L'ENERGIA |
L'ENERGIA E I RIFIUTI Energia e inquinamento Qualsiasi processo di combustione comporta l’emissione di alcuni gas. Ciò dipende dal fatto che, bruciando un combustibile, i legami che tengono unite le molecole dalle quali è formato si scindono e i diversi elementi presenti si ricombinano dando luogo a nuove molecole. Bruciando un combustibile fossile, si rompono i legami che tengono uniti gli atomi di carbonio con quelli di idrogeno: si genera così calore e si forma vapor d’acqua (H O), monossido di carbonio (CO2) e anidride carbonica (CO2), per l’intervento dell’ossigeno (il comburente) presente nell’aria; ma si formano anche altri composti: come gli ossidi di azoto (NO ), dovuti alla combinazione, ad elevata temperatura, di azoto e ossigeno presenti nell’aria; l’anidride solforosa (SO2), dovuta alla presenza di zolfo nel combustibile; composti organici volatici (COV), tra i quali alcuni idrocarburi cancerogeni (come il benzene). Ma non tutte le molecole che costituiscono il combustibile si scindono e si ricombinano: un parte rimane incombusta, sotto forma di polvere finissima (PM), particelle che possono avere anche un diametro inferiore ai 10 millesimi di millimetro (PM10) e capaci quindi di insinuarsi nei bronchi e nei bronchioli polmonari. A fare la differenza è il tipo di combustibile, in funzione delle molecole delle quali è composto. Il carbone contiene spesso molto zolfo, così come l’olio combustibile; la benzina ed il metano ne contengono quantità minime e producono meno particelle sospese; il gasolio, a seconda della qualità della raffinazione cui è sottoposto, può contenere una certa quantità di zolfo o esserne ripulito, ma produce rilevanti quantità di particelle sospese (PM). La stragrande maggioranza dell’energia che l’umanità utilizza ogni anno proviene dai combustibili fossili. Appare dunque evidente la relazione tra energia ed inquinamento atmosferico. Soltanto alcune fonti di energia rinnovabili (idroelettrico, eolico, solare) ed il nucleare non comportano l’emissione in atmosfera di inquinanti. Altre fonti rinnovabili, come la biomassa e la geotermia, comportano anch’esse emissioni, anche se di natura ed in quantità non paragonabili alle fonti fossili. Considerando la natura dei diversi inquinanti e le fonti di emissione si possono determinare effetti molto diversi. Schematicamente si suole classificarli come effetti globali, effetti regionali, effetti locali. I cambiamenti climatici Gli effetti globali sono quelli che derivano dall'emissione in atmosfera dei cosiddetti gas ad effetto serra. Si tratta, in primo luogo, dell'anidride carbonica, inerte ed innocua per l'uomo, ma capace di provocare il surriscaldamento del pianeta, e di altri gas, quali il metano, il protossido d'azoto, i colorofluorocarburi (responsabili anche dell'assottigliamento della fascia di ozono che ci protegge dai raggi ultravioletti solari più dannosi). Gli effetti di questo aumento della temperatura non sono facilmente prevedibili. Ma è certo che, a causa del surriscaldamento, crescerà la quantità complessiva di energia presente nell'atmosfera e nei mari. Ciò porterà come prima conseguenza ad uno sconvolgimento del sistema climatico del pianeta: gli eventi estremi, come alluvioni o siccità, si ripeteranno con crescente frequenza ed intensità; alcuni grandi fenomeni, che garantiscono oggi le attuali condizioni climatiche, potrebbero scomparire, come la corrente del Golfo che consente di avere in tutto in Nord Atlantico temperature miti, oppure diventare generalizzate, come il Nino, che provoca ricorrenti tempeste negli Oceani orientali. Intere aree del pianeta potrebbero desertificarsi, altre divenire straordinariamente umide. Il livello dei mari potrebbe crescere anche fino a 80 centimetri nell'arco di un secolo, allagando interi arcipelaghi del Pacifico e grandi zone costiere, dal Texas alla laguna di Venezia. Soprattutto, si ritiene che l'attuale distribuzione della disponibilità di acqua dolce nel mondo verrebbe sconvolta: le zone interne dei continenti si inaridirebbero, proprio là dove oggi è maggiore il bisogno di acqua; le zone costiere potrebbero diventare bersaglio di ripetute alluvioni, al punto di renderle difficilmente abitabili. Un scenario catastrofico, che ha indotto fin dal 1992, con la Conferenza ONU di Rio de Janeiro, molti paesi e, anzitutto, l'Unione Europea, a fissare dei precisi obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, da raggiungere risparmiando energia e sviluppando le fonti rinnovabili. I risultati finora conseguiti sono incoraggianti, ma ancora insufficienti. L'Europa ha avviato politiche di riduzione delle emissioni relativamente efficaci, ma alcuni grandi paesi, come gli Stati Uniti, non hanno ancora ratificato gli accordi internazionali in materia. E molti paesi in via di sviluppo, come la Cina, l'India, l'intero Sud Est asiatico, proprio in funzione della rapida crescita economica che stanno conoscendo, incrementeranno sensibilmente le loro emissioni di anidride carbonica per almeno due o tre decenni, fino a quando il loro sviluppo industriale non avrà permesso di conseguire livelli tecnologici che consentano una tendenziale riduzione del ricorso alle fonti energetiche fossili. Il cammino da percorrere per preservare il mondo dai disastri che gli scienziati annunciano è dunque molto lungo e tortuoso e saranno necessari ancora molti sforzi per trovare una strada comune che possa conciliare esigenze così divergenti. Le piogge acide Per effetti regionali si intendono soprattutto le ricadute acide al suolo, dovute al ricombinamento di anidride solforosa e ossidi di azoto con l'acqua, che si trasformano in acido solforico e acido nitrico. Si tratta di un fenomeno di tipo transfrontaliero, nel quale gli inquinanti vengono trasportati dai venti anche a lunga distanza (nell'ordine anche di qualche migliaio di chilometri) fino a quando, in determinate condizioni meteorologiche, ricadono al suolo, provocando, come è accaduto per quasi tutta la seconda metà del Novecento, il danneggiamento o addirittura la distruzione di boschi e foreste, l'acidificazione dei laghi e la corrosione di monumenti storici. Il fenomeno è stato affrontato in misura radicale a partire dalla fine degli anni Ottanta e sembra oggi in grande misura risolto, anche se casi di ricadute acide si possono ancora osservare nell'estremo Nord Europa. Per contrastare le ricadute acide sono stati attuati drastici interventi volti a ridurre le emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto da parte di tutti i paesi europei, in particolare dalla Germania. E gli effetti positivi si sono potuti osservare in tempi relativamente brevi.
Le aree urbane Poiché il settore dei trasporti e, in particolare, il traffico veicolare privato, costituiscono oggi la voce di consumo di energia più rilevante e, soprattutto, in costante e rilevante crescita, le peggiori condizioni di inquinamento atmosferico si hanno nelle grandi aree urbane. Le condizioni ambientali delle città italiane, seppure migliorate rispetto agli anni Sessanta e Settanta, in ragione delle elevate concentrazioni di ossidi di azoto e di anidride solforosa che si verificavano in quell'epoca (riscaldamenti a carbone, impianti industriali obsoleti in piena area urbana), costituiscono oggi una delle più rilevanti emergenze ambientali. Le emissioni complessive di monossido di carbonio, composti organici volatili e polveri sospese tendono infatti a calare leggermente da dieci anni a questa parte, ma le concentrazioni di questi inquinanti nelle zone caratterizzate da un elevato traffico veicolare tendono invece a crescere. I principali inquinanti atmosferici presenti nelle aree urbane sono l'anidride solforosa, gli ossidi di azoto, i composti organici volatili, il monossido di carbonio, le polveri fini, l'ozono troposferico. |