IVREA - Gli scioperi delle settimane
passate hanno visto anche il mondo della scuola diviso nel manifestare
il proprio dissenso.
Ma è un dissenso stanco quello
che serpeggia tra gli insegnanti, declassati da decenni di propaganda ideologica
al ruolo di proletariato intellettuale, consapevoli tuttavia di poter avere
un altro compito professionale come protagonisti della formazione delle
generazioni future. Sono un po' come il "re decaduto" di Pascal, nostalgico
di una passata grandezza che non sa rassegnarsi alla miseria attuale. Grandeur
et misère de l'école.
Dopo anni di immobilismo del legislatore,
nel giro di poco tempo abbiamo assistito al nascere e al distruggersi di
un progetto di riforma della scuola, smantellato da un progetto che nuovo
del tutto non sembra. Certo serpeggia un disagio in una scuola che risente
del clima generale di razionalizzazione delle spese, con gravi tagli in
termini di bilancio e di occupazione. Ma il "patto di stabilità"
e il deficit del sistema previdenziale sono vincoli ineludibili per qualsiasi
governo che debba guidare il Paese.
E in questa stagione di "vacche
magre" il pensiero non può volare alto. Ma è importante non
farsi prendere dallo sconforto. Se questo stato di depressione che attraversa
il Paese, gravato da crisi strutturali sempre più pesanti (dopo
l'Olivetti, la FIAT), si impadronisce anche delle istituzioni educative,
perderemo il nostro futuro.
E gli insegnanti che oppongono resistenza
più o meno passiva al modello aziendalistico invadente non rifiutano
il futuro, ma conservano il senso di quella crociana "distinzione" tra
cultura e società che è il punto forte della nostra tradizione
umanistica, capace di guardare oltre il presente. C'è una grande
ricchezza potenziale nel mondo della scuola, un grande serbatoio di risorse
che non deve essere distrutto da sterili contrapposizioni ideologiche:
non si può accettare passivamente la scuola delle tre I degli slogan
berlusconiani, ma non si può neppure improvvisare una riforma dei
cicli che provochi onde anomale, non gestibili secondo criteri logicamente
accettabili o una scuola ragionieristica nel computo di debiti, crediti
(didattici, scolastici, formativi, etc.) e nella quantificazione numerica
dei risultati in termini di prodotti.
In questi anni di silenzio del legislatore
la scuola che ha saputo rinnovarsi ha saputo produrre molte innovazioni
al proprio interno, recependo l'esigenza di dotarsi di nuove tecnologie
multimediali, di potenziare lo studio delle lingue, veicolo indispensabile
in un mondo globalizzato, ma ha capito anche di avere un ruolo insostituibile
nella crescita intellettuale e emotiva degli studenti. E' il luogo delle
condivisioni o delle esclusioni, delle frustrazioni o delle promozioni
dei valori, dell'integrazione sociale o della dispersione ecc. E attraverso
l'accoglienza, il tutoraggio, l'orientamento ha saputo anticipare
un modello di riforma sostenibile. Perché azzerare queste
premesse?
Sta nascendo dal basso tra le scuole
un movimento che mira a discutere trasversalmente, senza pregiudiziali
ideologiche, la riforma ragionevole della scuola, non cancellando ma integrando
le esperienze positive avviate. Forse finalmente si è capito che
sulle questioni di "sopravvivenza" non ha senso lo scontro. E che la scuola
abbia a che fare con questioni di "sopravvivenza" appare certamente plausibile.
Come ha sostenuto il maestro Boris Porena, musicista, compositore,
autore di un componimento "La Parola" presentato in Duomo il 19 ottobre
dai cori diretti dal maestro Streito, formulando un interessante "ipotesi
metaculturale per la composizione della diversità", occorre riflettere
sul carattere culturalmente condizionato dei nostri atti di pensiero per
imparare a relativizzarli, non certo per arrivare ad un relativismo selvaggio,
ma per comporre le diversità senza annullarle.
E oggi che spirano venti di guerra
è quanto mai importante insegnare che, oltre la logica binaria della
soppressione del diverso, che rischia di avere effetti distruttivi per
l'intera umanità, e oltre la logica della conversione, nella forma
totalizzante dell'assimilazione, ci può essere anche la logica,
non esclusiva, ma inclusiva della coesistenza pacifica di diversi, che
non pretende di cancellare i conflitti, ma di esorcizzarne le forme estreme.
ugo cardinale