Silenzio.
E’ il silenzio la cifra dell’immane
dramma che ha sconvolto la città di Rivarolo, rapinata della vita
di suoi quattro giovani - Clemente, Serena, Stefania, Aldo -, tutti di
età compresa tra i 15 e i 24 anni. Il silenzio degli occhi bassi
e degli sguardi sfuggenti delle persone che si incontrano per strada e
si scambiano un saluto più cordiale del solito; il silenzio delle
conversazioni sotto tono ai crocicchi, nei bar, nei negozi; il silenzio
dei ragazzotti che per una volta smorzano le marmitte dei loro motorini
truccati, rinunciando alle sgommate sotto i portici. Un silenzio inedito,
calato sabato scorso sul consueto clamore del mercato settimanale al diffondersi
della notizia e protrattosi poi per i giorni successivi, donando alla città
un’atmosfera nuova, quasi surreale.
E’ il silenzio dell’indicibilità
di un dolore straziante, di uno strappo che appare impossibile da ricucire.
E’ un silenzio non scelto nè semplicemente dovuto, ma obbligato.
Un silenzio che prova a riempire in qualche modo il vuoto del pensiero,
delle parole. Perché non ci sono parole umane che possano non diciamo
spiegare, ma almeno lenire una ferita così profonda.
“Non ci sono parole” è la
frase più ripetuta in città negli ultimi giorni, non come
un frusto modo di dire ma come una fotografia quanto mai reale dei sentimenti
più intimi di una intera comunità. Perché, mai come
questa volta, la morte non si è limitata a devastare le famiglie
di chi ha perso un congiunto, ma è penetrata con inusitata crudeltà
nelle case e nei cuori di tutti i loro concittadini.
Perché quando la morte, tanto
più spietata perché inannunciata, si presenta all’uscio di
un ragazzo di vent’anni, non vi bussa discretamente, né chiede permesso:
entra come un turbine svellendo la porta e travolgendo ogni difesa, penetra
ogni stanza dell’anima rovistandone ogni recesso e distruggendo ogni apparenza
della consueta quotidianità. L’impatto è devastante: il rumore
lancinante è alimentato dall’urlo di disperazione di chi si vede
privato degli affetti più cari. Subito dopo, l’assenza si materializza
nel silenzio. Quello sanguinante seppur composto di chi ha perso un figlio,
o un amico; quello incredulo e inadeguato di tutti coloro che assistono
e partecipano a un trauma che non risparmia nessuno.
Certo il fardello più gravoso
è quello delle famiglie (esiste forse un genitore che alla vita
non chieda che un privilegio: che, non importa neppure quanto presto, siano
i suoi figli a seppellire lui e mai viceversa?), è quello degli
amici più stretti (ci possono mai essere sentimenti di amicizia
più totalizzanti e intensi di quelli che si provano a quell’età?).
Ma il peso opprimente della morte
di quattro ragazzi di vent’anni grava su tutti: quelli che vent’anni non
li hanno ancora e li considerano come il massimo traguardo; quelli che
li hanno avuti poco o tanto tempo fa e che ancora li rimpiangono; quelli
che li hanno adesso e, comunque, con i loro vent’anni ci devono fare i
conti tutti i giorni).
E la perdita è grave anche
per la “qualità” delle vittime. Loro non l’avrebbero certo detto
nè probabilmente neppure pensato di sè, ma possiamo ben pensarlo
e ben dirlo noi, ora (e non soltanto perché non ci sono più):
questi ragazzi - così generosi e altruisti, così gioiosi
e impegnati, così pieni di vita (non solo della loro, come tutti,
ma anche di quella degli altri) - erano davvero una delle facce più
pulite e più belle della gioventù rivarolese, un segno tangibile
di fiducia e di speranza per il futuro. E’ per questo che la Comunità
intera è così scossa: perché non ha perso solo l’inestimabile
gioia di quattro ragazzi di oggi, ma le altrettanto preziose risorse che,
da adulti, avrebbero certamente messo a disposizione della collettività.
Rivarolo si scopre oggi “un po’
più vecchia e un po’ più stanca” (sono le parole del vescovo
di Ivrea Arrigo Miglio durante le esequie), un po’ più scossa nelle
proprie certezze, ma anche un po’ più unita per l’immensa e spontanea
testimonianza di affetto e sostegno alle famiglie più colpite. Ad
esse è stata offerta soprattutto e principalmente una cosa: il silenzio.
Il silenzio del rispetto; il silenzio della compassione; il silenzio della
condivisa inadeguatezza a trovare risposte a quell’unica e terribile domanda
che da giorni assilla tutti: “Perché?”. Un quesito ineludibile,
lo stesso che da sempre tocca prima o poi a qualsiasi uomo o donna. Ad
aiutare la risposta, questa volta, è proprio la fede semplice
ed entusiasta che questi quattro ragazzi hanno vissuto e testimoniato nella
loro giovane vita: loro ci dicono che se la risposta non ci è nota,
essa c’è comunque ed è in Dio. L’alternativa sarebbe il vuoto
totale. Sarebbe un silenzio ben più vacuo e disperato di quello,
in qualche modo armonioso e pieno, che attanaglia in questi giorni Rivarolo.
m.v.