COMISO E COMISANI
'U 'ngignieri
Terranova
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Nato verso la fine del
1800, dopo aver conseguito a Napoli la laurea in
Ingegneria Civile Salvatore Terranova fu per molti anni capo
dell'Ufficio Tecnico del Comune.
Sposò
una ligure, Immacolata di San Lorenzo, che
insegnava presso la Scuola d'Arte; purtroppo non
ebbero figli.
Ciò fu per lui motivo di tristezza, che cercò
di superare facendo da padrino di battesimo ad
alcuni figli di amici.
Con i figliocci era prodigo di regali e quando
parlava ad uno di essi, forse per l'inesaudito
desiderio di paternità, solitamente lo chiamava
"beddu figgiu", anche se
propriamente bello non era.
'U
'ngignieri Terranova era un uomo schivo, mite, modesto e
generoso, quanto intelligente, serio e meticoloso
nel lavoro.
Di lui ricordo la capacità di fare a mente e
velocemente (allora non c'erano le calcolatrici)
la moltiplicazione tra due numeri di due cifre (ad es. 67x84).
Come
Ingegnere Comunale diresse o controllò
l'esecuzione delle grandi opere cittadine
realizzate nel periodo fascista: sistemazione del
cianu 'a Nunziata con la nuova scalinata,
realizzazione del cianu 'a Matrici e
della sottostante Piazza delle Erbe,
realizzazione dell'acquedotto e della rete
fognaria.
"Son
passati più di trenta'anni, caru 'ngignieri, dall'ultima volta
che Vi venni a trovare nella vostra casa di via
Principessa Elena; e ricordo che, nonostante i
grandi dolori che Vi affliggevano, aveste la
forza di accogliermi col sorriso e, com'era nella
vostra natura, di conversare amabilmente.
Arrivederci, a Dio piacendo".
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Santinu
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Santinu era un giovane buono e
mite.
Lo ricordo nel suo vestito scuro, con gli occhi
buoni sorridenti dietro gli occhiali e sempre
sereno quando discuteva con i suoi coetanei.
Quand'era
bambino una malattia gli aveva reso difficile la
deambulazione; ma ciò non indebolì la sua
volontà, anzi...
Negli
anni '50, dopo la scuola media, nonostante la
precarietà dei trasporti del tempo andò a
studiare a Ragusa.
Diplomato ragioniere, decise di andare a trovare
lavoro a Milano. E lo trovò.
E
quando tutto sembrava aver preso il verso giusto,
il destino non cessò di essergli ostile: mentre Santinu camminava su un
marciapiede, un mezzo pubblico lo fermò per
sempre.
"A
distanza di tanti anni, caru Santinu, mi vien di pensare
che anche in quel tragico momento il tuo volto
era atteggiato al sorriso; e che con quel sorriso
Ti presentasti al Creatore, fiducioso di essere
accolto tra le anime buone".
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'U privissuri Di
Giacumu
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Il prof. Giovanni Di Giacomo, negli anni '50, era
docente di materie letterarie nelle
classi 4^ e 5^ del ginnasio "Giosuè
Carducci".
I suoi allievi, quando parlavano tra di loro, lo
chiamavano Vanninu; invece per molti dei
loro genitori era 'u ènniru ro biondinu
('u biondinu aveva un negozio di pellami
e di articoli per calzolai in via Gioacchino
Iacono, vicino alla "Società dei Figli del
Lavoro").
'U
privissuri Di Giacumu era un insegnante serio,
coscenzioso e sapeva premiare gli studenti che
s'impegnavano nello studio.
Fuori della scuola era un uomo mite e
profondamente religioso.
Spesso lo si vedeva, un po' appartato e tutto
raccolto, alle funzioni serali nella Chiesa Madre.
E quando il sacerdote alzava l'ostensorio per la
benedizione, era forse l'unico uomo che aveva
l'umiltà e il coraggio d'inginocchiarsi davanti
al suo Dio.
"In quest'epoca, in cui sembrano trionfare
l'orgoglio e la chiassosa ostentazione del
denaro, si sente il bisogno, caru privissuri, di persone come
Lei, che possano insegnare, silenziosamente e con
l'esempio, l'umiltà che rende l'uomo veramente
grande".
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