La crisi della FIAT "impallidisce",
in questi giorni, di fronte all'incalzare di notizie di stragi familiari.
Dopo Novi Ligure e Cogne, ora, Borzano di Albinea, in provincia di Reggio
Emilia, e Chieri, il grosso centro piemontese alle porte di Torino. Perché
tanto sangue fra la pareti di casa?, ci si domanda. Perché quella
che il Concilio Vaticano II chiamava "comunità di vita e di
amore" diviene così sovente spazio in cui esplode la violenza più
efferata?
Difficile fornire un briciolo di
risposta, quando si ignora l'humus in cui l'odio, l'intolleranza, la possessione
hanno messo radici, e prodotto frutti così amari di morte. Si farà
in fretta, temo, a parlare di menti malate o ossessionate dagli esempi
forniti dai media. "Voglio riunire la famiglia", avrebbe dichiarato l'autore
dello sterminio di Chieri. La morte progettata ed attuata lucidamente per
"riunire una famiglia divisa". Ancorché farneticante, quella dichiarazione
è comunque la testimonianza disperata di quanto pesasse quel progetto
di amore fallito, di quanto difficile fosse rinunciare a quel sogno. Sulla
coppia e sulla famiglia si appuntano ancora sogni, desideri e attese rilevanti.
Ne va del proprio progetto di realizzazione personale, spesso concepito
e attuato in un clima di egocentrismo, di competizione e di desiderio di
successo. Ma quel modo di enfatizzare il mito della realizzazione di sé
rischia - ha ricordato mons. Anfossi, domenica scorsa, agli sposi - di
costituire uno scoglio contro cui si va ad infrangere la stessa coppia.
Orgoglio ferito, spirito di possessione
smisurato? Forse. Agli antipodi di tutto questo sta quell'"esistere per"
che si fa dono; che sa attendere, perdonare, rispettare. Che sa ricomporre
le divisioni, senza imbracciare un mitra. Utopie? Sarà pure, ma
quando queste cose mancano, se ne scontano le conseguenze.
piero agrano