Di vecchi e di vecchiaia si parla
sempre più spesso. Soprattutto per dirne male. L’elenco dei disagi,
inquietudini, sofferenze sembra superare, di gran lunga, l’elenco delle
buone ragioni per cui la terza età è un’età che vale
la pena di vivere in pienezza.
Ma non è forse la vecchiaia
l’età della saggezza, provata al fuoco dell’esperienza e dei “colpi”
che la vita ha inferto? Certo, ma a che serve la saggezza se non sembra
interessare a chi vecchio non è? Come valutare un patrimonio d’esperienza
se non c’è alcuno disposto ad attingere a quel “pozzo”?
L’analisi è fin troppo impietosa
e tace sul tentativo sempre più diffuso di valorizzare gli anziani.
E non solo come baby sitter. Si cercano nonni tuttofare, e si arruolano
nonni vigili... In ogni caso il contemporaneo allungarsi della vita umana
e il calo della natalità ha allargato i confini di quell’età
in cui si trova a vivere un numero crescente di persone. E con l’elevarsi
del numero, si ingigantiscono e si complicano i problemi.
Terza età
e modelli culturali
Il fatto è che alle ragioni
di ordine naturale - c’è un declino inesorabile di energie, e la
cosa non fa piacere - si aggiungono quelle di ordine culturale. Se la cultura
di massa si ostina a proporre modelli di umanità, di maschilità
e di femminilità, giovanilistici - tutta prestanza, efficienza e
sex appeal - l’anziano si trova alle prese con una competizione crudele
che non riesce a sostenere e che lo vede sconfitto. Una cultura diffusa,
e questo è il punto critico, considera gli anziani inutili, non
più portatori di risorse. Ciò è fonte di delusione
cocente. Dalla delusione all’emarginazione (e all’autoemarginazione) il
passo è breve. E, purtroppo, non infrequente.
A questo si aggiunge l’evoluzione
dei modelli familiari e il rapporto fra generazioni. La conflittualità
di un tempo ha ceduto il posto ad un senso diffuso di estraneità.
Si è attenuata la forza di alcuni “collanti” che un tempo garantivano
unità e, in essi, ruoli sicuri e gratificanti: i legami familiari
ed i vincoli più ampi d’appartenenza. Una cultura urbanizzata rischia
di generare maggiore indifferenza e solitudine. Soprattutto per chi non
ha forza ed iniziativa per cercarsi e coltivare le amicizie che servono.
Di questo, infatti, vorremmo parlare,
e non delle problematiche della terza età in generale. Molte delle
patologie di cui soffrono gli anziani interessano le relazioni con gli
altri. Cecità, sordità, difficoltà di deambulazione...
compromettono non solo la salute dell’individuo, ma la sua possibilità
di comunicare. Che ogni età della vita sia interessata a problemi
di comunicazione è una constatazione fin troppo ovvia. La terza
età sembra averne qualcuno in più, o più grave.
Il dramma
della solitudine
Il ridursi delle capacità
di comunicazione è avvertito come fonte di grave disagio, talvolta
più della sofferenza fisica. Allora l’esito più grave, la
solitudine, non è soltanto un problema fra i problemi che assillano
molti, uno dei tanti motivi di disagio. E’ la spia di un malessere generale,
in cui, talvolta, il soggetto è, nello stesso tempo, vittima e responsabile,
con la sua fuga dal mondo, le sue paure e le sue chiusure. La solitudine
è, allora, conseguenza d’abbandono, ma anche, talora, scelta di
tagliare i ponti con il mondo. Una solitudine del genere, osserva il Papa
in una lettera indirizzata all’Onu, “è paragonabile ad una vera
e propria morte sociale”.
Che fare? Analisi, denunce, dita
puntate... non bastano. Questa pagina, mentre solleva un problema - diffuso
e preoccupante - tenta di segnalare anche qualche risposta, qualche ipotesi
di soluzione.
La giornata
della San Vincenzo
Alla solitudine dell’an-ziano, la San Vincenzo dedica la prossima giornata di sensibilizzazione, in programma per domenica 29 settembre (a Ivrea il banchetto dell’associazione è in piazza di Città, dalle 9 alle 19). E non è la sola: parecchie organizzazioni di volontariato si stanno interessando al problema. In molti quartieri, circoscrizioni, comuni, parrocchie, sono sorti gruppi della “terza età”, con programmi e attività davvero interessanti. E di lì sta nascendo una cultura della solidarietà, che varrà la pena di conoscere e di far circolare. “Liberare l’anziano della solitudine”, recita lo slogan della giornata. La solitudine è, dunque, un male da cui si può essere liberati. Non è una necessità, un fato ineludibile, davanti al quale si è destinati a soccombere. Naturalmente l’appello all’iniziativa individuale è destinato a cadere nel vuoto, se non ci sono, sul territorio (e per l’anziano si tratta di un territorio non troppo esteso!) occasioni e momenti di socializzazione, in cui stare in compagnia e coltivare degli interessi. E’ la condizione necessaria per evitare la deriva dello sconforto che nasce dal non sentirsi più utili a nessuno. Se la solitudine nasce dall’inattività e dall’assenza di reti di relazioni, la risposta non può essere trovata che suscitando e mantenendo interessi e disponibilità a fare, e costruendo una rete di relazioni in cui ciascuno si senta realmente valorizzato, cercato, coinvolto, in cui la sua presenza sia ancora attesa ed apprezzata.
Gli anziani
fra ricordi e progetti
Agli anziani, come tutti sanno, piace ricordare, riandare ai tempi passati. La memoria, intesa come custodia gelosa dei ricordi, è uno dei “talenti” della terza età. Un talento spesso deprezzato da una società in larga parte centrata sul presente, senza passato e senza futuro. Allora il recupero della memoria può essere “provocata” o, quanto meno, favorita dai custodi della memoria, quali sono gli anziani. Eppure la memoria, da sola, “chiude” su di un passato, su cui non c’è più nulla da fare. Obbliga alla ripetitività e inibisce la creatività. E’ il guardare al futuro, con una sana e ottimistica progettualità, che può salvare l’anziano dalla nostalgia dei bei tempi andati, dall’attaccamento patologico ad un passato idealizzato. L’anziano è “bello”, attraente, se sa ancora costruire progetti, coltivare dei sogni; e se sa organizzarsi attivamente per portarli a realizzazione. Allora un volto rugoso, “solcato” dalle esperienze passate, può lasciare intuire una mente ancora capace di progetti, di speranze, di apertura al futuro. E’ bello, non mi stanco di ripetere, avere dei programmi sul futuro, anche in età avanzata. E chiedere al Signore il tempo di vita necessario per poterli realizzare.
La vecchiaia,
una malattia?
Senectus ipsa morbus, dicevano gli
antichi latini. La vecchiaia è, di per sé, una malattia.
Ma è proprio vero? La malattia implica inattività, pura passività.
Non così per la vecchiaia. Pur con tutti i limiti, essa è
un tempo in cui “godere dei frutti”, un tempo di maturità in cui
gustare i risultati di quanto si è seminato. Un tempo in cui posare
sulla realtà uno sguardo più benevolo e meno aggressivo,
in cui non smettere di crescere interiormente. Allora non è solo
malattia, su cui, peraltro, i farmaci abituali non hanno alcuna efficacia.
don piero agrano