Se l'impollinazione è stata coronata da successo, si
potrà ben presto osservare la formazione del frutto. I frutti delle succulente
appartengono a diversi tipi che l'amatore imparerà ben presto a conoscere: bacche,
capsule, follicoli, ecc., come imparerà presto a conoscere le modalità adottate da ogni
singola specie per favorire la dispersione dei semi. In un articolo di questo genere
non è possibile entrare molto in dettaglio su questo punto e perciò mi limiterò a
fornire alcune informazioni di carattere generale riguardanti qualcuno dei gruppi più
grandi di succulente. E, comunque, della massima importanza raccogliere i frutti
soltanto quando gli stessi sono perfettamente maturi in modo da permettere ai semi di
completare la loro formazione.
Cactaceae. I frutti dei cactus sono delle bacche che possono essere
provviste di una polpa più o meno carnosa e mucillaginosa oppure essere secche. Entrambi
i tipi di bacche possono essere deiscenti (si fendono o si spaccano spontaneamente) a
maturità o indeiscenti (i frutti si aprono solo sotto l'azione di agenti esterni).
I frutti provvisti di polpa, molti dei quali servono anche per l'alimentazione umana,
dipendono soprattutto dagli animali che se ne cibano per diffondere i loro semi
[zoocorìa: ornitocorìa (alla diffusione provvedono gli uccelli), mirmecocorìa (alla
diffusione provvedono le formiche), chirotterocorìa (alla diffusione provvedono i
pipistrelli), ecc.] in quanto gli stessi attraversano indigeriti l'apparato digerente. Se
il frutto non dovesse essere mangiato, lo stesso si decomporrà lentamente o sulla pianta
o sul suolo ad opera degli agenti atmosferici e di microrganismi.
I frutti secchi deiscenti lasciano cadere i semi al suolo attraverso le aperture che si
creano, talora ricorrendo all'aiuto della pioggia per dilavare i semi eventualmente
rimasti impigliati fra le spine, le setole o la lana delle areole che circondano il
frutto. Per quelli indeiscenti accade quanto detto a proposito dei frutti carnosi che non
sono stati mangiati: la liberazione dei semi avviene solo dopo che si sia decomposta o
rotta (2) la parete esterna del frutto.
Euphorbiaceae. I frutti delle euforbie sensu lato (Ordine Tricoccae)
sono delle capsule triloculari, ciascuna contenente un seme, che si aprono a scatto quando
sono mature, proiettando i semi anche a distanze considerevoli.
Aizoaceae. I frutti dei mesembriantemi sono anch'essi delle capsule con
diverse logge. Il meccanismo che ne permette l'apertura a maturità è attivato
dall'umidità. Le capsule sono, infatti, igrocasiche, provviste cioè di un dispositivo
che costringe i coperchi delle logge a sollevarsi in caso di pioggia e che li fa
richiudere quando il tempo ritorna a essere asciutto. La dispersione dei semi,
generalmente molto piccoli, è affidata alle gocce di pioggia che, incidendo sulla capsula
aperta, li fanno schizzare fuori.
È evidente che un solo acquazzone non è sufficiente per rimuovere tutti i semi dalle
logge delle capsule: la dispersione dei semi avviene quindi, per così dire, "a
rate". Grazie a questo meccanismo aumentano sicuramente le probabilità che i semi
caduti sul terreno possano trovare condizioni favorevoli alla loro germinazione e alla
sopravvivenza dei semenzali. L'ultima porzione di semi si libera poi quando si completa il
processo di disgregazione della capsula.
Aloaceae. Anche in questo caso abbiamo a che fare con capsule
pluriloculari che, a maturità si aprono superiormente per lasciar cadere i semi. Fanno
eccezione le Aloe appartenenti alla sezione Lomatophyllum che producono
bacche carnose indeiscenti.
Apocynaceae, Asclepiadaceae. I frutti in questi casi sono dei follicoli,
che vengono generalmente prodotti a coppie (le famose "corna", che possono
essere più o meno divaricate; un importante carattere diagnostico). Questi follicoli, che
a maturità si fendono longitudinalmente, contengono semi bruni, piatti, ciascuno
provvisto di un pappo (un ciuffetto di sottilissimi peli sericei), che ne permette la
dispersione ad opera del vento (anemocorìa).
Da quanto detto sopra appare evidente che nel caso di Apocynaceae, Asclepiadaceae,
Euphorbiaceae e Aloaceae che liberano i semi in modo più o meno automatico
quando i frutti sono maturi, l'amatore non dovrà impegnarsi molto per raccogliere i semi
e si dovrà limitare ad impedirne la dispersione.
Per Apocynaceae e Asclepiadaceae basterà chiudere la coppia di follicoli
entro un sacchetto di garza (o materiale analogo) che verrà stretto attorno al picciuolo
dei follicoli. Quando i semi cominceranno ad uscire dalla spaccatura del follicolo, lo si
rimuoverà dalla pianta e si libereranno a uno a uno i semi dal pappo (durante
l'operazione non ci devono essere correnti d'aria!) e si porranno in un idoneo recipiente
etichettato in attesa della semina. Analogo accorgimento servirà per raccogliere senza
fatica i semi delle Aloaceae (Aloe, Gasteria, Haworthia, ecc.).
Per le Euphorbiaceae occorrerà fare una cosa analoga. Nel caso di esemplari
globosi e/o di taglia modesta si potrà racchiudere tutta la pianta in un sacchetto di
garza o simili stretto attorno al colletto della pianta, mentre nel caso di esemplari
grandi e ramificati converrà coprire le capsule in via di maturazione con un batuffolo di
ovatta che sarà tenuto in loco da un cappuccio di garza legato all'estremità del ramo.
In questo modo non sarà difficile raccogliere i semi, peraltro piuttosto grandi, dopo che
gli stessi siano stati espulsi.
Per le Aizoaceae è imperativo, se se ne vogliono raccogliere i semi, evitare
che la capsula matura venga bagnata dalla pioggia. È poi da sconsigliare qualunque
tentativo di forzare le pareti o il coperchio della capsula, solitamente assai robusti,
per estrarne i semi, in quanto risulta poi estremamente difficile (se non impossibile)
liberarli dai frammenti derivanti dalla distruzione della capsula; questi frammenti,
infatti, posti su terreno umido al momento della semina, possono costituire,
putrefacendosi, dei pericolosi focolai di infezione. Per liberare i semi bisogna, invece,
sfruttare il fenomeno della igrocasìa: le capsule mature si immergono allo scopo
in acqua (ricordarsi sempre di contrassegnare adeguatamente il recipiente in cui si
mettono a mollo le capsule!) e vi si tengono finché non si siano completamente aperte. A
questo punto, senza togliere le capsule dall'acqua e aiutandosi con le dita o con un
legnetto, si fanno uscire delicatamente i semi. Una volta liberati i semi, si rimuoveranno
con l'ausilio di una pinzetta le capsule vuote e si filtrerà l'acqua contenente i semi
attraverso un fazzolettino di carta che li tratterrà. Il fazzolettino, sul quale si
saranno depositati semi, una volta fatto asciugare, si porrà sopra un foglio di carta
bianco di superficie opportuna che servirà per raccogliere i semi a mano a mano che gli
stessi verranno tolti, aiutandosi con le dita, dal fazzolettino. Se richiesto dalle
minuscole dimensioni dei semi, è utile munirsi, durante I' operazione, di occhiali su cui
siano montate delle lenti di ingrandimento di potenza adeguata o, meglio, di un
microscopio binoculare in grado di ingrandire gli oggetti di almeno venti volte.
Per le Cactaceae le cose sono un tantino più complesse e articolate per cui
sarà necessario che I' amatore si provveda di un minimo di attrezzatura sia per
raccogliere sia per pulire i semi. Le cose che possono essere utili sono le seguenti: 1)
un dispositivo di raccolta semi mediante aspirazione analogo a quello che si usa in
enologia per aspirare dalla superficie del vino l'olio (di vasellina, di paraffina) che si
usa per isolarlo dall'ambiente esterno; 2) una sottile ma robusta punta di acciaio
convenientemente immanicata (io mi servo, con soddisfazione, di un pennino di quelli che
si usavano una volta inserito nell'apposita asticciuola); 3) un numero sufficiente di
bicchierini di plastica non troppo leggera (sono adatti allo scopo i bicchierini dello
yogurt perfettamente puliti e asciutti); 4) un pennarello con inchiostro indelebile; 5)
dei fazzolettini di carta; 6) pinzette di varia foggia e dimensioni; 7) della varecchina
(soluzione acquosa di ipoclorito di sodio; candeggina) esente da additivi; 8) dei passini
o colini [è utile procurarsene una serie, da quello con la rete (di acciaio inossidabile
o di materiale plastico) a maglie più strette a quello con la rete a maglie più larghe];
9) guanti di lattice; 10) dei fogli di carta bianca non troppo leggera (va bene la carta
per fotocopie) e dei fogli di carta velina (va bene quella "vergatina" che si
usa insieme con la carta carbone in lavori di dattilografia); 11) delle etichette di
plastica (quelle che si infilano nei vasi con i nomi delle piante); 12) un quaderno per le
necessarie registrazioni; 13) forbici e tagliacarte; 14) acqua distillata; 15) qualche
pennellino; 16) lente di ingrandimento montata su un supporto o, meglio, un microscopio
binoculare oppure un paio di occhiali del tipo di quelli summenzionati (è importante
avere le mani libere mentre si guarda); 17) dei sacchetti di stoffa a trama fitta di
diverse dimensioni; 18) del "tessuto non tessuto".
(2) Insolito è il caso dei frutti delle specie
appartenenti al genere Islaya, che a maturità si gonfiano di aria permettendo al
vento di portarli lontano una volta che li abbia strappati dalla pianta. Le pareti dei
frutti poi si rompono venendo in contatto con le asperità del suolo.