COMISO E COMISANI
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GALLERIA DI COMISANI
Ricordiamo di aver visto alle pareti
della sagrestia di una chiesa comisana i ritratti
dei parroci che si sono succeduti nel tempo.
Allo stesso modo, desideriamo
realizzare una "galleria" nella quale,
pur non esponendo delle effigi, vengono
presentati i ritratti di alcuni nostri
concittadini (uomini e donne), tipici esponenti
della "comisanità".
Si tratta di Comisane e
Comisani, che, nella mente e nel cuore di coloro
(pochi o molti, non importa) che li hanno
conosciuti, hanno lasciato un buon ricordo per
l'estro, per l'umanità o la delicatezza d'animo,
per la semplice religiosità, per l'eroismo o la
serenità con cui hanno saputo affrontare le
prove, a volte tremende, che la vita ha loro
riservato.
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'U privissuri
Colombu
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Pinò Colombo era matricrisiaru,
ma soprattutto era un artista vero e
versatile.
Molti lo ricordano come pittore. Ma negli anni '50,
non più giovanissimo, nell'ambito della
Parrocchia della Chiesa Madre, si era rivelato un
brillante organizzatore di spettacoli per giovani
e famiglie, in cui venivano presentate opere
comiche in italiano e in dialetto, si cantavano
canzoni, si interpretavano allegre scenette; il
tutto per divertire e far trascorrere
allegramente qualche ora agli spettatori.
Tra i giovani attori della compagnia c'erano
Biagio Pelligra, diventato attore di professione,
ed i compianti Totò Fidone e Neli Rimmaudo.
Di questi spettacoli 'u privissuri era l'ideatore, il
regista, lo sceneggiatore, il costumista; ma in
essi era anche attore, caratterista, cantante...
Magistrale era la sua interpretazione nelle farsa
"La classe degli asini".
E in ogni spettacolo non mancava la sua simpatica
ed ironica interpretazione, come attore-cantante,
della canzone il cui ritornello faceva:
"Vento,
vento, portami via con te;
raggiungeremo insieme il firmamento
ove le stelle brilleranno a cento..."
"Da qualche anno, ormai, caru privissuri, avete raggiunto il
firmamento.
E lassù tra le stelle la vostra anima d'artista,
ne sono sicuro, si trova veramente bene".
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Don Suzzu
Tariulu
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Col fratello don
Cicciu aveva un negozio di generi alimentari
sul corso Vittorio Emanuele, no quartieri 'a
Razzia.
'A putia era piccola, ma piena di sacchi
di farina, zucchero, pasta, legumi
(e, a tempo debito, di pastigli, nuci,
nuciddi); tutta roba che veniva venduta sfusa,
dopo essere stata pesata su una bilancia a due
piatti con i pesi in ferro.
Per le grandi quantità, che non potevano essere
contenute nel piatto della bilancia, veniva usata
'a statìa; in questo caso alla pesatura
provvedeva don Cicciu, che era più
forte e robusto.
Nel retro, dietro l'armadio, vicino ad altri
sacchi, c'era 'na rattera con l'esca e
con lo sportello sempre aperto per ricevere
qualche ospite indesiderato nel negozio.
La specialità di don Suzzu era vìnniri a crirenza.
E con la sua bella e regolare grafia annotava la
merce venduta, con relativi importo e data, su un
quaderno dalla copertina nera usando un mozzicone
di matita tenera, che teneva sempre appuntito.
La stessa annotazione faceva poi sul foglio che
gli presentava l'acquirente (in genere una donna
o un ragazzo, poiché il capofamiglia era a
lavorare o non aveva il coraggio di farsi vedere).
E quando un debitore saldava il debito (di solito
dopo aver venduto i prodotti del raccolto o dopo
aver ricevuto il compenso per il lavoro svolto), don Suzzu con una gomma cancellava
meticolosamente le note scritte sulla pagina del
quaderno riservata a quel cliente. E sulla stessa
pagina, a partire dal giorno dopo, ricominciava
ad annotare i nuovi acquisti che lo stesso
cliente, inevitabilmente, riprendeva a fare a
credito.
Non mancarono casi per i quali don Suzzu non potè mai cancellare
quanto aveva scritto sul suo quaderno dalla
copertina nera.
Nessuno, però, lo sentì imprecare per quanto
era successo.
E quando, alcuni decenni fa, don Suzzu bussò alla porta del
Paradiso, il Padreterno (ne sono convinto) lo
accolse con un sorriso e di buon grado gli perdonò
il suo piccolo debito, come egli aveva saputo
fare con qualche cliente. Poi chiamò un angelo e
lo fece condurre da donna Pippina sua
moglie, persona buona e generosa, che da qualche
anno l'aveva preceduto in Paradiso.
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Don Turi Zzappaggiuni
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Abitava no quartieri
'a Razzia.
Era piccolo di statura, ma grande per umanità,
buon senso ed educazione.
Sebbene la sua vita non fosse stata delle più
fortunate, mostrava piacere per le fortune ed i
successi di quelli che conosceva e stimava.
Per mantenere la famiglia aveva fatto molti
mestieri; e, non più giovane, andava a vendere
capi d'abbigliamento per vari paesi.
A me è rimasta nella memoria e negli occhi
questa scena: era luglio, la festa del Patrono S.
Biagio, e nella via della Villa Comunale, vicino
al chioschetto, don Turiddu raschiava con una piccola pialla di
ferro una balla di ghiaccio posta su un banchetto.
E quando il vano della pialla era pieno, egli la
capovolgeva e versava il ghiaccio tritato, ma
compatto, su un piattino; e, dopo avervi versato
sopra uno sciroppo di colore molto intenso, lo
consegnava, così ben colorato, al ragazzo o al
genitore che lo aveva prenotato.
"Riposate
in pace, caru don Turiddu; e sappiate che c'è
ancora chi Vi ricorda e, ricordandoVi, si
commuove".
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