LA STORIA DELLA PARROCCHIA
INDICE
2) NOTE E CURIOSITA' 1945-1959
6) GLI ORFANELLI DELL'EMILIANI
San Tiziano, patronato della Diocesi
VESCOVO DI ODERZO
San Tiziano fu vescovo di Oderzo tanti secoli or sono: cioè, circa, fra gli
anni 610 e 632 dopo Cristo. La diocesi di Vittorio Veneto- che fino al 1939
portava l'antico nome di Ceneda, lo venera da più di un millennio, come Patrono
principale: la sua festa liturgica si celebra solennemente il 16 gennaio.
Secondo l'antica tradizione, San Tiziano, appartenente ad una
facoltosa e distinta famiglia, nacque circa l'anno 555 d.C. nell'isola di
Lelidissa, chiamata Eraclea, dopo che l'imperatore d'Oriente , Eraclio, vi fece
costruire una piccola città. Questo lembo di terra e di sabbia faceva parte
della laguna detta "opitergina" che si estendeva lungo il litorale del
mare Adriatico, tra le foci dei fiumi Piave e Livenza. Il paesaggio e la
topografia di questi luoghi, col passare dei secoli, sono mutati radicalmente. A
causa dei detriti portati dai fiumi, e dal prosciugamento delle paludi, l'isola
di Eraclea rimase un po' alla volta interrata lasciando di sé solo il ricordo.
Nel Vi secolo d.C. l'unico centro importante di tutta la zona dell'entroterra
era l'antichissima città di Oderzo (Opitergium), già "municipium"
romano e sede vescovile dalla fine, forse, del IV secolo d. C. A questi tempi,
dunque, l'ampio territorio sul quale oggi di estende la nostra Diocesi era quasi
disabitato. Gli storici dicono che esisteva il "castro" fortificato di
Ceneda, costruito dai Romani a difesa della stretta di Serravalle collegata a
Oderzo con una strada: ed esisteva, forse, qualche piccolo villaggio abitato da
contadini dediti alla coltivazione della poca terra con coperta da boschi e
acquitrini.
San Tiziano nella sua adolescenza fu inviato ad Oderzo, dove era vescovo San
Floriano che, secondo la tradizione, ebbe cura di educare di istruire il giovane
come meglio era possibile in quei tempi. Crescendo in età, San Tiziano sentì
maturarsi in lui la vocazione al sacerdozio, sollecitato dalla sua inclinazione
a mettersi al servizio della povera gente ma anche dagli esempi del suo maestro
San Floriano. Questi,a tempo debito, fu ben felice di
ordinarlo diacono e poi sacerdote. In seguito, avendo dato prova di una
eccellente preparazione pastorale, a San Tiziano fu affidato l'incarico di
economo e di arcidiacono della Chiesa opitergina. Nell'esercizio di queste
mansioni di fiducia, trovò una nuova occasione di esercitare la carità verso i
poveri che anche in quei tempi
erano molti.
Avendo San Floriano rinunciato all'episcopato, desideroso di farsi missionario
tra i pagani, con la speranza, per di più, di cogliere la palme del martirio,
clero e popolo opitergino non trovarono nessuna persona più degna di San
Tiziano a succedergli come pastore e guida. Secondo l'antiva tradizione, egli fu
vescovo di Oderzo per circa 25 anni. Contro gli errori di quel tempo ebbe a
lottare strenuamente tanto che, come assicurano gli storici, la Diocesi di
Oderzo rimase immune da cedimenti nei riguardi della loro fede. Pure la
situazione civile, a quei tempi, era profondamente sconvolta dall'invasione dei
Longobardi che però non occuparono subito la città di Oderzo, la quale rimase
ancora, per più di un secolo, caposaldo dell'impero bizantino delle Venezie.
Proprio durante l'episcopato di San Tiziano sarebbe avvenuto un fatto assai
grave, di natura politica, per cui ebbe molto a soffrire. E' la triste avventura
dei fratelli Taso e Caco uccisi a tradimento dentro le mura di Oderzo.
Grimoaldo, non dimenticò questo fatto e divenuto re dei Longobardi, vendicò la
terribile offesa dei fratelli distruggendo Oderzo dalle fondamenta (a.665 o
666).
Secondo la tradizione, San Tiziano, ricco dio virtù e di meriti, circondato
dalla fama di operatore di miracoli (taumaturgo), morì nell'anno 632 d.c., il
16 gennaio.Fu deposto in un sepolcro distinto presso la Chiesa della sua città,
dove il popolo accorse subito numeroso a venerare come santo, riconoscendone i
grandi meriti acquistati in vita e testimoniando molti miracoli che si
ottenevano per sua intercessione. Gli eracleani dal canto loro non tardarono a
rivendicare le reliquie, ma invano per la strenua
opposizione degli opitergini. Concittadini e parenti di san Tiziano, venuti un
giorno a Oderzo da Eraclea col pretesto di visitare il sepolcro, calata la
notte, trafugarono il suo corpo, lo misero in un a barca ormeggiata nelle acque
del fiume Monticano e cercarono di fuggire per raggiungere il fiume Livenza. Gli
opitergini, accortisi, si diedero ad i seguire i rapinatori e li raggiunsero
nelle vicinanze del castello di Motta, dove il Monticano confluisce nel Livenza.
A questo punto entra in campo, una bella leggenda tanto cara al popolo devoto di
San Tiziano e illustra dal pittore Pomponio Amalteo.
Sulle sponde del Livenza stavano quindi ad azzuffarsi, quando apparve loro un
vecchio misterioso che li esortò a non ricorrere alla violenza ma a lasciare
piuttosto il corpo del Santo nella barca, pregando Dio affinché indicasse dove
voleva che fosse portato. La barca, con meraviglia di tutti, cominciò a
risalire il Livenza, fino a una località detta Settimo (Portobuffolè) dove si
fermò. Il corpo fu allora deposto su un carro trainato da buoi. Di nuovo il
vecchio misterioso esortò a pregare ancora il Signore. Dopo un digiuno di tre
giorni, una buona vedova del luogo fu mossa ad attaccare a un carro la mucca e
il vitello che possedeva e due animai trainarono si diressero verso le amene
colline dove sorgeva Ceneda. Secondo la leggenda alle porte della città San
Tiziano compì un grande miracolo, risanando all'improvviso una giovane donna da
molto gravemente malata. Il
corpo del santo fu, con tutti gli onori, collocato a Ceneda nell'antica chiesa
dedicata alla Madonna Assunta. Quesiti fatti sarebbero avvenuti nell'anno 652
circa, in decennio dopo la conquista di Oderzo da parte di Rotari, re dei
Longobardi. Fu provvidenziale perché nell'anno 885 Griamoaldo, come già
abbiamo detto, distrusse Oderzo dalle fondamenta e le reliquie del Santo
sarebbero quindi andate perdute se fossero rimaste nel loro primitivo sepolcro.
( don Rino Bechevolo)