sue scelte in questo senso, non proponendo nomine ostili ma rieleggendo buona parte dei sedici elettori (che non potevano chiaramente autoeleggersi) e premiando le famiglie ``storiche''; nella sua scelta del 1648 troviamo infatti: Ercole Carnevale, Agostino Lissi, Gio. Stefano Cassini, Vincenzo Gatto, Alessandro Carnevale, Francesco Dogliolo, Gio. Maria Carnevale, Lazzaro Carnevale, Gio. Pietro Pastor Merlo, Carlo Raverta, Gioanni Carnevale Bonino e tal Bernardino Nardino2.46. La ``solidarietà'' dei Litta2.47 deve essere vista proprio come un comportamento teso a penetrare nelle maglie della comunità come ``competitore'', in questo al pari degli altri clans parentali, ma con fini diversi e cioè di appropriazione di prerogative e risorse a spese e non entro la comunità (chiariremo meglio il concetto parlando poi dei beni comunali). Competizione voleva dire, ovviamente, anche alleanza, nonché compromesso, come quando a fine Seicento e dopo un lungo periodo di ``anarchia''2.48 si arriva a un importante «Ristritto dil concerto tra il Marchese Litta et la comunità di Gambolò», con la decisione che «Il Marchese no deputara più giudici di strade, et vettovaglie et la comunità conforme al suo solito diputarà i suoi campari, et revisori»2.49.

La comunità resisteva però nel possesso dei beni comunali, di cui il Litta non riusciva ad appropriarsi, in quello dei terreni, e manteneva anche una certa autonomia nell'impostazione delle proprie politiche. Uno degli indizi in questo senso fu, mi pare, l'istituzione nel secondo Seicento di una tassa detta del ``Buon Governo'', e contro cui il Litta si scagliò sempre furiosamente. Questa serviva infatti essenzialmente per i bisogni della comunità, ma essendo spalmata sull'estimo reale in cui il Litta stesso era compreso trovava quest'ultimo fra i suoi maggiori finanziatori2.50. Lo stesso Podestà del luogo, pur nominato dal feudatario (come era tipico per tutta la Lombardia, dato che la ``bassa giustizia'' era competenza del feudo) faceva sapere che chi rifiutava di pagare tale tassa «finito il conseglio non sarà più admesso à contradire»2.51.

Complessivamente e tenendo conto di un certo margine d'incertezza (ripetizioni, errori di calcolo, e altro) che connotava la stesura dei bilanci dell'epoca ci troviamo di fronte a una situazione del genere:

Tabella 2.4: Riassunto censi
Anno Numero strumenti Numero censuari Capitale Interessi
1624 57 28 213.250 lire e 400 doppie 14.322 e 28 doppie
1678 62 60 340.327 6.145
1723 61 60 291.282 5.879

La stipula di censi aveva dunque subito una certa evoluzione nel corso del Seicento, allargando sia la base della raccolta (maggior numero di censuari) come l'entità complessiva. La motivazione principale dell'allargamento della base mi pare comunque riferibile alla frantumazione degli strumenti creditizi in merito alle parentele, quando i censi passando per via ereditaria venivano spezzati in più parti. Un caso, questo, palese ad esempio per quel che riguarda la famiglia Cotta, che vantava un unico possessore nel 1624, ma di ben nove censi, mentre contava sei possessori nel 1668 in merito ad altrettanti censi (di cui uno enorme di 34.000 lire), situazione poi stabilizzatasi nel 1723 quando la famiglia compare assieme (unico censo) sotto la dicitura di ``fratelli Cotta''. Un ragionamento del genere è talora applicabile anche alle istituzioni, come le Orfanelle di Vigevano, che si trovano proprietarie nel 1678 di un censo enorme di 48.000 lire che non fa altro che accorpare quattro censi distinti posseduti da Agnese de Rivera nel 1624 e lasciati in eredità al Luogo Pio2.52. Come tipico di simili istituzioni, le Orfanelle non richiedono la restituzione ma «vorrebbe sodisfatione d'essi crediti almeno in qualche punto per sovvenire alli bisogni d'esso luogho»2.53. Ragionamento analogo per il Convento di S. Francesco di Vigevano, possessore di un censo perché ereditato da Gioanni Pozzo2.54.

Se così nel 1624 troviamo attive nel credito locale solo un paio d'istituzioni religiose (le Monache di Santa Clara di Vercelli e la Compagnia dell'Immacolata Concezione di Vigevano), queste sono salite a ben dodici nel 1723 (Madri di S. Clara di Vercelli, Monache S.Clara Vigevano, Monache dell'Assonta Vigevano, Venerando Ospedale S.Arcangelo di Gambolò, Compagnia dell'Immacolata Concezione di Vigevano, Veneranda Compagnia del S. Rosario di S.Gaudenzo di Gambolò, Veneranda ``Caseta'' di S.Bernardino, Veneranda Compagnia del Carmine di S. Eusebio, Reverendi Padri S. Pietro Martire Vigevano, il Convento di S. Francesco di Vigevano, i Padri di S. Paolo di Vigevano, la Cappella di S. Carlo del capitolo di S. Defendente), con la permanenza delle due ``investitrici'' originali (Monache di S. Chiara e Compagnia dell'Immacolata) e la presenza pressoché unica di enti religiosi locali (di Gambolò o Vigevano, con l'unica eccezione delle Madri di S. Chiara, che avevano però sede anche in loco). E' probabilmente lecito attribuire una tale proliferazione ai lasciti di laici più che ad un'autonoma politica di investimenti di tali enti, come parrebbe suggerire anche la folta presenza di confraternite e compagnie. Queste venivano infatti dotate di benefici laicali in modo tale da poter proseguire la loro attività.

Si delineano così tipologie di comportamento che favoriscono due elementi solo apparentemente contrapposti: la frantumazione degli strumenti creditizi in più mani; e la persistenza degli stessi attraverso il tempo, una persistenza spesso favorita dalla frantumazione stessa. Per motivi infatti diversi sia le parentele come le istituzioni ecclesiastiche tendevano al ``lungo possesso'' dei censi, utilizzandoli poi come lasciti e benefici. Se, dunque, dal lato dell'offerta possiamo scorgere motivazioni prettamente economiche, fiscali, da quello della domanda prevale invece una coloritura sociale e politica: il censo come fronte di pressione nei confronti della comunità; come ``beneficio'' (e impiego continuo del denaro per finanziare attività religiose); come, infine, simbolo di appartenenza alla comunità, di condivisione del Governo.


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2005-06-27