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La prima ferrovia arrivò nell’alta valle della Pusteria, allora sotto il dominio dell’Impero Austro-Ungarico, solamente nel 1871 con l’apertura della strada ferrata “Fortezza – Dobbiaco – Villach”. Nel 1909 venne presentato al “Regio Imperiale Ministero delle Ferrovie” di Vienna un progetto dell’ingegnere Josef Riehl, di origine bolzanine, che prevedeva un collegamento a scartamento ridotto tra Dobbiaco e Cortina con prolungamento per Klausen (Chiusa). Il progetto prevedeva anche una diramazione da Cortina a Pieve di Cadore; questo vide la sua attuazione pratica solamente dieci anni dopo, nel 1919, quando si diede attuazione all’opera ideata da Riehl, il quale si era servito ad onor del vero anche di alcuni precedenti progetti di tranvia a costeggio stradale redatti da un certo Ing. Jakob Ludwing Münz risalenti all’anno 1900 e sovvenzionati dal principe viennese Aldfred Wrede. I progetti di Münz riguardavano solamente il costeggio stradale tra Dobbiaco e Cortina; il grosso del lavoro venne fatto da Riehl che tramite la sua impresa partecipò alla costruzione del primo tratto della ferrovia delle Dolomiti terminata però solamente nel 1921, all’epoca la giurisdizione della zona era passata nelle mani italiane e fu proprio l’esercito italiano a completare l’opera dell’ingegno ferroviario montano. Gli embrioni di questa affascinante ferrovia vennero a formarsi tuttavia durante il Primo Conflitto Mondiale. Le vicende della Grande Guerra indussero austriaci ed italiani ad abbozzare praticamente i primi tracciati della ferrovia, questi servivano per far giungere i rifornimenti lungo il fronte alpino. In ordine cronologico furono gli austriaci a gettare le basi della Dobbiaco (Toblach) – Cortina; l’esercito italiano di controparte costruì una ferrovia militare a scartamento ridotto (75 cm) da Zuel di Cortina, sino a Peaio. Questa era necessaria per permettere lo spostamento del materiale bellico proveniente dal Cadore, infatti nella valle del Boite era stata attivata una funivia che scendeva sino a Perarolo. Per l’insufficienza strategica di quest’ultima, nel 1917, gli austriaci in avanzata iniziarono la realizzazione della tratta ferroviaria tra Cortina e Calalzo che era ed è ancora capolinea della ferrovia del Cadore, il collegamento ferroviario tra Treviso e Belluno era stato attivato già nel 1886 e il prolungamento fino a Calalzo solamente nel 1914. Con la ritirata di Caporetto il genio militare italiano cercò di danneggiare il più possibile i mezzi ferroviari e le strutture che scendevano verso Belluno; venne distrutto molto materiale rotabile impegnato nella linea Peaio-Zuel, fatti saltare i ponti sulla linea del Cadore, quello di Perarolo, quello di Longarone sul torrente Maé e il grosso viadotto in muratura sull’Ardo a Belluno. Con l’attivazione della linea a scartamento ridotto tra Dobbiaco e Calalzo, gli austriaci dovettero provvedere al trasbordo del materiale bellico al capolinea del Cadore e soprattutto alla ricostruzione dei ponti fatti saltare dagli italiani. |
Le stazioni ferroviarie di Dobbiaco,
primi anni ‘20 (Foto da cartolina d’epoca) |
Granata dell’artiglieria italiana sparata contro un convoglio austriaco nei pressi di Dobbiaco (©Walther Schaumann) |
Dopo la ritirata austro-ungarica e la fine della guerra, come già accennato, il genio militare italiano cominciò i lavori per il completamento e l’adeguamento della linea Calalzo – Dobbiaco; venne realizzato un tracciato ordinario a scartamento ridotto (95 cm) con rotaie da 22 Kg./m e numerose opere d’ingegneria: stazioni, fabbricati, gallerie, ponti e viadotti; il completamento avvenuto nel 1921 fu reso possibile grazie alla manodopera degli smobilitati del Cadore. Il 15 giugno del 1921 entrò in funzione la “Ferrovie delle Dolomiti”; inizialmente vennero utilizzate 13 locomotive a vapore Feldbahn abbandonate dagli austriaci dopo l’armistizio; queste macchine furono trasformate nello scartamento, dai 75 ai 95 cm, dieci su tredici furono modificate in locotender, identificate tutte con i nomi dei famigerati teatri di battaglia della Grande Guerra, delle località attraversate dalla ferrovia, come l’Ampezzo, la Cadore e la Pusteria, oppure con i nomi propri dei generali elevati a valore militare. Le rimorchiate erano principalmente vetture cabinate Carminati-Toselli a due assi, circa 25 unità oltre a due carrozze con doppi carrelli chiamate “pullman”. Nel 1923 la Ferrovia delle Dolomiti passò sotto la direzione del Regio Circolo Ferrovieri di Bolzano e l’anno successivo della Società Anonima per la Ferrovia delle Dolomiti (SFD). Nel 1925 il gestore acquistò dalle “Ferrovie Montepulciano” due vaporiere Henschel, tipo Mallet, adattate dalla Stanga di Padova e numerate come M31 e M32; all’uso le due locomotive si rivelarono troppo ingombranti e pesanti sia in rapporto all’armamento ridotto che per il tracciato tutto curve, vennero adoperate quasi esclusivamente per il traino dei carri merce e come spazzanevi. Nel 1928 la linea venne interamente elettrificata con sospensione a catenaria su palizzata a traliccio, 3000 volt in corrente continua forniti dalla sottostazione di Cortina che era alimentata a sua volta dalle centrali idroelettriche di Calalzo e Pelos; i trasformatori e raddrizzatori erano siti anch’essi nella sottostazione di Cortina. I nuovi rotabili a trazione elettrica vennero forniti dalle officine della Stanga che costruirono per la SFD ben 6 elettromotrici con relative rimorchiate. La linea a binario unico, con raddoppi e tronchetti nelle stazioni, era lunga circa 65 chilometri con una pendenza media del 35%o. Alcuni raggi minimi di curva raggiungevano i 60 metri in linea e gli 85 nella galleria di Pieve Sant’Alipio. I panorami e le vallate attraversate erano e rimangono sicuramente mozzafiato come dimostra un qualunque percorso turistico sull’ex tragitto della ferrovia, che si può oggi ripercorrere in parte con la bicicletta e per il resto passeggiando o praticando il tracking. Cercheremo con le vecchie foto di ricostruirne il percorso in modo che gli appassionati di montagna possano organizzare una bella gita con il mezzo a loro più congeniale. |
La grande e bella
stazione di Cortina d’Ampezzo, primi anni ’20. (Foto da cartolina d’epoca) |
Locomotiva “Vittorio Veneto”, ex Feldbahn austriaca, modificata per la trazione sulla Ferrovia Dolomiti. (Da Italmodel Ferrovie n.142, Nov-Dic 1968) |
Elettrificazione
della linea tra Dogana Vecchia e Acquabona. (Da Italmodel Ferrovie n.142, Nov-Dic 1968) |
Dalla stazione
di Calalzo (740 m.s.l.m.) il trenino praticava
una curvatura ad S per
sostare alla fermata |
Dopo Calalzo il
trenino entrava in un boschetto e di seguito praticava un viadotto curvo sulla Valle Orsina mentre entrava nella galleria omonima (26 m.), subito dopo la già accennata galleria di S.Alipio (73,59 m.) con curvatura di 85 m. (Foto da cartolina d’epoca) |
La seconda stazione dopo Calalzo era quella
di Sottocastello/Pieve di Cadore. (Foto da cartolina d’epoca) |
Un ponte ferroviario
in muratura a Tai di Cadore serviva per sorpassare la strada di Alemagna; il convoglio giungeva alla fermata di Tai; di seguito la linea superava nuovamente la strada, protetta da passaggio a livello, dopo pochi metri vi era la stazione di Nebbiù. Nella foto il cavalcavia di Tai (Da cartolina d’epoca) |
Due chilometri oltre
Nebbiù il trenino sostava alla stazione
di Valle di Cadore. (Foto da
cartolina d’epoca) |
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Si penetrava poi
nella profonda valle del Boite: un ponte a due luci in muratura, la galleria di Cima Costa (38,89 m.), la galleria di Riva Grande (45,59 m.), la galleria delle Faghere (78,54 m.), la seconda galleria in ordine di lunghezza, quella della Vallesina (191,55 m.), un ulteriore passaggio stradale e l’ultima galleria prima della stazione di Venas e Cibiana/Zoldo, la Rotonda (56,39 m.). Un percorso piuttosto tortuoso ma particolarmente affascinante. Nella foto il ponte della Vallesina. (Da cartolina d’epoca) |
Ancora un passaggio
a livello sulla Alemagna e si superava tramite ponte ad arco il ruscello Ruvinian sopra l’omonima valle. (Foto da cartolina d’epoca) |
Ancora un passaggio
a livello ed ecco la stazione di Peaio/Vinigo. Dopo il ponte sul torrente Rudan, il tragitto del trenino si ammorbidiva ed ecco aprirsi vallate meno selvatiche con verdi prati e magnifici sfondi alpini. (Foto da cartolina d’epoca) |
Con lo sfondo
maestoso delle Dolomiti, soprattutto i monti "Rocchetta" e le "Tofane", il viaggio proseguiva incontrando le stazioni di Vodo, Borca e San Vito di Cadore. Nella foto la stazione di San Vito. (Da cartolina d'epoca) |
Il paesaggio, anche
senza la presenza del trenino, è rimasto logicamente intatto, si possono ammirare le vette del Pelmo, dell’Antelao e di Cima Marcora; un lungo ponte in ferro a 3 travate (81 m.) è stato invece abbattuto nel 1971, una galleria piccolina (22,16 m.) che conduceva alla fermata della Chiapuzza già a 1020 m.s.l.m., è ancora presente. Nella foto il viadotto in ferro di San Vito. (Da cartolina d’epoca) |
Il trenino arrancava
costeggiando la strada statale a destra sino alla fermata di Dogana Vecchia e quella di Acquabona. (Foto da cartolina d’epoca) |
Dopo un ennesimo
passaggio a livello con relativo casello (abbattuto) la ferrovia costeggiava la strada nei pressi della fermata di Zuel. (Foto da cartolina d’epoca) |
Il grosso e lungo
viadotto in muratura sul Bigontina permette una stupefacente visuale sulle vallate di Cortina e sul Monte Cristallo. (Foto da cartolina d’epoca) |
Finalmente il
trenino raggiungeva la stazione di Cortina dopo una breve sosta in zona
“Hotel Miramonti”; nella foto è ritratto l'interno. (Foto da cartolina d’epoca) |
Dopo Cortina il trenino proseguiva il suo viaggio in direzione di Dobbiaco; dopo la fermata di Codivilla s’incontrava il canalone sotto il Col Rosà, in zona vi era la stazione di Fiammes, (1297 m.s.l.m.). Foto da cartolina d’epoca. |
Superata Fiammes, s’incontrava la più lunga
galleria della linea, quella di Pezzovico (559,50 m.), a sud del colle di Podestagno. In realtà le gallerie erano due, quella più vecchia che risaliva all’epoca della Grande Guerra era destinata al deposito del materiale rotabile fuori linea; nella foto la galleria ancora in costruzione, era quella utilizzata all’epoca della trazione elettrica. (Foto collezione Enrico Bassi) |
Dopo il torrente
Felizon, superato tramite un bellissimo ed alto ponte in metallo, si entrava nell’ultima galleria della ferrovia dolomitica, quella di Podestagno (75,89 m.). Nella foto il ponte a travata metallica sull’orrido del Felizon, unica struttura ferrosa preservata. (Da cartolina d’epoca) |
Seguendo la valle
del fiume Felizon il treno giungeva alla stazione di Ospitale (1474 m.s.l.m.). Foto da cartolina d’epoca. |
Prima di raggiungere il passo di Cimabanche, il punto più alto
dell’intera linea (1529 m.s.l.m.), il trenino superava ancora boschi e laghetti ed entrava in Trentino Alto Adige. Nella foto la stazioncina di Cimabanche. (Da cartolina d’epoca) |
Con una pendenza del
33%o la ferrovia proseguiva in discesa verso Carbonin/Misurina. Nella foto la stazione di Carbonin. (Da cartolina d’epoca) |
A questo punto si
costeggiava il lago di Ladro sino alla fermata omonima con splendida visuale sulle Tre Cime di Lavaredo. Il treno costeggiava il torrente Rienza e sorpassava per ben due volte la strada Alemagna tramite altrettanti passaggi a livello. Il trenino si fermava alla stazione di Sorgenti. (Foto da cartolina d’epoca) |
Veduta dall’alto del
lago di Landro (1410 m.s.l.m.) con la ferrovia dolomitica che lo seguiva; sullo sfondo il grande Cristallo alto ben 3199 m.s.l.m. (Foto da cartolina d’epoca) |
L’ultimo passaggio a livello e la ferrovia costeggiava il bellissimo lago
di Dobbiaco dove vi era anche la fermata “al Lago”; l’ultima ripida discesa e il trenino si attestava alla stazione terminale di Dobbiaco (1217 m.s.l.m.). Nella foto il lago di Dobbiaco. (Da cartolina d’epoca) |
Il 28 giugno del
1929 partirono le prime corse di prova con elettromotrici; la linea aerea, l’impianto nonché la sottostazione di Cortina erano state realizzate dalla Tecnomasio Italiana Brown Boveri di Novi Ligure. Le sei elettromotrici con relative rimorchiate erano di costruzione Stanga, nella foto si vede la 004 con due vetture alla stazione di Fiammes; le livree erano di colore azzurro nella parte inferiore e bianco in quella superiore. (ex archivio TIBB, collezione Evaldo Gaspari) |
L’elettromotrice 005 venne testata il giorno
successivo, nella foto la si vede varcare il bellissimo ponte del Bigontina. (ex archivio TIBB, collezione Evaldo Gaspari) |
Lo scopo principale della Ferrovia delle Dolomiti era quello di collegare il Cadore con il Trentino, quasi a volere dimenticare l’affronto subito nel 1867 quando s’aprì all’esercizio la ferrovia del Brennero preferendo quel tracciato al tanto sospirato corridoi dolomitico che da Calalzo avrebbe potuto collegare direttamente l’Italia all’Austria tramite la Val Pusteria. Nonostante i trasbordi di merci e passeggeri ai due capolinea, la “piccola ferrovia” servì dignitosamente una magnifica zona del paese, tra vallate impervie di natura incontaminata e località di villeggiatura che divenivano mano a mano sempre più trafficate dagli appassionati di montagna e di sport invernali. Su tutte Cortina d’Ampezzo ne trasse un profondo beneficio in termini d’afflusso turistico; ben presto si perse però l’interesse per il trasporto delle merci e la linea si orientò quasi esclusivamente al trasporto dei turisti e dei pendolari, i locomotori della SFD, 101 e 102 (520HP), erano utilizzati sempre meno per il traino dei convogli merci e più di sovente come mezzi di soccorso o di spinta per gli spala neve. Prima dello scoppio del II Conflitto Mondiale si era ritornato a vociferare della direttissima Venezia-Monaco di Baviera, ferrovia delle FS arrestata a Ponte delle Alpi, ma con l’avvento della guerra la Ferrovia delle Dolomiti continuò la sua privilegiata opera di collegamento senza il concretizzarsi di quell’antico progetto ferroviario a scartamento ordinario. Nel 1941 la SFD si prodigò al trasporto degli atleti e del loro seguito per i Campionati Mondiali di sci a cui parteciparono solamente le nazionali del “tripartito” e della Svizzera. Nel settembre del 1943 iniziò l’occupazione nazista del Cadore, la direzione della ferrovia passò sotto il controllo germanico e alcuni treni vennero utilizzati per scopi militari; anche la Ferrovia Dolomiti fu di conseguenza vittima nel 1944 di mitragliamenti aerei e sabotaggi d’origine partigiana. Dopo le tristi vicissitudini della guerra, con danni “limitati” se paragonati a quelli d’altre ferrovie private trovatesi magari con l’intero parco rotabili distrutto e con gravi danni alle strutture, la Ferrovia Dolomiti riprese lentamente fiato, grazie anche ad un sussidio governativo emanato per il risanamento economico della società. Nel 1946 arrivarono nuovamente nelle valli dolomitiche i turisti. Nel 1949 la grande notizia: i settimi giochi olimpici invernali si sarebbero tenuti proprio a Cortina d’Ampezzo nel 1956. Il dilemma a questo punto era: potenziare l’esistente Ferrovia Dolomiti o sopprimerla e costruirne una di nuova a scartamento standard che collegasse le stazioni FS di Dobbiaco e Calalzo? Alla fine i quattro interlocutori, SFD, Società Veneta (consociata), FS e Ministero dei Trasporti, optarono per la prima proposta. Vennero potenziati 20 Km d’armamento e aumentato il raggio di alcune curve, la galleria di Pezzovico subì un doppio prolungamento di cemento per evitare frane che la ostruissero, si sistemarono dei caseggiati a Calalzo e a Cortina, nuovi paravalanghe, semafori, passaggi a livello e per finire l’acquisto di due elettrotreni snodati a tre casse di costruzione OMS/TIBB. Durante le olimpiadi invernali del 1956 oltre 7000 passeggeri giornalieri viaggiarono sui trenini bianchi ed azzurri della SFD, un record che purtroppo non si ripeté mai più sugli stretti binari della SFD. |
Bellissimo panorama
invernale con l’elettromotrice e tre rimorchiate. (Foto da cartolina d’epoca) |
Elettromotrice 005
con rimorchiata, bagagliaio e piccolo carro merci alla fermata “Lago di Dobbiaco”. (Foto & ©Alfred Luft) |
Elettrotreno OMS/TIBB
fotografato nei pressi di Cortina. (Foto & ©Rinaldo Zardini) |
I due elettrotreni
vennero numerati come 007 e 008; erano costituiti da tre casse con quattro carrelli montanti motori del tipo GLM 0340DK, eroganti potenza continua di 60 KW a 1420 giri al minuto; velocità massima di 80 Km/h, mai raggiunti sulla Ferrovia Dolomiti. Nella foto se ne vede uno in sosta alla stazioncina di Vodo. (Collezione Evaldo Gaspari) |
Purtroppo nel giro di pochi anni le condizioni economiche della SFD peggiorarono sensibilmente, una concatenazione di cause decretò il progressivo abbandono della manutenzione, sia dei binari che del materiale rotabile che cominciava a rendere evidente il grosso dei suoi anni; soprattutto le vecchie elettromotrici, sempre meno affidabili e a rischio guasti, deragliamenti o incidenti. La sfiducia verso il mezzo ferroviario delle Dolomiti e l’ampliarsi del parco automobilistico privato inducevano i villeggianti a raggiungere Cortina con mezzi propri; da non scordare che quelle località erano per lo più frequentate da persone benestanti che preferivano una nuova e comoda automobile al vecchio e pericoloso trenino. L’incidente più grave avvenne l’11 marzo del 1960 ad Acquabona, la rottura dell’asse di un bagagliaio causò uno spaventoso deragliamento a causa del quale morirono due persone e rimasero feriti altri 27 passeggeri. Un po’ in anticipo sui tempi si attuò la politica del non potenziamento a discapito di una ferrovia che meritava d’essere messa in sicurezza con strutture moderne, materiale rotabile all’avanguardia e tutte quelle novità tecnologiche che si andavano diffondendo in altre ferrovie di montagna, in Svizzera e Austria soprattutto. Il 13 marzo del 1962 venne chiuso all’esercizio il tratto tra Dobbiaco e Cortina, due anni e due mesi dopo quello per Calalzo, la Ferrovia delle Dolomiti andava in pensione in maniera silenziosa, una immane e mostruosa vergogna il non aver potenziato la linea, l’ennesima brutta figura ferroviaria dei governanti italiani dell’epoca. Ora, guardando le bellissime foto a colori e sperimentando il traffico automobilistico da e per Cortina dei giorni nostri, s’intuisce facilmente che quel trenino bianco ed azzurro rappresentava il vero progresso, monito triste e silente per un futuro che potrebbe divenire incerto per molte altre ferrovie di montagna a scartamento ridotto. Poco materiale rotabile fu salvato dalla demolizione, qualche vecchia carrozza acquistata dalle Ferrovie Calabro-Lucane e gli elettrotreni 007 e 008 che, una volta aggiornati nello scartamento, presero servizio sulla “Trento-Malé” nel 1967; inizialmente vennero conservati i colori originali delle livree SFD ma di seguito gli elettrotreni vennero ridipinti per ben due volte. Nel giro di qualche anno l’intera ferrovia venne smantellata, binari disarmati, linea elettrica abbattuta, tutti i ponti in metallo smontati ad eccezione di quello sul rio Felizon ancora oggi percorribile. Vennero demoliti parecchi caselli ed alcune stazioni; le strutture della vecchia Ferrovia Dolomiti sparirono quasi completamente nel nulla, il sedime rimane tuttavia passeggiabile d’estate e transitabile d’inverno con gli scii da fondo, almeno i terrapieni e le gallerie sono rimasti al loro posto. Per una panoramica generale e completa sulla "Ferrovia Dolomiti" consiglio il bellissimo libro di Gaspari Evaldo (La Ferrovia delle Dolomiti) pubblicato da Athesia: http://www.athesialibri.it |
Il terribile
incidente dell’11 marzo 1960 ad Acquabona. (Da Italmodel Ferrovie n.142, Nov-Dic 1968) |
Elettrotreno ripreso
nei pressi di Dobbiaco. (Foto & ©F. Pozzato) |
Due fotogrammi tratti dal film “Vacanze d’inverno” (1959) con Alberto Sordi e il trenino delle Dolomiti. |
Elettromotrice 008 sulla Trento-Malé, anno 1979. (Foto di G.Berto) |
L’elettrotreno 008, ex SFD, accantonato alla
vecchia stazione di Malé. Recentemente è sorto un comitato a Trento che si pone come obbiettivo il ripristino di questo mezzo; riverniciato con gli originali colori “bianco-azzurro” potrà essere utilizzato come treno storico sulla tratta Tranto-Malé. (Foto di E.Bassi) |
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