"Pacem in terris", quarant'anni dopo.
Anche da noi, come in molte altre sedi, la scadenza quarantennale sarà
l'occasione di una rivisitazione del documento giovanneo che ha segnato
così in profondità non solo la Chiesa cattolica, al suo interno,
ma le sue relazioni con il mondo e le società.
Quarant'anni dopo, appunto. Quali
e quanti eventi sono accaduti in questi quarant'anni, dalla caduta del
muro di Berlino ('89) all'11 settembre di due anni fa! E quali cambiamenti
hanno portato!
Questi potrebbero decretare, a proposito
dell'enciclica, la sua non attualità, cioè l'essere definitivamente
superata, rispetto alla storia recente e ai suoi sviluppi. Due ordini di
considerazioni (almeno) potrebbero smentire quel giudizio.
Innanzi tutto, mi sembra tuttora
attuale la nozione stessa di pace, abbozzata da papa Giovanni. Lo ricordava
Mons. Bettazzi, negli incontri al castello di Albiano. L'enciclica introduce
una visione ricca e complessa di pace. Essa non è solo il tacere
delle armi, l'equilibrio del terrore, il dominio del più forte.
E' l'incontro - intorno alla visione biblica dello shalom - fra verità
religiosa e valori umani, quali la verità, la giustizia, l'amore
e la libertà, senza che l'una determini gli altri. L'appello ai
"segni dei tempi", più volte presente nell'enciclica, è il
ricorso ad un giudizio storico che non è semplicemente dedotto da
grandi principi filosofici o religiosi, ma ricavato per altre vie.
Un secondo ordine di considerazioni
ci aiuta a scoprire il carattere profetico, proprio a distanza di tempo.
Una profezia ancora capace di illuminare il nostro tempo. Si pensi alla
differenza fra il contesto storico in cui vide la luce l'enciclica,
e quello attuale. Allora due superpotenze impegnate nella guerra fredda,
sull'orlo di nuovo conflitto mondiale; ora, una sola superpotenza, invischiata
ed indebolita dagli stessi conflitti che essa ha provocato. E un nemico
sfuggente - il terrorismo - che non si lascia individuare e collocare esattamente,
ma che ha la sua matrice nel disordine e nell'ingiustizia internazionale,
già denunciati da Papa Giovanni. Allora come oggi, si tocca con
mano quanto pesi il non avverarsi del sogno giovanneo: che non vi siano
più "popoli dominati e popoli dominatori" (n. 42).
Un ultimo suggerimento, riferito
alla nostra comunità nazionale. Papa Giovanni XXIII vedeva
quale fattore di sviluppo delle nazioni la divisione e l'armonica collaborazione
fra i poteri dello stato (nn. 67-69). Il conflitto fra governo e magistratura,
che si trascina oltre misura, i toni delle recenti polemiche fra maggioranza
ed opposizione, non sono sicuramente in linea con l'insegnamento e gli
auspici della "Pacem in terris". Questa invita tutti, i politici in primis,
ad un serio esame di coscienza. Magari sgradito, ma non infruttuoso.
piero agrano