comiso



Si sapi unni si nasci

http://digilander.libero.it/comiso

ma nun si sapi unni si mori

COMISANI
NEL MONDO

comisani@libero.it



COMISO E COMISANI





COLLEGAMENTI

- COMISANI

- RELIGIOSITÀ POPOLARE

- TRADIZIONE

- STORIA LOCALE

- NOMI E COGNOMI

- VARIA

- DIARIO APERTO

- LETTERE E MESSAGGI

-
IMMAGINI VECCHIE E NUOVE


HOME PAGE

 


COMISANI NEL MONDO

Questa sezione è dedicata a tutti i Comisani che, per i vari casi della vita, sono andati a vivere fuori dalla nostra isola.

Di tutti costoro vorremmo raccontare le vicende, riferire i pensieri di nostalgia per il loro e nostro paese, per i giochi e i suoni e i sapori della loro fanciullezza.
E vorremmo farci interpreti della tristezza di coloro i quali han dovuto lasciare le persone care o amiche, e non hanno più potuto né riabbracciarle, né portare un fiore sulla loro tomba.

Assieme ai tanti emigrati Comisani che hanno migliorato le loro condizioni di vita, vogliamo ricordare coloro (speriamo pochi) che, sfortunati nel paese natio, altrove non hanno avuto miglior fortuna.

Quale segno della nostra solidarietà e del nostro affetto per costoro, riportiamo da COMISO VIVA un brano del bel racconto "Incontro ad Acarigua" di Sara La Perna.

Di seguito vengono riportati ricordi, nostalgia e riflessioni di nostri concittadini che vivono lontano da Comiso.





da "Incontro ad Acarigua"

(In Venezuela io e mio marito) una volta capitammo in una città, Acarigua, popolata di molti comisani. Visitammo parecchie famiglie e fra queste una che conosceva i miei e che era formata dal vecchio padre e da una figlia sposata con una nidiata di piccoli.
Abitavano in una casa modesta, col tetto in eternit, le stanze anguste ma accoglienti, con l'immancabile quadro della Sacra Famiglia sospeso sulla testata del letto matrimoniale, quasi a richiamare l'arredamento della modesta casa natìa.
Tutti in questa famiglia erano venezuelani al cento per cento, così nella mìmica come nella lingua, eccetto l'anziano padre settantenne che parlava lento, nel nostro dialetto, e non spiccicava una sola parola in spagnolo.

Appena questi ci vide, s'illuminò in viso, ci conosceva tutti e due, come no, Apollonio il figlio di don Suzzu, Sara la figlia di don Turiddu.
Disse subito in cucina che si affrettassero a preparare un gran pranzo, poiché erano arrivati dei cari amici comisani.
Tutto il giorno (per sodisfare i desideri di quest'uomo, dal cuore colmo di nostalgia, e che portava scritta sul volto rugoso la certezza di aver perduto per sempre il suo piccolo mondo) io e mio marito abbiamo dovuto parlare di tutti i comisani, uno per uno, quasi, dai vicini di casa agli uomini politici, dai medici ai professori, dal marchese Scillieri a Suzzu 'u Re.

"Oh, scusate, scusate - infine ci disse - vorrei chiedervi un'ultima cosa: il pergolato che stava sopra la porta di casa mia, là in quella viuzza, dal selciato lucidato dai carri, quella viuzza che scendeva fino alle verdi rive dell'Ippari, c'è ancora? Dà sempre la stessa generosa ombra che rinfrescava i miei pomeriggi estivi e sonnolenti?"
"Si" - rispondemmo - e avremmo voluto aggiungere che mancava solo lui sotto il pergolato, seduto sulla vecchia sedia.

Il caldo tropicale di quella giornata non ci fece gran che soffrire; avevamo regalato ad un uomo triste e melanconico un po' dell'aria del suo paese.

Quando ci salutammo, mio marito volle fare una domanda: "Don Guglielmu, come mai non avete imparato dopo tanti anni la lingua spagnola?"
La risposta fu quella che avrebbe potuto dare un comisano qualunque, intelligente, dignitoso, fatalista nel dolore e non privo di un sottile spirito, quasi all'inglese: "Io non parlo lo spagnolo perché già faccio molto a stare qui, lontano dalla mia terra, quindi aspetto che siano i venezuelani ad imparare il comisano".

E sorrise, sorrise ancora, mentre noi accettammo la sua lezione di coraggio e di fedeltà.

(Sara La Perna)





DAI COMISANI NEL MONDO

27/09/2007

Ho un ricordo che desidero far conoscere ai Comisani e soprattutto agli studiosi della storia di Comiso.

Eravamo in piena seconda guerra mondiale ed io, avevo una decina d'anni, stavo ascoltando la conversazione di mia madre con la vicina dirimpetto.
Eravamo in piena estate,  un'estate torrida ed afosa, che c'impediva di dormire, per cui si stava seduti fuori aspettando che rinfrescasse.
Non c'era illuminazione elettrica, né luce nelle case, però c'era la luce della luna che era molto forte. Era notte alta ed un silenzio  assoluto dominava la notte.
Non si sentivano né si vedevano persone e, cosa strana, non passava nessun carrettiere.

Ad un certo punto si sentì un fruscio di persone che, in assoluto silenzio, si avvicinavano nella via principale, direi ad una settantina di metri da dove eravamo noi. 
Notai nervosismo e paura nei visi delle due donne, che smisero  immediatamente di parlare guardandosi trepidantemente mute.
Il fruscio continuava ad avvicinarsi ed ecco apparire dal cantone di Donna Libbrata una specie di corteo ben inquadrato, di forse una ventina o piu persone vestite con tonache bianche fino ai piedi e volti e teste nascoste da cappucci molto alti a forma di cono.
Sembrava (di questo particolare ho un confuso ricordo) portassero un corpo, inerme e coperto, sopra le spalle e ben collocato in mezzo a loro.
A questo punto le due donne si alzarono e salutandosi in fretta e furia si ritirarono, senza fare nessun commento, dentro le proprie case.

Questi indumenti li ho visti poi in molte regioni della Spagna, nelle processioni religiose che si svolgono in occasione delle feste pasquali.
Se qualcuno potesse dare una spiegazione al riguardo gliene sarei grato.

(Biagio Girlando Grande)

09/05/2007

Vivo da 25 anni nella spendida città di Verona e mi chiamano "la veronese" in famiglia...   lì a Comiso.
Penso che dopo tutti questi anni qui dovrei sentirmi come a casa! Ma non è così.
Ancora oggi quando dico casa non è dove vivo ma dove si trovano i miei genitori.
Quando sono partita per questa avventura volevo andare via. Comiso mi stava stretta. Dicevo "voglio andare via per avere voglia di tornare" e così è stato! Dicevo "se un trasloco farò, sarà solo per tornare a casa" e così non e stato! 

Ora il mio lavoro mi porta a cambiare città, però non a Comiso ma a Brescia.
Non importa..... alla fine tornerò!
Voglio precisare che dove vivo sto bene, ho molti amici e non ho mai avuto problemi; la mia è solo nostalgia.
A casa ho i quadri di Comiso vecchia, un poster della rocchetta di Punta Braccetto, il mio mare preferito.
D'estate, quando tutta la famiglia si squazza e mi chiamano "pi farimi arrurriri" io guardo il mio poster e soffro meno.

(Carmela Cappello)

Lontana mi fai trasalire
del mio amore catulliano,
mia Comiso.

Bestemmiavo le colline brulle
aride
come le notti noiose
camminando per le strade lastricate
bagnate dalle tue luci giallastre.

Ma di te ho conosciuto anche
notti occulte
e di giorno non ti riconoscevo!
Spersi nei quartieri antichi
ascoltavamo il vento remoto
sussurrare
per accarezzare fate!

Le luci della metropoli non brillavano
e i sogni diventavano parole sterili
agli angoli dei bar, alla villa,
alla piazzetta del castello e
in tutti i luoghi custoditi
nell'ombra notturna...

Tornero' vecchio, forse,
e angosciato scopriro' le tue pietre
erose dal tempo
per specchiarmi!

(Marco Baglieri)

When I arrived in NY in 1946, I met my grandfather for the first time and the one think I noticed in his house was a framed piece of newspaper in art form that read; "Ripley's Believe or Not" the longest sentence in the world using only the letter "S" is Sicilian saying, "SUSI SAI SE SI SUSI SUSA".

  I'll try in Italian:
Quando sono arrivato a NY nell'anno 1946, ho incontrato mio nonno per la prima volta; una cosa che mi ricordo era un quadro con mezza pagina di giornale di "Ripley's Believe or Not" la piu lunga sentence ( ho dimenticato la parola per sentence) del mondo in cui si usa solo la consonante "S":
"SUSI SAI SE SI SUSI SUSA".  

Antonio Avola

Nel 1940 circa il sig. Gioacchino Saraceno, che era emigrato negli USA intorno al 1914, ricevette la fotografia del nipote Salvatore, figlio di suo fratello Papè Saraceno, che sul retro portava la seguente scritta:

Caro zio,
vi mando la mia fotografia a sei anni per farvi vedere che sono
"Figlio della Lupa";
come sono fiero.
Bacio a tutti e saluti dai miei genitori e sorelle

suo nipote Salvatore


La fotografia, presentata a lato, è stata inviata al sito da un cugino di Salvatore, il sig. Antonio Avola, che vive negli USA..



per tornare all'inizio della pagina