IVREA - Nella discussione sulla proposta
di Costituzione europea elaborata dalla Convenzione presieduta da Valery
Giscard d’Estaing, si è finito con l’accantonare il problema del
riferimento a Dio per limitarsi a riconoscere l’importanza che i valori
religiosi (non ulteriormente specificati) hanno avuto nella determinazione
dell’identità complessa dell’uomo europeo.
Le due questioni però avevano
un diverso significato e stupisce che spesso l’informazione li abbia confusi.
La particolare soluzione data al
secondo lascia, però, sussistere in tutta la sua pregnanza il primo,
al quale non è stata data risposta. Si tratta in sostanza di due
questioni distinte: una riguarda la natura stessa e i fondamenti della
Costituzione ed è un problema di filosofia politica; l’altra è
una questione di fatto e riguarda la storia dell’Europa. Non riconoscere,
nel momento in cui si elencavano alcuni snodi fondamentali della storia
spirituale dell’Europa (penso all’antichità classica e all’illuminismo),
l’apporto dato dal cristianesimo era semplicemente espressione di ignoranza
o di cieco pregiudizio. Su questo punto non si poteva far altro che rivedere
completamente la formulazione di quel passaggio del Preambolo. Ma il problema
rappresentato dal riferimento alla Trascendenza resta in tutta la sua importanza.
E la questione è stata totalmente coperta da una fitta coltre di
silenzio, nella segreta speranza che il non parlarne la destituisca di
importanza.
Non si vuole affrontare la questione,
che invece in altri momenti fondamentali della storia dell’Europa moderna
i costituenti ritennero essenziale affrontare, se cioè la definizione
dei diritti della persona e l’ordinamento dello stato derivino unicamente
dalla Volontà dei costituenti che rappresentano i popoli o se, invece,
i diritti delle persone e le istituzioni che nascono per garantirli e promuoverne
l’attuazione non scaturiscano unicamente da tali decisioni, ma abbiano
il loro fondamento nel Principio ultimo di ogni valore che è Dio.
Ogni religione (e in particolare
quelle monoteistiche) riconosce che il significato dell’esistenza non è
determinato dall’uomo, ma lo riconosce anche gran parte del pensiero filosofico
dell’occidente, che spesso definiamo “laico” (penso a Kant, ad esempio).
Non vedo per quale ragione dobbiamo accettare in modo così acritico
quello che sta diventando un luogo comune indiscusso, e cioè l’associazione
di Trascendenza e intolleranza, e non sottolineare invece che è
proprio la Trascendenza che fonda il pluralismo e ci impedisce di chiuderci
nelle “nostre verità” e di assolutizzarle.
Una seria riflessione sulle tragedie
del secolo che abbiamo lasciato alle nostre spalle dovrebbe indurre sia
il “laico” a rivedere alla radice alcuni dei “dogmi” del pensiero moderno,
sia il credente a interrogarsi su come la fede in un Dio trascendente si
sia potuta rovesciare, nelle mani di alcuni, nel suo opposto.
emilio giachino