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Filippo Tommaso Marinetti (11 Maggio 1912)
In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla
testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi
ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori
dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni
imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma
non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un
momento e fermarsi quasi subito sbuffando!...
Ecco che cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri
sopra i possenti fumaiuoli di Milano. E l’elica soggiunse:
1. Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come
nascono.
2. Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al
sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o
immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità
della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce.
3. Si deve abolire l’aggettivo perché il sostantivo nudo conservi il suo
colore essenziale. L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è
incompatibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una
meditazione.
4. Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una
all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di
tono.
5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere
seguìto, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia.
Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto,
porta-rubinetto.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza del mondo, la
percezione per analogia diventa sempre più naturale per l’uomo. Bisogna
dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora,
bisogna fondere direttamente l’oggetto coll’immagine che esso evoca, dando
l’immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale.
6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli
avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella
continuità varia di uno stile vivo, che si crea da sé, senza le soste
assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare
le loro direzioni, s’impiegheranno i segni della matematica: +--x: = > <, e
i segni musicali.
7. Gli scrittori si sono abbandonati finora all’analogia immediata. Hanno
paragonato per esempio l’animale all’uomo o ad un altro animale, il che
equivale ancora, press’a poco, a una specie di fotografia. Hanno paragonato
per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più
avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante, a una
piccola macchina Morse. Io lo paragono, invece, a un’acqua ribollente. V’è
in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti
sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.
L’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti,
apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno
stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può
abbracciare la vita della materia.
Quando, nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di
baionette a un’orchestra, una mitragliatrice a una donna fatale, ho
introdotto intuitivamente una gran parte dell’universo in un breve episodio
di battaglia africana.
Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come
diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia
deve essere un seguito ininterrotto d’immagini nuove, senza di che non è
altro che anemia e clorosi.
Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse
conservano la loro forza di stupefazione. Bisogna — dicono — risparmiare la
meraviglia del lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale
corrosione del tempo, che distrugge non solo il valore espressivo di un
capolavoro, ma anche la sua forza di stupefazione. Le nostre orecchie troppe
volte entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna
dunque abolire nella lingua ciò che essa contiene in fatto d’immagini
stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto.
8. Non vi sono categorie d’immagini, nobili o grossolane, eleganti o
volgari, eccentriche o naturali. L’intuizione che le percepisce non ha né
preferenze né partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di
tutta la materia e della sua intensa vita.
9. Per dare i movimenti successivi d’un oggetto bisogna dare la catena delle
analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola
essenziale.
Ecco un esempio espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e
appesantite dalla sintassi tradizionale.
«Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e
sinistra, e divina, al volante di un’invisibile centocavalli, che rugge con
scoppî d’impazienza. Oh! certo, fra poco balzerete nel circuito della morte,
verso il capitombolo fracassante o la vittoria!... Volete che io vi faccia
dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta, signora... Voi
somigliate, per me, a un tribuno proteso, la cui lingua eloquente,
instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio, commossi... Siete in
questo momento, un trapano onnipotente, che fora in tondo il cranio troppo
duro di questa notte ostinata... Siete, anche, un laminatoio, un tornio
elettrico, e che altro? Un gran cannello ossidrico che brucia, cesella e
fonde a poco a poco le punte metalliche delle ultime stelle!...» (Battaglia
di Tripoli.)
In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due, come le palle
incatenate, che schiantano, nel loro volo tutto un gruppo d’alberi.
Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più
inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti d’immagini o
analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni. Salvo la
forma a festoni tradizionale, questo periodo del mio Mafarka il futurista è
un esempio di una simile fitta rete d’immagini:
«Tutta l’acre dolcezza della gioventù scomparsa gli saliva su per la gola,
come dai cortili delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli verso i
vecchi maestri affacciati al parapetto delle terrazze da cui si vedono
fuggire sul mare i bastimenti...».
Ed ecco ancora tre reti d’immagini:
«Intorno al pozzo della Bumeliana, sotto gli olivi folti, tre cammelli
comodamente accovacciati nella sabbia si gargarizzavano dalla contentezza,
come vecchie grondaie di pietra, mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi
ai tonfi regolari della pompa a vapore che dà da bere alla città. Stridori e
dissonanze futuriste, nell’orchestra profonda delle trincee dai pertugi
sinuosi e dalle cantine sonore, fra l’andirivieni delle baionette, archi di
violini che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo E il
tramonto-direttore d’orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i flauti
sparsi degli uccelli negli alberi, e le arpe lamentevoli degli insetti, e lo
scricchiolio dei rami, e lo stridio delle pietre. È lui che ferma a un
tratto i timpani delle gamelle e dei fucili cozzanti, per lasciar cantare a
voce spiegata sull’orchestra degli strumenti in sordina, tutte le stelle
dalle vesti d’oro, ritte, aperte le braccia, sulla ribalta del cielo. Ed
ecco una gran dama allo spettacolo... Vastamente scollacciato, il deserto
infatti mette in mostra il suo seno immenso dalle curve liquefatte tutte
verniciate di belletti rosei sotto le gemme crollanti della prodiga notte».
(Battaglia di Tripoli.)
10. Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza
cauta e guardinga, bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un
maximum di disordine.
11. Distruggere nella letteratura l’«io», cioè tutta la psicologia. L’uomo
completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica
e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno.
Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla
materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual
cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici.
Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la
respirazione, la sensibilità e gl’istinti dei metalli, delle pietre, del
legno, ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con
l’ossessione lirica della materia.
Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate
piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione,
di dilatazione, di coesione e di disgregazione, le sue torme di molecole in
massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della
materia umanizzata. È la solidità di una lastra d’acciaio, che c’interessa
per se stessa cioè l’alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o
dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un
obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più appassionante,
per noi, del sorriso o delle lagrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale
istintivo del quale conosceremo l’istinto generale allorché avremo
conosciuti gl’istinti delle diverse forze che lo compongono.
Nulla è più interessante, per un poeta futurista, che l’agitarsi della
tastiera di un pianoforte meccanico. Il cinematografo ci offre la danza di
un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre
anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e
rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d’un uomo
a 200 chilometri all’ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor
dalle leggi dell’intelligenza e quindi di una essenza più significativa.
Bisogna inoltre rendere il peso (facoltà di volo) e l’odore (facoltà di
sparpagliamento) degli oggetti, cosa che si trascurò di fare, finora, in
letteratura. Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che
percepisce un cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
La materia fu sempre contemplata da un io distratto, freddo, troppo
preoccupato di se stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni
umane.
L’uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio
la materia, che possiede un’ammirabile continuità di slancio verso un
maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di se
stessa. La materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il
coraggio, la volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta
divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante,
ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto
intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà
penetrare l’essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la
separa da noi.
Il periodo latino che ci ha servito finora era un gesto pretenzioso col
quale l’intelligenza tracotante e miope si sforzava di domare la vita
multiforme e misteriosa della materia. Il periodo latino era dunque nato
morto.
Le intuizioni profonde della vita congiunte l’una all’altra, parola per
parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di
una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito
dall’alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di
vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho
potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della
comprensione antica.
Voi tutti che mi avere amato e seguìto fin qui, poeti futuristi, foste come
me frenetici costruttori d’immagini e coraggiosi esploratori di analogie. Ma
le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite
dal piombo della logica. Io vi consiglio di alleggerirle, perché il vostro
gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più
vasto.
Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo l’immaginazione senza fili.
Giungeremo un giorno ad un’arte ancor più essenziale, quando oseremo
sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più
altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per
questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi
ne abbiamo fatto a meno, d’altronde, quando esprimevamo frammenti della
sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti per
informare le folle del colore, della musicalità, della plastica e
dell’architettura dell’universo. La sintassi era una specie d’interprete o
di cicerone monotono. Bisogna sopprimere questo intermediario, perché la
letteratura entri direttamente nell’universo e faccia corpo con esso.
Indiscutibilmente la mia opera si distingue nettamente da tutte le altre per
la sua spaventosa potenza di analogia. La sua ricchezza inesauribile
d’immagini uguaglia quasi il suo disordine di punteggiatura logica. Essa
mette capo al primo manifesto futurista, sintesi di una 100 HP lanciata alle
più folli velocità terrestri.
Perché servirsi ancora di quattro ruote esasperate che s’annoiano, dal
momento che possiamo staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali
spiegate dell’immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un
solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la
sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze
tranquillizzanti!». Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo,
invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta
che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e
uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di queste arie da grandi
sacerdoti, nell’ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare
dell’Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera intuizione. Dopo
il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c’è, in questo, niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha
raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze
analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria
sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L’arte è un bisogno
di distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che
inonda il mondo. I microbi — non lo dimenticate — sono necessari alla salute
dello stomaco e dell’intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria
alla vitalità dell’arte, questo prolungamento della foresta delle nostre
vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del
tempo.
Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per
prepararvi a odiare l’intelligenza, ridestando in voi la divina intuizione,
dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo
l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal
metallo dei motori.
Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza
e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere
che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo
meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e
quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica. |