IVREA - Prendiamola alla larga. Gli
Enti Locali, a cominciare dai nostri Comuni più grandi come Ivrea,
hanno rinunciato da tempo a svolgere in proprio molte attività di
assistenza e promozione in campo sociale e le trasferiscono via via, almeno
in alcuni settori, a gruppi di privati: a partire dagli asili per arrivare
all’assistenza agli anziani.
Il mondo cattolico, ad Ivrea, da
sempre è molto impegnato in tante di queste attività: dall’aiuto
alle persone anziane o in difficoltà economica, ai malati, ai giovani
che si drogano, alle coppie con problemi di relazione e così via.
E’ dimostrato che il mondo cattolico ha preceduto, storicamente, in questi
settori l’intervento pubblico il quale ha una sensibilità meno pronta
e, soprattutto, tempi lunghi per organizzare l’intervento oppure agisce
là dove il “pubblico” non pensa neanche di arrivare. Questa è
una consolidata tradizione: gli ospedali del torinese, un secolo e mezzo
fa, furono realizzati per iniziativa di singoli credenti o di congregazioni
religiose e vennero solo molto più tardi sostituiti da strutture
e servizi pubblici. Ci sono casi di settori in cui i cattolici hanno passato
la mano al “pubblico” ed altri casi in cui il “pubblico” non è intervenuto
mai o non in modo esaustivo: penso, ad esempio, all’assistenza in favore
di singole persone o famiglie in difficoltà economica (e non solo)
svolta dalle nostre “S. Vincenzo”. Ma il passaggio da “pubblico” a “privato”,
anche se ciò non sempre è un fatto positivo, si sta sviluppando
a grande velocità in questi ultimi tempi ed è ormai quasi
sistematico perché gli Enti Locali:
• hanno pochi soldi;
• sono poco snelli: la “struttura”
costa loro, spesso, più del servizio prestato;
• sono poco elastici di fronte al
cambiamento delle esigenze delle persone;
• devono barcamenarsi tra interessi
e obiettivi divergenti delle varie forze politiche;
• sono vincolati da contratti “rigidi”
del personale (perché gli asili comunali devono chiudere nelle vacanze
natalizie come le scuole anche se i loro bimbetti non sono ancora autosufficienti
come gli scolari?).
Quindi il “privato” spesso anticipa
il “pubblico” o vi si affianca nei settori solo parzialmente coperti e
questo “privato” è molto spesso di formazione cattolica. Questo
“privato” si è sviluppato in modo autonomo dal “pubblico” ma questo
non vuol dire in polemica con il “pubblico” e non rifiuta un ruolo di collegamento
e di coordinamento da parte del “pubblico” purché sia un coordinamento
efficace e non impositivo o autoritario.
Presentiamo una delle più
significative testimonianze di questa attività del “privato” di
matrice cattolica, sviluppatasi in questi ultimi decenni. E’ “l’Orizzonte”,
associazione di Ivrea che da oltre dieci anni opera nel ricupero dei ragazzi/e
tossicodipendenti.
Per “l’Orizzonte” l’inizio è
stato abbastanza libero quanto a locali, scelta degli operatori e degli
utenti. Successivamente il “pubblico”, in base alla normativa istituita,
ha proceduto ad un riordino della situazione: per i locali, per gli operatori
e infine, per l’accettazione dei giovani tossicodipendenti solo dietro
richiesta degli operatori del “pubblico-sociale”, che scelgono il programma
più confacente al ragazzo/a.
Quali sono le filosofie di fondo
nell’intervento pubblico e privato? Potremmo sintetizzare così:
Pubblico: a) contenere il danno,
prima di tutto. Cioè evitare gravi malattie, al limite la morte.
A questo scopo viene distribuito il metadone o prodotti analoghi. Va detto
subito che l’uso del metadone in sostituzione della droga è solo
parzialmente efficace, tant’è che in molti casi il ragazzo/a fa
uso dell’uno e dell’altra; b) ricuperare chi chiede di farlo. Con queste
persone, una minoranza purtroppo, si stabilisce il colloquio ed esse vengono
seguite nel tempo; c) scegliere le persone da mandare ai centri di ricupero
quali “l’Orizzonte” e sono di solito i casi estremi, quelli per cui l’assistenza
normale è inefficace; oppure casi in cui il ragazzo va separato,
anche fisicamente, dal contesto ambientale - familiare in cui risiede oppure
quando dimostra un desiderio di ricupero e non è in grado di farvi
fronte da solo.
Privato, come “l’Orizzonte”: a)
“tirare fuori” dalla droga il ragazzo/a e restituirlo alla vita normale,
con un bagaglio di convinzioni per cui possa vivere anche senza la droga.
A tal fine lo sforzo degli operatori è duplice: in breve tempo portare
il ragazzo/a a fare a meno del metadone; poi trasmettergli la convinzione
che si può vivere bene anche senza droga: questa parte di attività
richiede un comportamento attivo del ragazzo/a, il quale deve scavare a
fondo nella su testa e nel suo cuore, per mettere a nudo le motivazioni
che l’hanno portato all’uso della droga.
Risultati: una parte, molto minoritaria,
dei ragazzi non completa il programma e ritorna fuori (cioè in strada,
più o meno) nei primissimi mesi. Ma di tutti quelli che terminano
il programma non possiamo dire che ci sia la sicurezza che faranno a meno
della droga per sempre: una percentuale non trascurabile, dopo 1-2 anni,
ricomincia a farne uso. Perché l’insuccesso? Perché i nostri
ragazzi/e non hanno quasi mai una professionalità, sono spesso sfruttati
dal mercato del lavoro, hanno una vita difficile negli affetti anche nella
famiglia di origine, talvolta resta in loro un po’ di egocentrismo.
Un commento conclusivo: il metodo
dell’Orizzonte è valido perché chi completa il programma
costruisce un rapporto umano con sé e con gli altri; perché
si creano amicizie ed una rete di aiuti che servono anche fuori; perché
gli operatori sono sempre disponibili a dare una mano. Ma è valido
anche come risultati perché i casi di ricupero, pur non essendo
la totalità (e neanche la maggioranza) restano comunque una percentuale
apprezzabile e perché i ragazzi/e ricuperati hanno una vita non
facile, ma ritrovano la pienezza di una vita “normale” di lavoro, di famiglia,
di affetti, spesso anche di fede.
renzo ferro garel