Sotto il titolo Millennium Canavese
figura un progetto di parco tematico e commerciale (non è chiaro
quanto parte avranno le due componenti e quale sarà il 'tema' del
parco) destinato ad occupare 600.000 mq., di cui 140.000 occupati da nuove
costruzioni, (67.000 metri quadri andranno da soli al parco commerciale),
nel territorio di Albiano, al centro di un'area molto interessante
sotto il profilo paesaggistico e culturale, collocata com'è al centro
dell'anfiteatro morenico, fra i castelli di Masino, Albiano e Bollengo.
L'afflusso previsto è di
12/13 milioni di visitatori all'anno. Visitatori che giungeranno, in larga
parte, in macchina, utilizzando la rete autostradale. Con tutti i problemi
che una realtà del genere provocherà: "Oggi si cerca il 'car
free' (cioè di svincolarsi il più possibile dall'auto), qui
sembra prevalga il 'car full'!, hanno osservato gli esperti
Quanto ai nuovi occupati al Millennium,
la cifra più volte sbandierata di 1000 unità sembra destinata
a ridursi a 350 circa. Come nei centri commerciali, si tratterà
di giovani, con una qualificazione generalmente bassa, e largo impiego
di contratti a termine.
Il fascino del progetto
Un gruppo di lavoro che ha analizzato
il progetti sotto la guida del professor Borlenghi, docente di marketing
territoriale alla facoltà di Economia di Torino, vi ha riconosciuto
"la seduzione della comunicazione", l'appeal di una proposta che investe
le nuove tecnologie dell'informatica nel campo dell'intrattenimento, dello
svago, dei loisirs, come usano dire i francesi. E vi promette, in pari
tempo, nuove opportunità di lavoro.
Vi è, però, una seduzione,
non facilmente conciliabile con la prima, quella "dei luoghi" dell'anfiteatro
morenico, la cui bellezza è, altrove, ancora poco nota. Come passare
dalla "seduzione della comunicazione" alla "seduzione dei luoghi", di un
gioiello che richiede di essere preservato? Cosa fare, si domanda ancora
il docente, perché una bene raro diventi finalmente un bene prezioso?
Nessuno trascura ora il problema
occupazionale in Canavese, nella fase di recessione che tutti conosciamo.
Ma è questa la risposta giusta, appropriata?
Capitali dilapidati
Nel dibattito si è parlato,
a più riprese, di costi delle opere in se stesse e delle infrastrutture
(soprattutto viarie) che si renderanno necessarie: ampliamento del collegamento
autostradale, modifiche nei corsi d'acqua, in un'area che era stata dichiarata
(e di fatto lo è) a forte rischio di esondazione… Sulle spalle
di chi graveranno? Sarà l'ente pubblico (Regione, patti territoriali…)
a finanziare opere di interesse privato, solo con la promessa di una manciata
di nuovi occupati? Ma la riflessione proposta ha portato a considerare
due generi di 'capitali' che dovranno essere investiti, e ai quali non
si presta, forse, sufficiente attenzione.
Nell'area dell'Eporediese, come
è noto, vi è un capitale di know how, di competenze e di
sapere tecnologico, che si va rapidamente depauperando ed esaurendo, in
assenza di attività produttive e di ricerca. Alcune aziende se ne
sono andate (vedi Northel e Elea). Significativa è la crisi che
sta investendo la stessa RTM. Chi verrà ancora ad investire ad Ivrea
e dintorni? E perché dovrebbe farlo? Il Millennium è la risposta
al problema, con i suoi connotati commerciali e di consumo? Sarà
in grado di creare nuova cultura tecnologica a lungo termine, o solo profitti
a breve? La risposta sembra essere scontata: il beneficio economico sarà
sull'immediato. Mentre ad essere deturpato, in maniera irreversibile, sarà
l'altro capitale, quello paesaggistico e culturale, al quale, da più
parti ormai, si riconosce anche una "valenza economica", una capacità
di produrre o di favorire ricchezza, di attirare turismo... In che modo?
Una parola chiave: lo sviluppo sostenibile
Nel valutare l'opportunità
di un insediamento industriale non si può ormai più prescindere
dall'impatto ambientale e dalla sostenibilità. Non vi è solo
una sostenibilità di ordine ecologico, (l'ambiente è in grado
di sopportare il nuovo consumo energetico, il peso non meno rilevante dei
rifiuti da smaltire …?), ma vi è un problema di sostenibilità
anche di ordine economico - sociale. Non va dimenticato che il capitale
investito non è solo finanziario ma di ordine naturale e paesaggistico.
Vi è, poi, la considerazione dell'ambiente sotto il profilo umano
e sociale: che cosa significherebbe, ad esempio, spostare la piazza dalla
sua collocazione storico/naturale (si pensi ai centri storici già
esistenti ad Ivrea e dintorni) ad una nuova collocazione artificiale?
Ormai è chiaro: è
in gioco un modello di sviluppo, e di società del futuro. Si pensi
alla creazione dei megacentri commerciali (molti sono previsti in Piemonte,
in aree non lontane dalla nostra) come luoghi di aggregazione - soprattutto
giovanile - sotto il segno dell'offerta di nuova merce e del consumismo.
Interessanti, al riguardo, le annotazioni proposte dal consigliere regionale
RC Contu sulle strategie pubblicitarie, poste in atto in questi giorni
nella stampa locale. Saranno questi i santuari del futuro, a cui affluire,
da visitare la domenica, per celebrare i nuovi riti del consumismo?
Chi decide in definitiva?
Non si può tacere che, in tutta la faccenda, vi è una questione democratica. Chi decide? Qualche assessore regionale, o sindaco locale? Quale spazio è dato (o negato) a chi dissente? Le mozioni delle varie associazioni avranno un qualche peso, soprattutto quando si sono ravvisati giochi quanto meno sospetti nel modificare, o nell'adattare valutazioni di carattere idrogeologico che potrebbero ostacolare l'iter realizzativo dell'opera? Vale la pena di osservare che non sempre la valutazione offerta dagli enti locali competenti (leggi: comuni) è la più obiettiva e documentata, sottoposta com'è, più di altre, alla pressione di interessi economici e alla prospettiva di guadagni immediati per i bilanci comunali. Ma come può essere determinante l'approvazione di un singolo comune, quando l'impatto è su di un'area più vasta?
E allora?
Non ci si può limitare a …
fare gli schizzinosi. Il dibattito sul Millennium non può essere
solo critico, ma progettuale, propositivo. Non può limitarsi a dire
dei no, ma deve avere il coraggio di percorrere e di indicare nuove vie
di sviluppo. E di creare (o di tentare di creare) su di esse nuovi consensi.
Nel convegno di lunedì scorso
si è tornato a parlare di agricoltura, come di una vocazione naturale
per il Canavese.
Roba da stropicciarsi occhi ed orecchi…
Ma come? Dopo decenni di sviluppo industriale, di miti inseguiti e poi
abbandonati…? Realistica-mente, può l'agricoltura, nelle condizioni
in cui è stata ridotta, surrogare le esigenze di sviluppo che l'industria
e la tecnologia informatica non è stata in grado di soddisfare?
C'è chi ha proposto con forza, come Gottero della Coldiretti, una
nuova agricoltura polifunzionale ed attenta all'ambiente. C'è chi
ha proposto in Canavese la reintroduzione della coltivazione della canapa…
Non si tratterà, ci si domanda, di piccole "nicchie", magari significative,
ma poco rilevanti, quanto alla soluzione dei problemi occupazionali in
Canavese? In ogni caso, quale 'conversione' culturale, di mentalità,
è richiesta per questo genere di cambiamento?
Tante, troppe domande, rispetto
alle risposte. Per questo occorre proseguire la riflessione, ed allargare
il dibattito, acquisendo tutti i dati possibili, sia a livello informativo
che propositivo. Occorre, fin da ora, esercitare un'attenta vigilanza perché,
fra cavilli ed espedienti burocratici, non ci si trovi 'scippati' di un
angolo di Canavese veramente 'prezioso'.
d.p.a.