La relazione con cui mons. Vescovo
ha presentato, lo scorso sabato, il programma pastorale diocesano 2003-2004,
presenta punti di notevole interesse, a cominciare dalla lettura socio-ecclesiale
che propone. L'analisi e la descrizione dei fenomeni - è ovvio -
è preliminare alle decisioni e agli orientamenti, ed è parte
integrante di qualsiasi iter progettuale.
Richiamati i documenti magisteriali
recenti, Mons. Miglio ha individuato alcuni fenomeni che hanno caratterizzato
(e tuttora caratterizzano) l'attuale stagione ecclesiale. Essi vanno rintracciati
nell'area giovanile, dell'ecumenismo europeo, e nella diffusione dei movimenti.
La novità e la diversità, fra le varie generazioni succedutesi
nel quarantennio trascorso, si avverte nello stesso approccio all'evento
che ha segnato la storia recente della Chiesa: il Concilio Vaticano II.
C'è una generazione che ha vissuto da vicino la novità conciliare,
come cambio di rotta ed 'interruzione' nella vita ecclesiale. Ha avvertito
un forte bisogno di cambiamento, e anche una certa insofferenza per le
lentezze e gli ostacoli che hanno frenato il post concilio. Ha imparato
ed ha richiesto alla sua Chiesa anche la domanda di perdono. Forse, ha
conservato qualche nostalgia, o qualche complesso, per un tempo di cristianità
che sembra ormai lontano. L'idea dell'ecclesia semper paenitenda
- per dirla con uno slogan di Paolo VI - è confluita nell'anno giubilare,
nella ripetuta richiesta di perdono dell'attuale papa, uno fra i filoni
più interessanti dell'agire e dell'insegnare di Giovanni Paolo II.
Ma vi è un'altra (o altre?)
'generazione di chiesa', afferma Mons. Miglio, che "vive la fierezza di
essere per Gesù…". Forse l'icona più visibile di questa generazione
è quella offerta dai giovani delle GMG, che hanno accolto, senza
crisi né rotture, il messaggio conciliare nell'insegnamento di Giovanni
Paolo II. Una generazione capace di disegnare scenari ecclesiali inediti,
con la ricerca di appartenenze e di impegni che spiazzano talora le attese
e gli schemi istituzionali. Più che di domande 'penitenziali' questi
giovani (e non) portano la 'fierezza' dell'essere credenti, o semplicemente
la serena consapevolezza di aver (ri)trovato casa, luoghi di identificazione,
in esperienze di gruppi ecclesiali.
Come tenerne conto nelle programmazioni
ecclesiali? Si tratta, innanzi tutto, di favorire il reciproco riconoscimento
di ‘generazioni di chiesa’ (il dialogo, mi sembra, è più
fra le generazioni che fra le istituzioni che le rappresentano) differenti
e complementari, quanto alle loro sensibilità, alle loro attese,
ai doni di cui sono portatrici. Riconoscerci per beneficiare, ciascuno,
dell'apporto dell'altro.
Tutto ciò non è possibile
se non all'interno di una Chiesa - riprendo un'altra suggestione della
relazione del Vescovo - che, anziché essere "sanzionatoria", sia
capace di una paziente accoglienza pedagogica, capace di viaggiare e far
viaggiare a differenti velocità, sia pure verso traguardi e su itinerari
condivisi.
piero agrano