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La metafisica e il ritorno all’ordine
Proprio quando si afferma in Italia l’arte futurista, molti artisti si
orientano verso la figurazione, alla ricerca di una forma compiuta.
Il termine
metafisica significa
oltre il mondo materiale e dunque si riferisce a tutto ciò che è dietro
l’apparenza, a tutto ciò che non è possibile spiegare con i principi della
ragione.
Questa nuova realtà ci trasmette un senso di smarrimento, perché non siamo
immediatamente capaci di interpretarla.
De Chirico ricorda quanto
siano importanti per la sua formazione artistica i templi della natìa
Grecia, presenze antiche ormai isolate dal contesto storico in cui erano
state create.
Nelle opere metafisiche emerge un profondo senso di inquietudine a di
malinconia: esse appartengono agli anni che procedono la Prima Guerra
Mondiale.
Negli anni che seguono la prima guerra mondiale, molti artisti e
intellettuali operano una svolta rispetto alle scelte prevalenti nei primi
anni del secolo.
La rivista
Valori Plastici,
fondata nel 1918, sollecita il ritorno all’arcaismo dell’arte del Trecento e
al classicismo del Quattrocento.
Questo nuovo mondo espressivo manifesta una volontà di fuga del tempo, di
rifugio in valori solidi, "dopo che la guerra ha parlato", dice Carlo Carrà,
"con la sua voce possente".
Carlo Carrà
Alla fine del 1915 Carrà lasciò il futurismo, dopo che già era maturata in
lui una posizione culturale in senso moderno, evidente negli scritti Parlata
su Giotto e Paolo Uccello costruttore, pubblicati sulla nuova Voce diretta
da De Robertis. Lo fece con profondo dolore, spinto dal forte
desiderio di «identificare la mia cultura con la storia e specialmente con
la storia dell'arte italiana». Nel frattempo la guerra coinvolgeva Carrà,
prima con una intensa attività interventista, durante la quale conobbe anche
Cesare Battisti, e finalmente nel 1917 con la chiamata alle armi. Partì
soldato, ma l'esperienza fu dolorosa e negativa: dopo una permanenza a Pieve
di Cento, dovette essere ricoverato in un nevrocomio fuori Ferrara per le
sue precarie condizioni di salute. Qui ebbe però la possibilità di
dipingere: Solitudine, La camera incantata, Madre e figlio, La musa
metafisica; parallelamente svolse un'attività letteraria di collaborazione
alle riviste di quel tempo, tutti lavori ormai improntati ai concetti della
metafisica. A guerra finita la pittura metafisica fu «la ricerca di un più
giusto rapporto fra realtà e valori intellettuali», fra «staticità e
movimento», nella convinzione che «l'immateriale cerca adeguata forma, e la
forma crea la superiore armonia che ritorna all'immateriale». È una stagione
breve, che accoglie poche opere: L'ovale delle apparizioni, Natura morta
metafisica, La figlia dell'ovest, Le figlie di Loth. Dal 1919 iniziò per il
pittore un periodo di calmo e tenace lavoro, grazie anche al matrimonio con
Ines Minoja e la collaborazione alla rivista d'arte Valori plastici di Roma,
che proseguì fino al1921; al Popolo d'Italia di Milano; dal 1922, in maniera
assidua e continuativa fino al 1938, a L'Ambrosiano di Milano, «palestra
delle mie molte battaglie in favore dell'arte moderna».
Giorgio Morandi
Dal 1907 al 1913 studiò all'Accademia di Belle arti di Bologna. Paul Cézanne
fu il suo maestro ideale e il punto di partenza per l'elaborazione di una
nuova cultura formale partecipe delle più avanzate ricerche artistiche
contemporanee la cui coerente conseguenza fu il passaggio, negli anni
1914-15, agli spunti formali del cubismo.
Nel 1914 cominciò a esporre: si tenne, all'Hotel Baglioni di Bologna, la
famosa mostra a cinque in cui figurarono, al suo fianco, Osvaldo Licini,
Mario Bacchelli, Giacomo Vespignani e Severo Pozzati.
L'adesione di Morandi alla pittura metafisica (1918-20) nulla tolse al
purismo e alla essenzialità della sua visione. Negli anni Venti le sue opere
si fecero più plastiche: cominciò l'epoca delle nature morte, degli oggetti
più comuni. Nelle sue tele non c’è nulla di superfluo: non si raccontano
storie e anche i suoi paesaggi sono spogli. Tutto è sintetizzato con pochi
colori, prevalentemente gli ocra e i bruni. |
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