I lettori mi perdoneranno se ritorno
ancora una volta alla celebrazione del 25 aprile, alla luce di quanto è
stato detto e scritto intorno a questa ricorrenza. Le polemiche e i dibattiti
di questi giorni, incluse alcune assenze eccellenti alle manifestazioni
ufficiali (leggi: Berlusconi e Fini), hanno messo un po' di pepe in una
ricorrenza che rischiava di trascinarsi stanca e scontata.
1. Ha ragione il sindaco di Bollengo,
Luigi S. Ricca, allorché afferma a Lace (Donato) che il 25 aprile
ha una precisa identità. Non è una generica commemorazione
delle vittime, e dei caduti delle guerre (per questo vi sono già
altre celebrazioni): al contrario, è la festa della libertà
democratica riconquistata, in un preciso momento storico.
2. Ad una lettura storiografica,
il 25 aprile appare l'epilogo di una dolorosa lotta di liberazione. Evento
complesso e doloroso, con luci ed ombre, con vincitori e sconfitti, ed
una lotta fratricida che si lasciò dietro una scia di sangue e ferite
profonde. Se è ragionevole invocare un consenso nazionale sui frutti
che essa produsse, è difficile immaginare una valutazione unanime
sull'evento e sul modo in cui esso si produsse.
3. Resta da domandarsi quale sia
l'obiettivo di una celebrazione del genere, a distanza di 58 anni dall'evento.
Non certo quello di rinfocolare odi e faziosità, o di attizzarli
in coloro che allora non c'erano, ma della ricerca di una riconciliazione
nazionale, dentro ad un quadro democratico di valori condivisi, di pluralismo,
di rispetto dell'avversario politico, di ricerca del bene comune. Riconciliazione
non significa, però, equiparazione qualunquistica fra l'una parte
e l'altra. Così come la ricostruzione storica deve evitare un revisionismo
che stravolge i fatti o li annacqua, a favore della propria ideologia,
come ad es. ridurre tutta la lotta partigiana allo schema comunisti-anticomunisti.
4. A molti è parso opportuno
accostare quella guerra di liberazione, a quanto è accaduto recentemente
in Iraq. Non si tratta, in entrambi i casi, di guerre di liberazione? Il
futuro ci dirà se l'intervento militare angloamericano in Iraq ha
davvero prodotto effetti liberatori duraturi. Attualmente possiamo osservare
una crescente ostilità degli Iracheni verso quelli che sono considerati
non liberatori ma occupanti ed invasori. In ogni caso, non si può
fare a meno di costatare che fra le due guerre c'è una gran bella
differenza, nonostante alcune analogie. Differente è ad es., il
grado di coscienza e di attese democratiche fra i due paesi. Pressoché
irrilevante, in Iraq, un movimento di liberazione e di resistenza equivalente
a quello partigiano, in Italia.
5. Il "gioco" più in auge
in questi giorni è, però, di domandarsi chi ci guadagna in
questa guerra appena terminata. E non solo in termini di profitti economici
derivanti dalle commesse prossime venture, ma di vantaggi politici in casa
nostra. "La gestione saggia e misurata della situazione irachena
- scrive il Vespa nazionale, sempre più cantore dei fasti del governo
Berlusconi, e meno anchorman super partes, su Panorama - premia il governo
che cresce in popolarità anche tra gli elettori avversari". Stupendo.
Ma sarà poi vero?
piero agrano