ROMANO - Per il Canavese è
importante l’incontro a Pavia tra il vescovo d’Ivrea Warmondo e Ottone
III, l’imperatore dell’Anno Mille, che nutriva il sogno di un “imperium
mundi” cristiano. Allora, il 9 luglio del 1000, avvenne la donazione al
presule eporediese delle due curtes di Romano e Fiorano. S’assise così
al coinvolgimento nel programma politico ottoniano di collettività
rurali gravitanti sul territorio compreso tra Dora e Chiusella.
Durante l’alto medioevo, a Romano,
le chiese parrocchiali erano due: S. Pietro che era l’”ecclesia de castro”,
aderente alla porta del ricetto, entro l’originaria cinta fortificata,
coerente, più tardi, ad un prato sito in rovoscleto; e S. Solutore
che sorgeva, invece, fuori le mura, al servizio dei fedeli residenti nel
suburbio o nelle borgate di campagna e che si ridusse, poi, a chiesa campestre,
con funzioni cimiteriali.
Per il castello, viceversa, possiamo
riportare diverse citazioni documentarie che, in qualche modo, lo nominano:
Bombello del Solero, per esempio, un probabile congiunto del vescovo Gaimaro,
che era annoverato tra i consoli d’Ivrea, partecipò, nel novembre
1171, ad un convegno dove si promise di osservare gli accordi con il marchese
di Monferrato, stabiliti da Guido conte di Canavese e da Oberto e Giordano
del “castrum” di Romano.
Poco più tardi, una sentenza
del 22 settembre 1187 fu sfavorevole a Gaimaro che si vide costretto a
rinunciare, a vantaggio del capitolo, ad alcuni diritti su terre in Ivrea,
in Romano e su di un manso in Pexano. Il vescovo, per contro, in tale occasione
aveva sostenuto come quelle terre fossero di pertinenza della carica prepositurale.
Di grande rilevanza politica fu
il fatto che Alberto Gonzaga, vescovo d’Ivrea, pensò di affidare,
nel 1319, al conte Amedeo V di Savoia l’intera amministrazione temporale
del patrimonio della Mensa diocesana. In quei frangenti, il castello di
Romano fu occupato per ben due volte da gruppi rivali dei conti del Canavese,
prima i Valperga e poi gli Strambino.
Da sottolineare, inoltre, è
che nello stesso 1319 il papa Giovanni XXII, da Avignone, impose di versare
alla Camera Apostolica tutto il denaro ricavato dalla raccolta della decima
papale sul patrimonio del clero (Cfr. Les Registres de Jean XXII, septembre
1319).
Infine, il vescovo Pietro de Condé
di Belley volle rientrare in possesso, nel 1376, del castello episcopale
di Romano, con il relativo centro abitato, riscattandolo dal conte Pietro
di S. Martino.
Va solo più aggiunto che,
durante il grande scisma, il vescovo d’Ivrea, non solo Pietro ma anche
il suo successore Bonifacio della Torre, prestò sempre obbedienza
al papa avignonese non a quello romano.
Chiaramente, all’architettura militare
gotica dell’ultimo trecento appartiene il perimetro fortificato di Romano
che s’articola, nei suoi elementi superstiti, in un’alta torre e in due
porte, a nord e a sud. La torre di controllo, ora del tutto isolata, modificata
al suo vertice per ospitare la cella campanaria, sorge sul punto più
alto, da cui lo sguardo spazia, da una parte, sui rossi tetti; dall’altra,
fino alla linea uguale della Serra.
Un sistema di caditoie, sostento
da poderosi modiglioni, caratterizza sia la porta settentrionale che quella
meridionale, accanto a Santa Marta, da cui si dipartono, verso il basso,
egli stretti vicoli, a più livelli.
Possiamo dire, per completezza,
che la prima porta presenta sul verso una singolare rientranza che s’addentra
a mezzo dei filari di mattoni messi in diagonale, delimitati da lastre
lapidee.
L’architettura fa il luogo: a Romano,
purtroppo, di essa non rimangono che poche tracce.
Soltanto l’adozione dell’arte della
stampa, con un’aurorale produzione di incunaboli, arrecherà nuova
rinomanza a Romano: infatti, si ha notizia dell’impianto d’un’officina
tipografica già nel 1498-99, alle soglie del “rinascimento”, con
un lavoro che, nel suo ampio raggio, coinvolge Lione e Venezia, sotto il
segno di un recupero di Virgilio.
In una “scienza del paesaggio” che
trascorra, al limite, dalle conchiglie fossili ai resti delle costruzioni
gotiche, la percezione storico-artistica sarà, quindi, non disperante,
confortata com’è dal caldo profilo che oggi fa perno sulla torre
medievale, del paese di Romano sulla strada di passo.
aldo moretto