Dai fronti di guerra in Iraq ci giunge
un flusso così imponente di notizie che è difficile raccapezzarci.
E' il fascino della guerra in diretta, "minuto per minuto". Eppure un'informazione
così cospicua, fornita dai potenti network televisivi e giornalistici,
non cancella dubbi, semmai li acuisce. Ci accorgiamo, senza nemmeno avere
un eccessivo spirito critico, di quanto quell'informazione, e le immagini
che l'accompagnano, siano 'parziali', se non faziose. I volti spauriti
dei soldati americani catturati in un'imboscata hanno fatto il giro del
mondo, suscitando pena e commozione. Ma quanti e quali altri volti ci sono
nascosti? Di donne e bambini alle prese con la fame, la sete, le malattie,
alle soglie (se non già dentro) di una catastrofe umanitaria a Bassora?
Di profughi in fuga disperata? Dei soldati iracheni uccisi o fatti prigionieri?
Dei corpi sfigurati dei civili colpiti allo Shaab, il mercato di Baghdad...?
Quanto ai miei dubbi, ne vorrei
esplicitare alcuni. Due o tre, tanto per gradire...
1. Stante la schiacciante superiorità
tecnologico-militare dell'esercito angloamericano su quello iracheno, perché
tanta resistenza? Perché tante difficoltà a condurre a termine
un'impresa dall'esito scontato? Sarà l'effetto Viet-Nam? (Ma in
Indocina c'erano, oltre al fattore campo, massicci aiuti dell'Urss a Ho-Ci-Min...).
2. Se questa guerra è stata
preparata e pianificata a tavolino da esperti strateghi (si pensa), e se
il fattore tempo è più determinante che mai (soprattutto
per l'opinione pubblica americana ed internazionale), c'è qualcuno
in grado di dirci con sincerità se quei piani sono stati rispettati?
Se si è in ritardo, in anticipo, in orario, sulla tabella di marcia?
Se qualcosa ha indotto a modificarli?
A un terzo dubbio - perché
mai non si sia verificata, se non con modesta entità a quanto ci
è dato di sapere, l'insurrezione interna delle etnie più
nemiche del raìs, i kurdi e gli sciiti - mi sono già dato
una risposta. Semplicemente, che degli americani e dei loro alleati non
si fidano. "Magari gli iracheni odiano il loro dittatore, ma non
amano noi", ha dichiarato J. Wilson l'ultimo ambasciatore USA a Baghdad.
Per molti iracheni l'aggressione ha avuto l'effetto di ricompattare un
popolo, ancorché oppresso, intorno al suo regime impegnato a contrastare
come e finché può un'aggressione straniera.
E resta l'incognita delle
masse islamiche. Ora protestano, manifestano, urlano slogan antiamericani
e antioccidentali. Domani?
piero agrano