IVREA - Preceduta dalle inevitabili
polemiche (quest'anno il Comune è stato accusato dagli organizzatori
di scarso impegno e collaborazione), nelle giornate di venerdì,
sabato e domenica scorsi 23° edizione dell'EuroJazz Festival è
sbarcata finalmente in riva alla Dora.
Come succede ormai da alcuni anni,
il programma principale in città si è ridotto di consistenza,
ma il Festival si è in compenso arricchito con tre serate in varie
località della cintura torinese: si è assistito quest'anno
a uno straordinario concerto del trio del trombettista Paolo Fresu, e all'esibizione
di un interessante nuovo talento, l'arpista Vincenzo Zitello, musicisti
purtroppo non assoldati per gli spettacoli conclusivi a Ivrea.
Nelle due serate al Teatro Giacosa
si sono comunque ascoltati artisti di altissimo livello, anche se legati
meno intensamente all'avanguardia, agli ultimi sviluppi visti in campo
jazzistico, e invece più vicini al mainstream, al jazz che si può
definire oggi come classico.
Venerdì l'apertura è
toccata all'affiatato gruppo intitolato ai due giovani sassofonisti che
lo guidano: l'Odorici-Vignali Quintet, figlio diretto dei grandi maestri
che negli anni Quaranta e Cinquanta inventarono l'hard bop, stile che è
stata riproposto anche nella scelta dei brani interpretati, tutti grandi
classici del periodo, con composizioni di Clifford Brown, Horace Silver,
Sam Jones.
Con la successiva esibizione si
è assistito a un salto di generazione, in avanti e all'indietro.
All'indietro dal momento che l'americano Gary Bartz è uno splendido
sessantenne; in avanti poiché è stato uno dei protagonisti
del movimento che, dalla fine degli anni Sessanta, ha rinnovato il bop
partendo dalle rivoluzioni del free e del jazz modale. Il suo quartetto
si è prodotto in una lunga suite senza interruzioni, di oltre un'ora,
in cui ha ripercorso una ideale summa del suo mondo musicale, con evidenti
retaggi e omaggi ai suoi grandi maestri: da John Coltrane, di cui sono
stati proposti vari temi, a McCoy Tyner, grande pianista del quartetto
coltraniano e poi leader di un gruppo che fece storia e di cui un giovane
Bartz ha fatto parte.
Ancor oggi il contraltista stupisce
per la grande potenza e foga con cui sa coinvolgere l'ascoltatore in un
universo sonoro nel quale si possono riconoscere elementi di varia natura,
schegge di raga indiani e persino musica caraibica.
Un'altra voce storica del sassofono
contralto si è sentita sabato: Charlie Mariano, esibitosi in trio
con basso e batteria. Voce a suo modo anomala, perché dopo una prima
parte di carriera "convenzionale", dagli anni Settanta Mariano si è
dedicato alla world music. Agli spettatori eporediesi si è proposto
però in veste diversa, richiamando infatti alla mente soprattutto
atmosfere cool e West Coast.
Un discorso a parte merita il concerto
di Vinicio Capossela: intanto perché di concerto in senso stretto
non si può parlare, dal momento che si è trattato di uno
spettacolo fatto di musica, racconto, poesia, dedicato a un grande pianista
italo-americano scomparso, Tony Castellano, che ebbe con Capossela un grande
legame di amicizia.
Accompagnato da un gruppo di giovani
e validi musicisti, il vulcanico artista ha dato vita a uno spettacolo
ben diverso dai suoi abituali lidi sonori, in cui ha rivisitato blues,
Sinatra, musical, canzone d'autore italiana e persino melodramma, e che
ha avuto momenti di alta intensità e partecipazione da parte di
un pubblico, che sul finale l'ha costretto a tre uscite sul palco per altrettanti
bis.
L'ultimo capitolo, svoltosi all'Hopstore
Pub, ha presentato una delle più felici realtà del jazz italiano,
che guarda caso è eporediese: gli Enten Eller, quartetto arrivato
agli oltre quindici anni di attività, e che ha ormai ricevuto le
meritate attenzioni dei critici persino al di là dell'oceano.
La serata si è svolta in
due momenti: prima la proiezione di un filmato, girato da Guido Michelone
in Kosovo durante la guerra, su cui gli Enten Eller hanno improvvisato
liberamente; poi il loro concerto, con Luca Biggio ospite al sax.
Ancora una volta i quattro hanno
dimostrato il loro affiatamento, la straordinaria tecnica strumentale,
e la continua ricerca che si innesta da una parte sulle avanguardie nere
e dall'altra sul jazz-rock anni Settanta; influenze rielaborate in maniera
personale fino ad arrivare a un suono e a un senso del ritmo assolutamente
inconfondibili.
Il festival si va inoltre arricchendo,
anno dopo anno, di eventi "collaterali": alle ormai classiche jam-session
si sono affiancati gli aperitivi musicali in bar del centro, mostre fotografiche,
seminari di approfondimento; tutti segnali della volontà degli organizzatori
di allargare la manifestazione a tutta la città, e non limitarla
alle sedi ufficiali.
paolo albano